NON TUTTO È SOTTO CONTROLLO

Liquidare i sussidi che fino ad oggi sono serviti per attenuare il peso della disoccupazione non è poi così semplice. I lavoratori lucani interessati a questi contributi, anche se miseri, non ci stanno, protestano sotto la Regione a Potenza e mettono in crisi maggioranza ed opposizione.
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Liquidare i sussidi che fino ad oggi sono serviti per attenuare il peso della disoccupazione non è poi così semplice. I lavoratori lucani interessati a questi contributi, anche se miseri, non ci stanno, protestano sotto la Regione a Potenza e mettono in crisi maggioranza ed opposizione.


 

Rispetto alla crisi economica, i padroni cercano di aumentare i margini di profitto con l’idea di far ripartire in questo modo il baraccone. L’illusione è che garantire più profitti sia sufficiente per riaprire una fase di sviluppo economico. I politici, di destra e di sinistra, sostengono la politica padronale spingendo così, sempre più in basso le condizioni dei lavoratori, sapendo bene che più queste peggiorano e più crescono i profitti dei capitalisti. L’attuale governo di centrodestra lo fa in maniera più diretta e scoperta. Il programma della destra al governo è semplice: tenere bassi il più possibile i salari, facilitare e alimentare la precarizzazione dei contratti di lavoro per rendere gli occupati più ricattabili e sottomessi, costringere l’esercito dei disoccupati ad accettare condizioni salariali e lavorative sempre peggiori, pur di sopravvivere. Il taglio dei sussidi diventa allora il perno della loro politica “per il lavoro”. Il decreto lavoro del primo maggio riassume plasticamente queste scelte.
Finora, gli strati più poveri stanno subendo passivamente, ma dei primi, parziali segnali del manifestarsi di tentativi di resistenza cominciano a manifestarsi. Il più significativo fra questi è quello degli RMI e TSI lucani.
In Basilicata la disoccupazione è alta, malgrado la presenza dell’importante polo industriale Stellantis a Melfi. Con la giustificazione di attenuare il disagio sociale sono state messe in campo negli anni alcune misure assistenziali, definite in maniera fantasiosa con delle sigle, Rmi (Reddito minimo di inserimento) e Tsi (Tirocini di inclusione sociale). In sostanza si è trattato dell’erogazione di un minimo sussidio, di circa 550 € mensili, in cambio della prestazione di attività lavorative prevalentemente presso enti pubblici (comuni, scuole, tribunali). Si è venuta a creare così una situazione per molti versi paradossale: 1800 lavoratori, formalmente percettori di un miserabile sussidio, ma costretti a lavorare senza diritto a malattia, maternità, contributi pensionistici. Lavoratori senza contratto, occupati in nero presso pubbliche amministrazioni, mascherati dalla foglia di fico del sussidio alla povertà. Significativamente, responsabili di queste situazioni sono sia il centrosinistra che il centrodestra, alternatisi al governo nazionale e regionale.
Seguendo gli indirizzi nazionali, la giunta regionale lucana mette in atto un tentativo per liquidarli, chiudendo l’esperienza il 30 giugno per gli RMI e il 31 ottobre per gli ex TIS. I lavoratori coinvolti verrebbero inseriti nel calderone dei disoccupati della regione e, insieme a questi, coinvolti in corsi di formazione professionale nell’ambito del progetto GOL (Garanzia Occupabilità Lavoratori) da finanziare con i fondi del PNRR. Di questo finanziamento di dieci milioni di euro, poco più della metà coprirebbero le ore d’impegno ai corsi di formazione dei lavoratori, e i rimanenti, poco meno di cinque milioni di euro, toccherebbero ai “formatori” regionali, cioè ai partecipanti al carrozzone clientelare degli attuali amministratori regionali.
Questo colpo di mano, però, ha sortito un effetto che evidentemente i vertici politici regionali non prevedevano, fiduciosi che la distribuzione sul vasto territorio precludesse la possibilità di organizzarsi unitariamente ai 1800 lavoratori. La risposta infatti è stata immediata e organizzata, anche se, per ora, non ha coinvolto tutta la platea interessata. Un gruppo consistente di loro ha così iniziato un presidio sotto la Regione a Potenza, con degli obiettivi limpidi: rifiuto del piano regionale per liquidarli come Rmi e Tsi e richiesta di un salario adeguato, del riconoscimento dei diritti e della stabilizzazione per tutti.
Una bella grana per la Regione, che puntava ad impegnare questi lavoratori nella solita pletora dei corsi di formazione che sottende la favola per cui si è disoccupati perché non qualificati, favola sempre smentita dal dato che questi corsi sistematicamente non offrono nessuno sbocco lavorativo, ma che assicurano ai “formatori” lauti guadagni.
L’azione dei precari lucani rappresenta una critica pratica a queste politiche. La proposta regionale è stata così rispedita al mittente.
Come con determinazione hanno respinto al mittente anche un altro goffo tentativo di percorrere in maniera tradizionale la strada con cui i partiti e i sindacati hanno finora fatto finta di “risolvere” il problema dei disoccupati. I confederali regionali hanno avanzato una proposta, anticipata come al solito dal PD, di dirottare la maggioranza di questi lavoratori, dividendoli, in fantomatiche cooperative del cosiddetto terzo settore. I lavoratori, in numerose assemblee svolte nei vari comuni della Basilicata, hanno decisamente rifiutato anche questa proposta, perché con essa si otterrebbe solo il risultato di spezzare il legame di fatto che i precari hanno con le singole amministrazioni pubbliche che finora li hanno sfruttati, senza nessuna garanzia né di salario né di continuità lavorativa. La protesta è stata così massiccia da indurre i “confederali” ad accantonare, almeno fino a quando i lavoratori precari rimarranno con determinazione sulle loro attuali posizioni unitarie, questa prospettiva, ricercando una unità di azione con il settore più attivo dei precari, promotori della tenda-presidio, contro i piani del governo regionale.
F. R.

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