PISTOLETTO, LA VENERE DEGLI STRACCI E GLI STRACCIONI

Politici, media e intellettuali possono bollare come vogliono questi atti di istintivo rifiuto come vandalismo, ma non possono celare che il rogo ha reso evidente l’abisso e il contrasto che separa i poveri dai ricchi “colti” e gaudenti
Condividi:

Politici, media e intellettuali possono bollare come vogliono questi atti di istintivo rifiuto come vandalismo, ma non possono celare che il rogo ha reso evidente l’abisso e il contrasto che separa i poveri dai ricchi “colti” e gaudenti


 

Pistoletto è incredulo. Non riesce a capacitarsi che la sua opera d’arte “donata” (alla modica cifra di circa 170.000 €) alla città degli stracci sia stata distrutta da un rogo. Non riesce a capacitarsi che l’uomo sospettato di aver dato fuoco all’installazione possa indossare gli stessi stracci che adornano la sua opera e che in essa non abbia saputo immedesimarvisi, ritenendola a tal punto distante da sé e dal contesto in cui vive che quel gesto gli sarà apparso forse naturale e liberatorio, non potendo caricarlo di significati provocatori e ribellisti. Ma cosa descrive meglio la realtà, cosa si avvicina al concetto più autentico di arte sociale, il gesto che incenerisce gli stracci di chi li indossa realmente o la finzione plastica di chi pretende di saper rappresentare mediante il gesto artistico una realtà da cui è completamento avulso? Non chiedetelo a Pistoletto. Lui ha già la risposta. Da ricco artista borghese di fama internazionale ritiene che la realtà non abbia saputo adeguarsi al suo messaggio. Pistoletto, come tanti altri artisti impregnati di una visione elitaria, ritiene che l’arte debba avere ad ogni costo una funzione educativa, pedagogica, di orientamento al bene per le masse incolte e illetterate. La sua opera collocata nel centro di Piazza Municipio a Napoli doveva rappresentare la parte stracciata del mondo, con la tipica arroganza di chi pretende dall’alto della sua condizione sociale di saper esprimere i sentimenti degli ultimi e degli emarginati. Di saper parlare a loro. Di saper parlare di loro. D’altro canto l’arte borghese ha sempre espresso il cruccio e la necessità di diventare un’arte capace di arrivare a tutti, raccogliendo le simpatie e i favori anche degli strati sociali distanti per condizioni culturali e materiali, assumendo la missione di elevarli, con l’ipocrita fraseologia della bellezza che salverà il mondo, mascherando invece la funzione essenziale dell’arte per la borghesia in quanto classe, quella cioè di esercitare la propria egemonia provando sempre a influenzare intellettualmente gli strati sociali più bassi e sussumerli, anche attraverso il mezzo artistico.
Gli stracci della Venere dovevano essere allora compresi, assimilati e idolatrati dagli straccioni di Napoli. Se ciò non è avvenuto l’artista borghese si indigna e vede in quel gesto un processo di autocombustione, “la parte stracciata del mondo che distrugge sé stessa”, ha dichiarato Pistoletto. Non può vedere invece quanto sia fallimentare e alienante il suo modo di intervenire in una complessa realtà sociale come quella napoletana, dove spesso capita che gli ultimi non se ne stiano buoni in silenzio ad accettare passivamente ciò che viene calato dall’alto pretendendo di parlare per conto loro e al loro posto. Non vede quanto sia violento il modello economico di una società che lascia giovani di 32 anni a vagare per le strade senza un tetto mentre effonde ricche commissioni per l’installazione di opere d’arte che di quella miserevole condizione vorrebbero essere proprio l’espressione. Pistoletto è incredulo che la compassione di una Venere non basti, che la sua mano carezzevole che tocca la povertà e la trasforma in bellezza non sia bastata a preservarla dalla rabbia di chi, non potendone più dei suoi veri stracci, il coraggio l’ha trovato ingenuamente in un accendino. Perché il giovane senza tetto negli stracci che indossa e trascina ogni giorno per le strade della città ci vede solo la condanna di una società che non ha saputo offrirgli nient’altro che miseria e bruttezza e in quella rappresentazione plastica e algida della sua condizione sociale non riesce a trovarci nessuna redenzione. Il gesto di dargli fuoco diventa così un inconsapevole gesto di ribellione alla sua stessa condizione, che di stracci ne ha fin troppi e in giro ne vede troppi, non riuscendo anche ad accettare che un benestante signore sessantenne con il vezzo artistico venga a ricordargli come è fatta la sua realtà, imponendogli perfino di amarla e rispettarla.
