VANNA MARCHI A PALAZZO CHIGI

Il gioco delle cifre non conosce limite, la cosa essenziale è che rimanga il fumo dell’aumento dei cento euro  in busta paga. I conti li faremo nella realtà di un salario che scende, il lavoro precario aumenta e il pagamento con i vaucher si allarga.
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Il gioco delle cifre non conosce limite, la cosa essenziale è che rimanga il fumo dell’aumento dei cento euro in busta paga. I conti li faremo nella realtà di un salario che scende, il lavoro precario aumenta e il pagamento con i voucher si allarga.


 

Caro Operai Contro, lo spot della Meloni del 1° maggio, ripreso e rilanciato anche nei giorni seguenti a rete unificate con più replay, conferma che la montagna ha partorito il topolino. L’annunciato “taglio del cuneo fiscale” che secondo la Meloni e i suoi replicanti, porterebbe a sgravi in busta paga con aumenti di salario fino 100 euro mensili, si è rivelato una bufala. Con l’effetto mediatico che la sparata dei 100 euro di aumento, nell’intenzione della Meloni e dei protagonisti di questa sceneggiata, rimanga nelle orecchie di chi è davanti al televisore.
Si può dire 100 euro di pura propaganda, (135 per alcuni giornali) anche perché scatterebbe lo scaglione superiore dell’Irpef, neutralizzando parte dell’aumento. A meno che la Meloni – che fra l’altro non ha ancora presentato il testo definitivo del decreto – intervenga per rimediare a questo, con detrazioni ecc.
Dal raffronto delle cifre (provvisorie?) rilasciate da figure del governo, risulta che l’aumento massimo sarebbe di 60 euro e non 100. Comunque solo per redditi di 35 mila euro annui, e poi a scalare per i redditi più bassi.
Così sembrerebbe anche dal Sole 24 ore del 3 maggio 2023: “L’impatto massimo (quindi esclusi redditi medi e bassi ndr) in busta paga è di 60 euro, e si arriva a 100 euro, solo grazie al cumulo con la manovra di bilancio 2023”, (che riconfermava anche gli sgravi del governo Draghi ndr).
La Meloni presenta il suo sgravio fiscale, come “il più grande taglio delle tasse della storia recente”, ma da più parti gli fan notare che si tratta di una gran balla, elencando i governi che hanno fatto sgravi anche più consistenti e stabili, mentre il suo, oltre che più scarso, dura solo i 6 mesi luglio/dicembre 2023. Dopodiché se non rifinanziato decade.
Altro “particolare” tutt’altro che trascurabile è che il governo Meloni, nello slancio per “aumentare i salari”, non ha naturalmente aumentato le tasse su profitti ed extraprofitti, nossignori. Ha tagliato i contributi previdenziali, (non l’Irpef) e stante il loro sistema di gestione della finanza pubblica ha creato un buco nel fondo pensioni. Questo buco lo coprirà l’Inps? Oppure ne faranno le spese i futuri pensionati e gli attuali, con pensioni e rivalutazioni sempre più inadeguate e/o da fame?
Poi il governo Meloni con meno vincoli alle regole d’ingaggio e l’abolizione delle causali nei contratti a termine, incentiva il lavoro precario che già nel 2022 ha messo il turbo, stabilendo il record storico con ben oltre 3 milioni di dipendenti a scadenza.
Inoltre in alcuni settori il governo getta benzina sul fuoco della precarietà, alzando da 10 a 15 mila euro il tetto per pagare i lavoratori con i voucher.
I dati dell’Osservatorio sul precariato dell’Inps, mostrano come un esercito sempre più folto di precari è costretto per campare ad accettare anche contratti di pochi giorni, poche settimane, pochi mesi, per poi trovarsi sempre al punto di partenza a cercare lavoro.
Nel 2022 il totale delle assunzioni per tipologia contrattuale sono stati complessivamente 8.112.579. Solo 1.382.797 (il 17,04%) di queste erano assunzioni a tempo indeterminato. Il restante 82,96% sono così suddivisi nel limbo della precarietà legalizzata: 3.562.630 assunzioni a termine, 1.026.127 assunzioni stagionali. 1.066.516 assunzioni in somministrazione, 721.648 assunzioni con contratto intermittente. 352.861 assunzioni in apprendistato.
La Meloni è già partita con un altro spot propagandistico del governo, mentre ancora non si conoscono le norme e i contorni definitivi del “decreto 1° maggio”. C’è ne comunque abbastanza, data anche la condizione operaia e la crescente povertà in cui viene calato, per fare in modo che “fare come in Francia” non resti solo uno slogan. Certo che se aspettiamo la mobilitazione dei capi sindacali confederali possiamo solo fare come in Italia, subire in silenzio.
Saluti Oxervator.

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