QUATTRO ORE DI SCIOPERO: PER DARE PIÙ SOLDI AI PADRONI O AGLI OPERAI?

I confederali chiamano allo sciopero generale gli operai metalmeccanici non contro i licenziamenti né per aumentare i salari, ma per richiedere più finanziamenti alle imprese. Occorrerebbe uno sciopero di parte operaia che solo la ripresa  indipendente delle lotte potrà portare
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I confederali chiamano allo sciopero generale gli operai metalmeccanici non contro i licenziamenti né per aumentare i salari, ma per richiedere più finanziamenti alle imprese. Occorrerebbe uno sciopero di parte operaia che solo la ripresa indipendente delle lotte potrà portare


 

Dopo anni di divisioni, FIM, FIOM e UILM, la famosa triplice, si è ricompattata per affermare “la centralità del lavoro metalmeccanico” e per sostenere un piano di rilancio industriale in Italia, proclamando quattro ore di sciopero nel settore con presidi e manifestazioni.
Nella sostanza, i sindacalisti chiedono al governo un intervento di sostegno pubblico in “questa fase di cambiamento” per le imprese, in particolare per Stellantis, per “salvare l’industria metalmeccanica e l’occupazione”.
Michele De Palma della FIOM afferma che “Servono scelte politiche e industriali per far sì che i cambiamenti diventino un programma di ricerca, progettazione, sviluppo e produzione contrattata tra Governo, imprese e lavoratori”. Quello che sta dietro alla mobilitazione della triplice è, secondo lui, la richiesta di rilanciare “gli investimenti per far sì che l’Italia diventi un Paese industriale all’avanguardia dal punto di vista tecnologico e ambientale, per una qualità sostenibile della vita e del lavoro, l’esatto contrario del modello liberista oggi dominate. Non vogliamo più essere un Paese che si illude di competere sul lavoro povero, la precarietà e il saccheggio delle risorse umane e naturali, gli appalti al massimo ribasso, le morti sul lavoro. Governo e imprese devono convincersi che non possiamo più essere tutto questo, se vogliamo avere un futuro”.
De Palma guarda all’America, all’Europa dei ricchi, all’emergente Cina. Il suo pensiero è che a noi, “lavoratori” dei paesi sviluppati, tocca un lavoro di “qualità”, fatto di “professionalità”, macchinari all’avanguardia e tecnologie. Ai paesi poveri tocca il lavoro malpagato e le produzioni meno sviluppate. Crede di essere un progressista, un difensore dei “lavoratori”, in realtà esprime un concetto classico dei rappresentanti dell’imperialismo, del diritto cioè degli abitanti delle nazioni economicamente più avanzate, ad avere una posizione privilegiata rispetto a quelli delle nazioni economicamente arretrate.
Lo stesso Tavares non la pensa in modo diverso. Secondo lui: “E’ meglio tenere le produzioni a più alto valore aggiunto in Europa occidentale e le altre in Paesi fuori dall’Europa, dell’Est o del Sud, che sono meno costosi dei Paesi del Nord o occidentali”.
Ma serve la pressione sindacale per far dare soldi pubblici a Stellantis? Assolutamente no. Il ministro Urso, come i suoi predecessori, non ha nessuna intenzione di non aiutare gli azionisti di Stellantis. In cassa ci sono almeno 6 miliardi per il settore auto, ma questi soldi non miglioreranno la condizione degli operai.
Lo sviluppo tecnologico che ha portato a produrre nell’Occidente avanzato prodotti a “più alto valore aggiunto” ha ridotto relativamente il numero di operai occupati. Nell’attuale società si fanno le innovazioni impiantistiche, si potenziano i macchinari non per migliorare la condizione degli operai, ma per produrre in minor tempo le stesse merci con meno operai.
Se guardiamo a Stellantis, negli ultimi trent’anni si sono persi più della metà dei posti di lavoro, mentre la produzione giornaliera è aumentata in modo inversamente proporzionale, più del doppio rispetto a prima.