Pistoletto, i poveri non ti amano. Fattene una ragione. Non amano i tuoi stracci gettati al vento con la protervia di chi non sa cosa significhi indossarli perché non l’ha mai dovuto fare e pretende che la rappresentazione artistica diventi il toccasana dei diseredati. Forse perché, fosse anche inconsapevolmente, gli straccioni avvertono che non basterà una mano di Venere per uscire dalla povertà, per trovare un rifugio sicuro, per avere un lavoro dignitoso che gli procuri un pasto che non sia quello rimediato nelle mense della Caritas. Forse perché, anche inconsapevolmente, gli straccioni avvertono che la loro condizione dipende proprio da quella parte ricca del mondo che li sfrutta e li sottomette, quella parte che non solo li riduce in stracci ma pretende poi anche di cantarne le bellezze, di fare con l’arte un’apologia della loro povertà. Deprivati dalla borghesia di ogni risorsa, di ogni mezzo di sostentamento, affamati, immiseriti, emarginati agli angoli delle metropoli senza casa, ridotti in stracci ma con la naturale propensione a doversi riconoscere nelle opere d’arte che la borghesia dispensa loro, altrimenti ritenuti incomprensibilmente inumani. La borghesia sa essere così cinica e spietata che dopo aver messo sul lastrico milioni di persone pretende che questi si riconoscano pure nella condizione disumanizzante che è stata loro inferta, esprimendo amore per le opere che li descrivono come straccioni. Un congegno culturale meschino e diabolico, altro che opere d’arte grandiose!
Fa parte della narrazione borghese dominante anche la descrizione che si è fatta in questi giorni di una città incapace di custodire le sue bellezze, con ripetute incursioni vandaliche atte a deturpare qualsiasi intervento di decoro urbano. Una città in preda ad una generale e incontrollata avversione al senso estetico. Si autoassolvono così coloro che non riescono ad accettare banalmente l’idea che ci sono stati contributi culturali e artistici che non hanno ricevuto lo stesso trattamento riservato all’opera di Pistoletto e che campeggiano sulle facciate di palazzi dei rioni popolari, sui muri dei quartieri, intatti dopo anni e che anzi vengono adorati e in alcuni casi diventano veri e propri oggetti di culto, come i murales dedicati a Maradona, ma anche l’opera di Banksy presso il Decumano maggiore o le tante opere di Street-Art che il giovane artista napoletano Jorit ha disseminato tra le varie periferie, da Scampia a San Giovanni a Teduccio. Evidentemente non c’è una città ostile all’arte, ci sono opere che non sono risultate estranee al suo tessuto culturale, che hanno saputo creare meccanismi di riconoscibilità e interazione con chi non deve viverle come l’ennesimo momento di una catena di comando istituzionale che si abbatte sulla città e di conseguenza sulla sua vita o l’ennesima condanna istituzionale, facendo rientrare in questa categoria anche l’arte fattasi istituzione. È andata diversamente per l’installazione di Pistoletto, con buona pace di chi ha voluto approfittare di questa vicenda per gettare in pasto all’opinione pubblica il trito racconto sulla cronica inciviltà che attanaglia i reietti dei quartieri napoletani.
Ma l’imposizione ostinata si sa è un tratto distintivo delle classi possidenti che mostrano il pugno, dopo la carezza della mano di Venere, quando sentono aria di disobbedienza. Così Pistoletto, con il sindaco Manfredi e qualche furbo intellettuale del conformismo mainstream come Maurizio De Giovanni, assicurano di assoldare la vigilanza privata, se non proprio la forza pubblica, per proteggere la futura Venere che sarà ricostruita. Un check point militare accoglierà i visitatori della Venere e la sorveglierà. L’arte borghese è così smaniosa di accreditarsi presso il popolo, di farsi amare, che pianterà un arsenale in piazza per proteggersi dagli assalti dei suoi fruitori-destinatari. La chiameranno la Venere col mitra. Ma questa è un’altra storia…
A. B.

Condividi:

Comments Closed

Comments are closed. You will not be able to post a comment in this post.