OPERAI DELL’ILVA: PIU’ PRODUCIAMO PIU CI CONDANNIAMO A MORTE

Redazione di operai contro, noi operai delle fabbriche d’acciaio ci siamo condannati da soli. Abbiamo prodotto troppo acciaio , i padroni non riescono a venderlo e ci licenziano. La cassa integrazione all’ILVA non è altro che una prova di licensiamento. Il tesoretto della famiglia Riva non è arrivato. La lite su come utilizzarlo prosegue. Per bonificare la fabbrica? Per bonificare la città di Taranto? Abbiamo prodotto con la morte sulle  spalle. Pensavamo di avere una famiglia,ma non era altro che carne da macello per padrone. I sindacalisti che dovevano difenderci non erano altro che maggiordomi al servizio del padrone. […]
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Redazione di operai contro,

noi operai delle fabbriche d’acciaio ci siamo condannati da soli. Abbiamo prodotto troppo acciaio , i padroni non riescono a venderlo e ci licenziano. La cassa integrazione all’ILVA non è altro che una prova di licensiamento.

Il tesoretto della famiglia Riva non è arrivato. La lite su come utilizzarlo prosegue. Per bonificare la fabbrica? Per bonificare la città di Taranto?

Abbiamo prodotto con la morte sulle  spalle. Pensavamo di avere una famiglia,ma non era altro che carne da macello per padrone.

I sindacalisti che dovevano difenderci non erano altro che maggiordomi al servizio del padrone. I politici e gli amministratori hanno messo da parte patrimoni.

Lentamemnte noi operai dell’acciaio ci rendiamo conto che o elimiamo i padroni o per noi non ci sarà pace. L’unica possibilità degli schiavi salariati è la rivolta.

Ci occorre uno strumento che ci organizzi e ci guidi nella guerra contro i padroni

Un Operaio dell’ILVA

dalla rubrica di Allessandro Cannavale su basilicata 24.it

Parliamo del presente e del futuro di Taranto con il prof. Alessandro Marescotti, presidente dell’associazione PeaceLink, attivissima nella denuncia delle gravi condizioni ambientali in cui versa il capoluogo tarantino, e dei rischi ambientali e sanitari a cui viene esposta la popolazione che abita sul territorio.

Professore, ci aiuti a disegnare l’attuale scenario: l’Ilva si avvia verso la “decarbonizzazione” o verso l’epilogo della chiusura?

L’Ilva si avvia verso il declino, un declino inesorabile che è già iniziato da tempo per mancanza di mercato e di futuro. Le acciaierie in tutto il mondo accumulano perdite per via dell’eccesso di capacità produttiva nel settore siderurgico. Ma per l’Ilva le cose vanno ancora peggio perché questa fabbrica ha una caratteristica strutturale: va in perdita se produce sotto i 7 milioni di tonnellate/anno. Questo dato strutturale è la “maledizione” che incombe sulla fabbrica, la più grande d’Europa. In fase recessiva l’Ilva è vittima del suo gigantismo. Ed è notizia di questi giorni l’annunciata cassa integrazione per ben cinquemila lavoratori su circa undicimila. Si profilano tagli dolorosi per ridurre le perdite. Molti ripongono le loro ultime speranze di recupero nel miliardo e trecento milioni dei Riva che arriverà dalla Svizzera. E’ una somma che dovrebbe andare alla città per decontaminazione e risarcimenti. Ma se venisse messa nelle casse dell’Ilva (cosa a cui ci opponiamo anche perché violerebbe la normativa europea sugli aiuti di stato) non rilancerebbe la fabbrica: rallenterebbe solo il declino di un’azienda che non fa utili ma accumula solo perdite.

E Taranto? Secondo lei, che futuro avrebbe senza Ilva?

Avrebbe un futuro favorito dal già citato miliardo e trecento milioni dei Riva, frutto del patteggiamento, a cui si possono aggiungere i finanziamenti europei per le aree di crisi industriale. L’Europa cofinanzia, ma non mette fondi a senso unico. Ora si può partire perché il miliardo e tre consente di progettare un’alternativa di ampio respiro per Taranto con il cofinanziamento europeo. Fino ad ora Taranto ha accettato l’Ilva perché non c’era un piano B. PeaceLink ha da tempo presentato un piano B prendendo come riferimento l’esperienza della Ruhr in Germania. Adesso è il momento di “copiare” quell’esperienza e di promuovere nelle scuole e nelle università le competenze per rendere i giovani i protagonisti formati ed “esperti” del piano B.

Quali sono le iniziative principali di Peacelink, in questo momento? Lavoriamo molto nella scuola. Incontri, corsi di aggiornamento, progetti culturali. Incentiviamo i giovani a scrivere tesi di laurea su Taranto e le presentiamo pubblicamente. Portiamo in giro per l’Italia il libro “Legami di ferro”, scritto da Beatrice Ruscio, dove si racconta il percorso del minerale di ferro, estratto devastando l’Amazzonia prima ancora di arrivare a Taranto per la lavorazione. Siamo molto attenti a non lasciare il caso Ilva in una dimensione locale, ma ne evidenziamo l’aspetto etico, la dimensione globale. L’Ilva rischia di diventare un problema da cronaca locale quando invece è uno degli emblemi del malgoverno e del cinismo, un caso evidente di razzismo ambientale. Si è spostato su Taranto il peso di una produzione cancerogena che a Genova non volevano più. Noi stiamo lavorando a livello europeo perché le due procedure di infrazione sull’Ilva – innescate da PeaceLink soprattutto grazie alla costante azione di Antonia Battaglia a Bruxelles – vadano avanti e “leghino le mani” al governo italiano. Hanno fatto leggi salva-Ilva pensando che non ci fosse l’Europa. Hanno ignorato le prescrizioni dell’autorizzazione AIA Ilva, sono questioni di livello europeo. Adesso abbiamo attivato una “tutela multilivello” che punta a limitare l’arbitrio di leggi nazionali fatte contro le regole comunitarie. In questo momento PeaceLink sta sperimentando, partendo da questa esperienza unica, una nuova forma di cittadinanza attiva, proiettata in Europa, fatta di entusiasmo e competenze intrecciate insieme. L’utopia è possibile se si progetta con competenza un’alternativa fin nei minimi dettagli. PeaceLink è un gruppo di persone che scende nei dettagli. Il dettaglio è rivoluzionario. Non dimentico ad esempio che ricalcando il “modello Ilva” abbiamo avviato – assieme al popolo degli ulivi – un’azione che ha bloccato il taglio indiscriminato di un milione di alberi. Abbiamo studiato a fondo, nei dettagli. L’emergenza Xylella nascondeva interessi corposi. Adesso quei dettagli li indaga la magistratura. Si è visto che gli alberi si seccavano per via dei troppi diserbanti e che erano pronti, con il pretesto della Xylella, campi da golf, resort, nuove piantagioni più produttive e altri progetti speculativi.

Mer, 01/02/2017 – 17:46
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