SULLA RELATIVA PASSIVITÀ DEGLI OPERAI IN ITALIA

dal numero 130 di Operai Contro cartaceo Cosa sta succedendo agli operai in Italia, perché le risposte agli effetti della crisi sono così lente, di basso impatto, quando ci sono, altrimenti c’è solo sottomissione, acquiescenza. Nessun serio segno di rivolta, poche o nulle le reazioni. Eppure la crisi nei primi mesi del 2009 ha colpito con metodo. Parliamoci chiaro, fra operai. Gli effetti della crisi si sono abbattuti su centinaia di migliaia di operai, nei primi sei mesi di questo anno non si contano più i ricorsi alla cassa integrazione, i licenziamenti attraverso la mobilità, le fabbriche che sono state chiuse. Per chi è rimasto a lavorare […]
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dal numero 130 di Operai Contro cartaceo

Cosa sta succedendo agli operai in Italia, perché le risposte agli effetti della
crisi sono così lente, di basso impatto, quando ci sono, altrimenti c’è solo sottomissione, acquiescenza. Nessun serio segno di rivolta, poche o nulle le reazioni. Eppure la crisi nei primi mesi del 2009 ha colpito con metodo.
Parliamoci chiaro, fra operai. Gli effetti della crisi si sono abbattuti su centinaia di migliaia di operai, nei primi sei mesi di questo anno non si contano più i ricorsi alla cassa integrazione, i licenziamenti attraverso la mobilità, le fabbriche che sono state chiuse. Per chi è rimasto a
lavorare i salari sono scesi e le condizioni di lavoro sono peggiorate. Le morti sul
lavoro sono un indice chiaro della nostra condizione sotto il comando dei padroni,
la corsa al profitto schiaccia letteralmente gli operai esponendoli a rischi di ogni
genere e tipo. C’è ne abbastanza per una rivolta, o almeno per una serie di scioperi seri, per manifestazioni oltre le solite processioni. Invece niente, se abbiamo
l’onestà intellettuale di non nasconderci la realtà, dobbiamo riconoscere che
siamo di fronte ad una relativa passività degli operai, ad una silenziosa discesa
verso il basso accettata come una sorte del destino.
La forza salutare della crisi sta proprio nel mettere tutti di fronte a tremende
difficoltà ed imporci, nostro malgrado, un ripensamento verso ciò che è stato
finora il movimento degli operai, di passare al setaccio i nostri strumenti di difesa, le nostre concezioni economiche e politiche.
La crisi ha messo a nudo tutte la fandonie sugli strumenti di avviamento al
lavoro usati in questi anni. Il lavoro interinale, le agenzie di fornitura del lavoro
in affitto, le esternalizzazioni. Tutto questo armamentario sarebbe dovuto servire
per avviare al mercato del lavoro nuove forze, il problema sarebbe diventato poi
la stabilizzazione. La crisi ha lacerato il manto, i primi ad essere fatti fuori dalle
fabbriche sono stati proprio questi operai irregolari, e proprio sulla base di contratti sottoscritti dai sindacati e secondo le leggi dello Stato. Il proletariato industriale ha perso in
modo indolore una porzione di gioventù senza che si potesse reagire e dove lo si è
fatto le lotte si sono concluse in malo modo.

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