Per il futuro le produzioni che saranno attuate, con impianti e macchinari sempre più super tecnologici, saranno fatte da operai che lavoreranno in condizioni ancora peggiori rispetto a prima. La politica attuale sulle “sinergie” di Tavares ci dà un quadro chiaro di quello che ha in mente: risparmio su tutto, dall’acqua per i bagni al riscaldamento/raffredamento degli stabilimenti; dalla mensa alla pulizia e sicurezza. Tutto condito con aumento dei ritmi, turnazioni impossibili, bassi salari, peggioramento complessivo della vita. Altro che “qualità sostenibile della vita e del lavoro”.
Con il “cambiamento” verso l’elettrico si avrà una ulteriore riduzione del numero degli operai perché una serie di lavorazioni diventeranno superflue. In più, nei piani della dirigenza, la produzione delle auto elettriche sarà, almeno inizialmente, inferiore a quella delle auto a combustione. A Melfi, per esempio, si prevedono almeno 300 auto in meno al giorno. Questo significa, che proprio grazie al “cambiamento”, buona parte dell’indotto verrà ridimensionato e le poche lavorazioni che rimarranno di questo settore verranno attuate nello stabilimento centrale dagli operai qui in esubero.
D’altra parte, le auto che si produrranno non potranno far parte del consumo degli operai, visto che costano almeno il 40% in più rispetto a quelle a combustione che, con gli attuali salari e l’inflazione, sono già proibitive per le famiglie operaie. Per poterle vendere Stellantis dovrà guardare ad altri mercati dove esistono pescicani simili ai padroni di Stellantis, e questo peggiorerà lo scontro commerciale già in atto e determinerà una ulteriore tendenza alla riduzione dei costi per “battere i concorrenti” che sta già portando alla miseria gli operai a livello mondiale.
A questo punto uno si chiede: Ma che senso ha per il sindacato fare uno sciopero del genere? Evidentemente i nostri sindacalisti devono far vedere agli operai che si interessano del loro futuro e nello stesso tempo far capire all’attuale governo che contano qualcosa e che hanno un ruolo. Ma mandano anche un messaggio al padrone dicendogli: non preoccuparti questa mobilitazione è per sostenerti, non è contro di te.
Un sindacato operaio dovrebbe fare gli interessi degli operai. Dovrebbe assumere il punto di vista e le condizioni dei suoi rappresentati per fare la sua attività: battersi per condizioni di lavoro migliori, salari decenti, contro le discriminazioni in fabbrica, in particolare verso gli rcl, particolarmente odiose, per far abbassare i ritmi di lavoro. Non altro. I nostri sindacalisti invece non fanno sindacato a favore degli operai, ma fanno i politicanti, volendo apparire “democratici e progressisti”, rimasticando vecchie favole riformiste che vanno benissimo ai padroni, e sostenendo nella realtà proprio le politiche padronali.
Se continuiamo a seguirli, come operai andremo sempre peggio. Dobbiamo cominciare a ragionare di nuovo su quali sono i nostri interessi e quali quelli del padrone. Dobbiamo partire dal presupposto che sono interessi inconciliabili: se una politica va bene al padrone significa che fotte noi.
Dobbiamo organizzarci in modo indipendente, come operai, tenendo presente che nel sistema dei padroni, che i nostri sindacalisti reputano eterno e senza alternative, per noi andrà sempre peggio. I sindacalisti hanno proclamato uno sciopero fasullo su temi estranei ai nostri concreti interessi, creando i presupposti per farlo fallire.
Nella maggior parte delle fabbriche in cui operai e delegati non l’organizzeranno fallirà. Ma se nelle fabbriche, in cui ultimamente si sono visti momenti autonomi di ribellione operaia a condizioni di lavoro insopportabili, gruppi di operai vedranno la possibilità di utilizzare lo sciopero per un ulteriore messaggio al padrone, sarà per tutti un segnale chiaro della crescita di una opposizione in fabbrica su nuovi presupposti, di cui padroni, governo e anche i sindacalisti più asserviti non potranno non tenerne conto. Quanto più gli operai saranno in movimento tanto più non accetteranno di farsi portare a spasso su obiettivi che favoriscono i padroni e danneggiano gli operai.
F. R.

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