LO SPETTRO DELLO SCIOPERO SI È PALESATO DAVANTI AD AMAZON

Il gioco si ripete. Amazon fa come la FIAT negli anni ‘50 del secolo scorso  gli scioperi si attestavano sempre sul 10% di adesioni, ma in pochi anni la travolsero.
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Il gioco si ripete. Amazon fa come la FIAT negli anni ‘50 del secolo scorso gli scioperi si attestavano sempre sul 10% di adesioni, ma in pochi anni la travolsero.


Lunedi 22 marzo Cgil, Cisl e Uil hanno proclamato lo sciopero nazionale in tutta la filiera di Amazon per 24 ore. C’è naturalmente la guerra sui dati di partecipazione allo sciopero. Per l’azienda solo il 10%, per il sindacato confederale il 75%. Ma anche prendere per buona questa fandonia del solo il 10% di scioperanti è riconoscere che il fantasma dell’attività sindacale si è palesato sui cancelli, nei magazzini, sparso su tutto il territorio nazionale, ed è un dato innegabile. Per Amazon, il tempio della modernità, della fine della contrapposizione operai padroni, trovarsi a fare ancora i conti con questo strumento del secolo scorso che è lo sciopero è un fallimento di gestione del personale e di immagine. C’è un prima e un dopo il 22 marzo che le pubblicità a pagamento non possono nascondere. Ma nello stesso tempo il non aver potuto dare dati entusiasmanti da parte sindacale, l’aver coinvolto nello sciopero in modo disomogeneo i siti produttivi ha un significato lampante, se il ghiaccio è stato rotto c’è ancora tanto lavoro da fare per organizzare e far pesare la forza operaia. Un lavoro che non faranno certo i funzionari sindacali ma dovranno fare gli attivisti sindacali di base che in ogni sede Amazon hanno fatto la loro prima esperienza. Il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, dipende dalla forza di chi lo riempie o chi lo vuota, ed oggi si è dimostrato che si può iniziare a riempirlo.
Dal 2010 Il colosso della logistica ha assunto sempre di più un ruolo di primo piano nel mercato italiano: 40 mila dipendenti tra diretti e indotto, 27 magazzini, un fatturato di 4,5 miliardi di euro. Una montagna di profitti prodotti da chi lavora per i padroni e azionisti di Amazon!
Nei media in questi giorni è apparso uno spot pubblicitario dove Amazon comunica di aver acquistato 100mila mezzi elettrici che impiegano energia rinnovabile, sicura e sostenibile. Un mondo ideale, pulito, felice, quasi bucolico quello che ci presentano le immagini pagate da Amazon. La realtà vissuta dagli operai ci racconta invece di donne e uomini sotto il costante controllo della gerarchia di stabilimento, costretti a carichi, ritmi e orari di lavoro insostenibili. Anche la domenica e senza alcuna remunerazione straordinaria. Condizioni di moderna schiavitù che hanno spinto gli operai a ribellarsi e a fare pressione sui sindacalisti filo padronali affinché convocassero lo sciopero nazionale del 22 marzo. Una giornata di lotta che ha investito tutti i magazzini e tutto il traffico delle merci sia all’interno che verso l’esterno, dando una prima sonora sberla al padrone e costruendo un momento di unità tra tutti gli operai in sciopero.
Ponevamo, giorni fa, direttamente su questo giornale, la questione dell’atteggiamento che i sindacalisti di base (USB, Si Cobas, Sol Cobas, Cobas Poste, ecc), molto presenti nella logistica, avrebbero avuto nei confronti dello sciopero. Avrebbero dato seguito alle parole d’ordine sull’unità degli operai, che spesso leggiamo nei loro comunicati, con una adesione attiva allo sciopero che andasse oltre una formale solidarietà?
Purtroppo dobbiamo prendere atto che i sostenitori delle piccole bandiere, i chierici delle minuscole parrocchie, le miopi visioni autoreferenziali hanno avuto il sopravvento sull’interesse concreto degli operai. Proclamando uno sciopero in una giornata diversa hanno, in questa occasione, oggettivamente diviso e con ciò indebolito il fronte degli operai in un’azione di lotta contro il padrone.
Il senso di appartenenza, di condizioni concrete condivise e quindi di comunità degli operai, non sono un’operazione ideologica astratta. Si tratta piuttosto anche di azioni concrete come quelle di essere dalla stessa parte in una azione di lotta, soprattutto quando si ha il medesimo singolo nemico da combattere.
I capetti del sindacalismo conflittuale hanno ancora una volta ribadito che preferiscono subordinare gli interessi degli operai alla visibilità della loro sigla sindacale più o meno minuscola, ed in questo, non si comportano in maniera molto diversa dal sindacalismo colluso dei confederali. Aderire allo sciopero e gestire nell’interesse degli operai i concentramenti ed i picchetti davanti ai magazzini avrebbe aperto dei momenti di confronto tra i partecipanti e delle interessanti contraddizioni. Come è successo a Milano. Infatti nel magazzino di via Toffetti gli operai del SOL Cobas (che ha aderito allo sciopero del 22/03), della Cgil, altri operai e solidali, hanno mantenuto i picchetti nonostante che i burocrati sindacali confederali si fossero opposti. Alla fine i sindacalisti compiacenti hanno dovuto battere in ritirata.


Il sindacalismo concertativo, di proposito, non ha coinvolto nella giornata di lotta un settore non secondario, della distribuzione in appalto delle merci Amazon, i dipendenti di Poste Italiane. I postini infatti consegnano la maggior parte dei pacchi di dimensioni ridotte di Amazon. Uno spazio che COBAS Poste o le altre sigle del sindacalismo alternativo, potevano cercare di occupare bloccando un comparto importante della filiera di Amazon, anche solo limitandosi a promuovere tra i postini un boicottaggio della distribuzione delle sole merci Amazon. Avrebbero potuto mettere così in contatto diverse generazioni e realtà di operai. Purtroppo anche se sollecitati a prendere una posizione sullo sciopero del 22/03 contro Amazon, i sindacalisti autoreferenziali ed imbolsiti di Cobas Poste scelgono di dedicarsi al terzomondismo solidaristico piccolo borghese piuttosto che tentare di sostenere ed allargare il fronte degli operai. Preferendo rimanere inerti e minoritari nella posizione di isolamento e subalternità in cui il principale sindacato colluso, la Cisl, li ha confinati in Poste Italiane.
Se i sindacalisti che si definiscono alternativi non riescono ad andare oltre la loro autoreferenzialità, segnali positivi arrivano invece dagli operai che riconoscendosi come comunità sostengono i loro colleghi in lotta contro il padrone e i loro servi. I comunicati degli operai Stellantis alla Whirpooool, degli operai Piaggio agli operai della Texprint di Prato e la delegazione degli operai GKN di Firenze alla Texprint ci parlano di gruppi di operai che si sono spinti molto più avanti delle presunte avanguardie che credono di rappresentarli.
M. C.

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