MODENA, 9 GENNAIO 1950

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Tutto e’ cominciato il 5 dicembre 1949, quando l’industriale Adolfo Orsi, il maggiore industriale del Modenese e uno dei piu’ forti dell’Italia di allora, metteva in atto la serrata delle Fonderie Riunite, teoricamente per ridurre la mano d[k]opera in eccesso ma in realta’ “epurare” le maestranze da tutti gli elementi sindacalmente e politicamente attivi. Lo dimostra il fatto che all[k]inizio di quel mese di gennaio venivano improvvisamente annunciati, proprio per il 9, la riassunzione di soli 250 dei 565 vecchi operai e l’ingresso in fabbrica di un certo numero di nuovi assunti. Immediata quanto logica la decisione della Camera del lavoro di proclamare per quel giorno uno sciopero e una manifestazione di protesta.

A questo punto scattava la seconda fase della provocazione, con l’afflusso in citta’ di ingenti rinforzi di polizia e carabinieri, dotati di autoblindo, da Cesena, Bologna, Ferrara, Parma, Forli e Reggio Emilia. Tutta la zona intorno alle Fonderie, lungo l’asse di viale Ciro Menotti, veniva messa di fatto in stato d’assedio, mentre reparti in armi presidiavano tutti gli altri punti nevralgici della citta’. La CdL chiedeva intanto la concessione della centrale Piazza Roma per tenervi un comizio, e l’otteneva soltanto la mattina stessa, quando era possibile darne l[k]annuncio solo per mezzo di megafoni e altoparlanti mobili.

Il comizio era previsto per le 10, e quasi alla stessa ora ebbe inizio la sparatoria. In quel momento le strade della citta’ erano percorse da gruppi di scioperanti che si recavano in parte verso il centro e in parte verso le Fonderie Riunite, senza pero’ che si potesse parlare di un unico corteo organizzato. Ed infatti i sei caduti furono uccisi in luoghi e in momenti diversi, con una vera e propria opera di cecchinaggio; esattamente – e significativamente- come accadra’ dieci anni piu’ tardi, al momento della protesta contro il governo Tambroni, con la strage dei cinque operai di Reggio Emilia.

La prima vittima

Il primo a cadere tu Arturo Chiapelli, di 43 anni, ucciso da un carabiniere appostato sulla terrazza delle Fonderie mentre attraversava da solo, i binari della ferrovia che corre accanto allo stabilimento e dopo che i manifestanti riunitisi in quella zona erano stati dispersi con lancio di lacrirnogeni e raffiche sparate in aria; caduto tra i binari, ci vollero alcuni minuti perche’ i compagni potessero recuperame il corpo in quanto il “cecchino” continuava a sparare. Quasi contemporaneamente e a poca distanza cadeva la seconda vittima, Angelo Appiani di 30 anni, che si trovava con altri quattro o cinque lavoratori davanti ai cancelli delle Fonderie e che venne freddato da un carabiniere (o da un milite della Celere, secondo altre testimonianze) uscito incontro a loro con il fucile spianato.

Il terzo assassinio veniva cornmesso davanti a uno sbarrarnento di agenti che aveva bloccato un corteo di circa 200 lavoratori con bandiere e cartelli. Anche qui lancio di lacrimogeni e successiva violenta carica; nel fuggi fuggi generale, l’operaio Roberto Rovatti di 36 anni, gia’ combattente partigiano, che portava un cartello, veniva aggredito, percosso con i calci dei fucili, rovesciato nel fossato che costeggia la strada e finito con un colpo di arma da fiuoco. Segui una fase di relativa tregua, della quale i sindacalisti approfittarono per far circolare la notizia che il comizio era spostato al pomeriggio; ma dopo le 12 riprendevano le cariche, fra il crepitare continuo delle armi e i lanci di lacrimogeni; i lavoratori venivano di fatto incolonnati verso il viale Ciro Menotti dove i blocchi di polizia avevano predisposto dei passaggi obbligati, vere e proprie forche caudine al cui passaggio gli scioperanti venivano percossi e molti di loro arrestati. E qui finirono uccisi a sangue freddo, da uno stesso carabiniere, Ennio Garagnani, di 21 anni, colpito alla nuca mentre svoltava per via Piave, e Renzo Bersani, anch’egli di 21 anni e fratello di un fucilato dai nazisti, raggiunto da un proiettile mentre stava per voltare in via Monte Grappa. Incerte restarono invece le circostanze dell[k]uccisione del sesto operaio, Arturo Malagoli, di 21 anni anch[k]egli comunque colpito a sangue freddo.

Queste le circostanze del barbaro eccidio del 9 gennaio 1950. Abbiamo gia’ detto che non fu il primo, molti altri lo avevano preceduto, e non fu nemmeno l’ultimo. Malgrado il possente moto di protesta che riempi le piazze di tutte le citta’ (a Roma sfilammo in centomila, affrontando ancora una volta le cariche della Celere), gia’ nei tre mesi successivi altri lavoratori sarebbero caduti sotto il fuoco della polizia nelle localita’ abruzzesi di Celano e Lentella. Soltanto fra il gennaio 1948 e il giugno 1950, il bilancio della repressione contro la sinistra fu di 62 lavoratori uccisi di cui 48 comunisti, 3.126 feriti di cui 2.367 comunisti, 92.169 arrestati di cui 73.870 comunisti e 8.441 anni di carcere inflitti di cui 7.598 ai comunisti. Cifre agghiaccianti, che parlano da sole.

Giancarlo Lanutti
Operai, non dimentichiamo.

Operai, la borghesia ha sempre usato la violenza.

[a]http://www.fuori.tv/web-tv/video/9-gennaio-1950-modena.html[/a]

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