dal Fatto quotidiano
Ora i sindacati chiedono l’applicazione della recente legge sugli appalti, entrata in vigore a febbraio. La norma prevede la cosiddetta clausola sociale: gli addetti di un servizio di call center hanno diritto a mantenere il posto di lavoro, quando l’impresa committente decida di cambiare l’operatore. E la richiesta diventa ancora più pressante quando le società in questione sono a partecipazione pubblica. “E’ del tutto inaccettabile – afferma Massimo Cestaro, segretario generale Slc Cgil – che due aziende controllate dallo Stato italiano, come Poste ed Enel, possano assegnare attività di call center senza rispettare le clausole sociali approvate dal Parlamento. Se passa il principio che le aziende pubbliche non rispettano le leggi, perché mai dovrebbero farlo quelle private?”.
A complicare la situazione, ci ha pensato un cambio in corsa sugli ammortizzatori sociali. L’Inps ha infatti deciso l’inquadramento del settore come terziario e non più come industria. Questa risoluzione comporta che le aziende di call center non possano più richiedere gli ammortizzatori sociali ordinari, ma debbano contare solo sugli strumenti in deroga. Che hanno una durata inferiore e seguono un iter autorizzativo più complesso. “Questa decisione implica che molte aziende non hanno più gli ammortizzatori sociali necessari per riorganizzarsi e sono costrette a licenziare”, prosegue Azzola.
Ma sullo sfondo della crisi, restano le piaghe storiche del settore dei call center: gare al massimo ribasso e delocalizzazione. In realtà, anche in questo caso, c’è una legge datata 2012 che dovrebbe scoraggiare le aziende a portare il lavoro all’estero. La norma prevedeva che gli utenti debbano sapere se l’operatore li sta contattando dall’Italia o da un Paese straniero. Inoltre, la legge imponeva ai committenti di comunicare al ministero del Lavoro eventuali attività fuori dall’Italia. Ma i sindacati denunciano che queste regole sono sistematicamente disattese. “Si è consentito in questo modo, a tantissime attività – spiega Vito Vitale, segretario generale Fistel Cisl – di essere delocalizzate all’estero e si è impedito ai cittadini italiani un diritto di scelta a loro garantito dalla legge. Questo ha ingenerato migliaia di esuberi ingiustificati, perché il lavoro non è cessato ma è stato spostato, senza rispettare le leggi, in Paesi con basso costo del lavoro e insufficiente garanzia sul trattamento dei dati personali e sensibili”.
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