LA LETTERA CHE ARRIVERÀ DA S.FERDINANDO

22 marzo, Sylla Noumo, 32 anni muore bruciato nella tendopoli. Quasi tutti i notiziari di questi giorni sulla tendopoli di S. Ferdinando iniziano così: un altro bracciante muore bruciato nella tenda, va fatta piena luce, la situazione è indegna di un paese civile, lo Stato se ne faccia carico. I più cattivi arrivano a definire la condizione di questi operai neri come vergognosa e chiedono alla regione, al sindaco, al comune di intervenire. Ma prima o poi arriverà una lettera direttamente dalle baraccopoli. Caro uomo bianco, non abbiamo bisogno della tua solidarietà, non abbiamo bisogno del tuo impegno presso […]
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22 marzo, Sylla Noumo, 32 anni muore bruciato nella tendopoli. Quasi tutti i notiziari di questi giorni sulla tendopoli di S. Ferdinando iniziano così: un altro bracciante muore bruciato nella tenda, va fatta piena luce, la situazione è indegna di un paese civile, lo Stato se ne faccia carico. I più cattivi arrivano a definire la condizione di questi operai neri come vergognosa e chiedono alla regione, al sindaco, al comune di intervenire.

Ma prima o poi arriverà una lettera direttamente dalle baraccopoli.

Caro uomo bianco, non abbiamo bisogno della tua solidarietà, non abbiamo bisogno del tuo impegno presso le istituzioni per farci vivere da uomini invece che da bestie. Tanto non ci siete riusciti e non ci riuscirete mai. I miei fratelli morti bruciati sono ormai quattro in meno di un anno e nulla è cambiato.

Continuate pure a parlare di noi in qualche dibattito televisivo, discutete animatamente sulla soluzione da dare al problema dell’emigrazione. Affrontate, dalle vostre comode poltrone, le ragioni che ci spingono dall’Africa a venderci nelle vostre campagne per pochi euro e per lunghe giornate di sole. Non siete capaci di trovare soluzioni, dovreste abolire il padrone bianco che manda il caporale ad arruolarci per il lavoro nei campi, che ci sfrutta e rinunciare ai vostri bianchi privilegi. Non lo farete mai.

Non vi siamo riconoscenti nemmeno per averci  trovato una sistemazione nelle tende, il massimo che i “buoni cristiani” riescono a fare. Non sono più sicure delle baraccopoli, sono dei campi di concentramento per i lavori forzati. Non siamo nel deserto per vivere sotto le tende, a poche centinaia di metri ci sono case sfitte, inutilizzate, ma non sono per neri.

Voi prima ci costringete a costruirci baracche di legno e plastica per avere un posto dove dormire fra un turno e l’altro, poi per guerre politiche al vostro interno mandate le ruspe ad abbatterle. Noi  prendiamo i nostri quattro stracci e cerchiamo nuovi ripari. Abbattete baracche senza curarvi di che fine facciamo, ci offrite un posto in tenda come se fossimo  scappati da un terremoto e ci lasciate marcire lì.

Voi bianchi vi chiedete se siete razzisti. Chiedetelo a noi i diretti interessati, noi che veniamo a piedi dall’Africa, con la pelle nera, guardati con sospetto quando non lavoriamo e guardati a vista dai caporali quando ai piedi delle piante  raccogliamo la frutta che a mezzogiorno e sera mangiate senza chiedervi  quale schiavo, in quale campo ha piegato la schiena per qualche euro a cassetta.

Il vostro ministro degli interni, Salvini non fa che minacciarci con la galera, è venuto nelle baraccopoli ma i suoi nemici eravamo noi, non chi ci sfrutta senza limiti nei campi di lavoro. I suoi oppositori bianchi si guardano bene dal fargli una lotta accanita, chiamando noi all’azione diretta. Il contrasto al razzismo va fatto con parole dolci, con atti gentili, dicono. Ma vi rendete conto cosa vuol dire per un uomo  usare il colore della sua pelle per trattarlo come una sottospecie umana. Neri sono i morti bruciati nelle baraccopoli, neri i fratelli uccisi per strada a Castel Volturno.

 Mi guardo indietro e ripenso ai trecento anni di schiavitù che abbiamo subito in ogni piantagione del mondo ed oggi, in Italia, ci troviamo nella stessa condizione. Non è cambiato niente.

Dobbiamo riconoscere che abbiamo sbagliato a sperare che l’essere neri non fosse più una maledizione nella società dei bianchi, ci costringete ad abbandonare tutte le illusione e tornare alla nostra antica lotta per liberarci da una schiavitù ancora in vigore.

State attenti, non tirate troppo la corda, i mediatori culturali non riusciranno a lungo a tenerci a bada, la rabbia non può essere repressa a lungo, le rivolte di noi uomini neri lasciano il segno.

Questa è la lettera che ci aspettiamo, la stanno scrivendo, arriverà.

E.A.

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