Contratto nazionale e licenziamenti, la Confindustria torna all’attacco “Più flessibilità”

Redazione di operai Contro, Squinzi ha consegnato a Poletti un documento che ricalca il contestato modello del Lingotto ROMA . Di nuovo l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. La Confindustria chiede di andare oltre la riforma Fornero e di limitare la possibilità di reintegrazione nel posto di lavoro nei soli casi di licenziamenti illegittimi discriminatori o nulli, facendo saltare le altre due ipotesi peraltro già decisamente circoscritte: i licenziamenti economici e quelli disciplinari. Ma c’è anche di più, in termini di flessibilità, nel documento (“Proposte per il mercato del lavoro e la per la contrattazione”) consegnato ieri dal presidente […]
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Redazione di operai Contro,
Squinzi ha consegnato a Poletti un documento che ricalca il contestato modello del Lingotto ROMA . Di nuovo l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
La Confindustria chiede di andare oltre la riforma Fornero e di limitare la possibilità di reintegrazione nel posto di lavoro nei soli casi di licenziamenti illegittimi discriminatori o nulli, facendo saltare le altre due ipotesi peraltro già decisamente circoscritte: i licenziamenti economici e quelli disciplinari. Ma c’è anche di più, in termini di flessibilità, nel documento (“Proposte per il mercato del lavoro e la per la contrattazione”) consegnato ieri dal presidente degli industriali, Giorgio Squinzi, al ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. C’è la riscrittura delle regole della contrattazione. Con la proposta hard di rendere derogabile il contratto nazionale di lavoro. È scritto chiaro nel documento: «Consentire alle imprese che hanno la contrattazione aziendale di negoziare solo incrementi retributivi effettivamente collegati ai risultati aziendali senza quindi riconoscere gli aumenti fissati dai contratti collettivi nazionali di lavoro». Nei fatti è l’estensione
del modello Fiat per la cui realizzazione Sergio Marchionne uscì polemicamente proprio dalla Confindustria. Il contratto nazionale avrebbe la sola funzione di stabilire la cornice normativa. E gli aumenti salariali sarebbero legati esclusivamente all’andamento dell’impresa. Obiettivo: recuperare produttività, in calo costante negli ultimi due decenni, e abbassare il costo del lavoro che dal 2000 al 2013 è aumentato di circa 10 punti più che in Germania. Dunque un passo netto verso una maggiore flessibilità della prestazione di lavoro (c’è pure la proposta di intervenire sulle mansioni) e sull’uscita dal lavoro. E allora, piace a Confindustria la nuova disciplina sui contratti a termine mentre arriva la frenata sul contratto unico a tutele crescenti, l’architrave del Jobs Act renziano. Il rischio — è scritto — è «di irrigidire eccessivamente la legislazione del lavoro». Meglio il salario minimo legale (previsto anch’esso dal Jobs Act) che «potrebbe contribuire ad
accelerare quel processo di modernizzazione che consideriamo una opportunità». Cancellando il contratto nazionale.

dalla Repubblica del 22 maggio 2014

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