COMPRARE I VOTI, DA LAURO A DI MAIO

Un’antica tradizione politica italiana, dai pacchi di pasta, agli 80 euro, all’elemosina del reddito di cittadinanza prima delle elezioni di Maggio. I voti si comprano. Caro operai Contro, tra due mesi ci sono le elezioni per il parlamento europeo. Si voterà anche in oltre 3800 comuni per eleggere le amministrazioni locali, e per le regionali in Basilicata e Piemonte. Se le balle sono il sale delle campagne elettorali, qualche promessa deve essere in qualche modo mantenuta, anche nella brutta copia di come veniva presentata. Succede sempre che ciò si realizzi, mantenendo e semmai aumentando il divario tra diversi livelli […]
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Un’antica tradizione politica italiana, dai pacchi di pasta, agli 80 euro, all’elemosina del reddito di cittadinanza prima delle elezioni di Maggio. I voti si comprano.

Caro operai Contro, tra due mesi ci sono le elezioni per il parlamento europeo. Si voterà anche in oltre 3800 comuni per eleggere le amministrazioni locali, e per le regionali in Basilicata e Piemonte.

Se le balle sono il sale delle campagne elettorali, qualche promessa deve essere in qualche modo mantenuta, anche nella brutta copia di come veniva presentata. Succede sempre che ciò si realizzi, mantenendo e semmai aumentando il divario tra diversi livelli sociali.

I padroni sponsorizzano i loro politici e sono poi questi che arrivati al governo, agevolano e finanziano le imprese con denaro pubblico.

Ciò che i padroni avevano investito per foraggiare i loro uomini nei partiti, risulterà una spesa infinitesimale rispetto ciò che ottengono: una rinnovata continuità della politica del nuovo governo, con nuove regole e leggi per lo sfruttamento degli operai.

Per i poveri, Di Maio stanzia un elemosina con il reddito di cittadinanza, mentre ai padroni regala milionate di euro, esempio, dal miliardo stanziato per le aziende che lavorano per l’aereonautica militare, fino ad un altro miliardo annunciato il 4 marzo a Torino, per il fondo innovazione imprese.

Per comprare voti dei livelli sociali più bassi, Di Maio aveva promesso l’abolizione del Jobs act. Ha invece partorito il decreto dignità. Una chiavica con irrisorie multe ai padroni, per il mancato reintegro degli operai licenziati. Il Jobs act è rimasto intatto, tale e quale lo ha fatto Renzi.

Per le elezioni di maggio, Di Maio che sta traballando perfino sul NO alla Tav, butta fumo negli occhi col taglio delle pensioni d’oro, ma non è meno responsabile di tutto ciò che fa Salvini, perché è con lui che ha sottoscritto il patto di governo.

Dopo le elezioni politiche del 4 marzo 2018, per le quali Di Maio comprava voti con promesse ai livelli sociali bassi, e Salvini lo faceva alimentando e cavalcando l’onda razzista, ma rassicurando i padroni sulla fattibilità di infrastrutture e grandi opere, ci siamo ritrovati con il governo Conte.

Con il decreto sicurezza che criminalizza le lotte operaie: il picchetto che diventa reato penale; sfratti, sgomberi, una vera caccia agli immigrati e a tutto il disagio sociale; utilizzo su larga scala di droni e videosorveglianza su lotte e cortei; utilizzo delle pistole Taser, come l’altro giorno contro gli operai in sciopero per la vertenza Zara; ricorso al Daspo urbano, come successo contro gli operai della Fca licenziati.

Tutte misure contro gli strati più deboli e contro gli operai che lottano, perché ogni giorno c’è una fabbrica che chiude.

I padroni ringraziano Salvini e Di maio che con i voti comprati in campagna elettorale, hanno dato vita al governo Conte, continuando “l’innovazione” in peggio della condizione operaia.

Renzi si era insediato al governo con i voti presi da Bersani e soci. Poi il suo piano di comprare voti, ha funzionato solo una volta in occasione delle europee del 2014. Regalando con il Jobs act l’operaio usa e getta alle aziende, Renzi puntava all’incasso dei voti dei padroni e tutta la cerchia che la pensa come loro.

Al tempo stesso Renzi mirava di incassare anche i voti dei lavoratori dipendenti, con busta paga dai 1400 ai 1600 euro lordi mensili, dando loro i famosi 80 euro lordi al mese. Il piano per comprare voti di Renzi, escludeva in partenza, perché già dati persi, gli operai e i lavoratori dipendenti sotto i 1400 euro mensili, ai quali non diede gli 80 euro.

Nella tradizione italiana dei voti comprati, ricordiamo i pacchi di pasta distribuiti a pioggia dall’armatore e parlamentare Achille Lauro nelle elezioni del dopoguerra. Quando invece della distribuzione dei pacchi di pasta, regalò agli elettori una scarpa prima e una dopo le elezioni, configurò per la prima volta nel dopoguerra, il “voto di scambio”.

Il voto di scambio fa il paio con l’antica tradizione del trasformismo dei politici, spesso finalizzato come fu per Achille Lauro, ai propri interessi e alla flotta che portava il suo nome. Achille Lauro armatore, politico, parlamentare e sindaco di Napoli, veniva dal partito nazionale fascista e dopo vari cambi di casacca, terminò la vita di parlamentare nel 1979 con il partito, destra nazionale.

Disertare le urne elettorali è l’unica certezza per gli operai, di non fornire alcun alibi alla continuità del proprio sfruttamento, con o senza voti di scambio e trasformismi dei politici.

Saluti Oxervator

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1 Comment

  1. alanza53

    ” Soltanto dei mascalzoni o dei semplicioni possono credere che il proletariato debba prima conquistare la maggioranza alle elezioni effettuate sotto il gioco della borghesia, sotto il gioco della schiavitù salariale, e poi conquistare il potere. E’ il colmo della stupidità o dell’ ipocrisia ; ciò vuol dire sostituire alla lotta di classe e alle rivoluzione le elezioni fatte sotto il vecchio regime, sotto il vecchio potere”. V. I. Lenin