MILANO, LA CAPITALE MORALE, HA IL SUO HOTSPOT

Davanti alla sede decentrata dell’Ufficio Immigrazione della Questura, in Via Cagni, sono accampati diverse centinaia di immigrati richiedenti asilo, lunghe ed interminabili file per i permessi di soggiorno che non arrivano e se protestano la solita medicina: cariche della polizia e denunce.
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Davanti alla sede decentrata dell’Ufficio Immigrazione della Questura, in Via Cagni, sono accampati diverse centinaia di immigrati richiedenti asilo, lunghe ed interminabili file per i permessi di soggiorno che non arrivano e se protestano la solita medicina: cariche della polizia e denunce.


 

Caro Operai Contro, in assenza in Italia di un vero percorso di accoglienza, (degno di questo nome), dei migranti, fuori dal centro di Milano, come a Lampedusa, come a Pozzallo o a Isola Capo Rizzuto, c’è un hotspot che qualcuno ha giustamente definito “della disperazione”.
I richiedenti asilo da mesi a intermittenza si accampano in diverse centinaia in via Cagni, la sede decentrata dell’Ufficio immigrazione della Questura. E ogni settimana (ora quindicinalmente) per avere il “ papel”, quel “pezzo di carta” che li toglierebbe dalla clandestinità, c’è l’ immancabile ressa, con scontri e cariche della polizia.
La Meloni – che non ha ancora spiegato del mancato soccorso agli oltre cento naufraghi di Cutro , di cui 89 morti annegati e molti ancora dispersi – si sbraccia in Parlamento e urla che “grazie” al suo governo gli sbarchi sono triplicati.
Da anni predica contro l’immigrazione clandestina, ed ora quello che dovrebbe essere un clamoroso fallimento del suo governo (sbarchi triplicati, “non son stati a casa loro”) gira la frittata e lo sbandiera e ne rivendica il merito come gesto umanitario. Ha la coscienza sporca.
Premesso che sarebbe ora che non muoia più nessuno per immigrare, se la Meloni volesse dimostrare che la sua “umanita” non è che una recita a soggetto, con un decreto d’urgenza potrebbe togliere subito il marchio di “clandestini” ai migranti, e potrebbe farli arrivare in Italia con navi e mezzi regolari. Ma alla sostenitrice del blocco navale è più congeniale rendere complicati i salvataggi per costringere gli emigranti a rinunciare a partire col terrore del morire annegati, anche se i dati degli sbarchi dicono che il suo terrorismo non funziona.
Sarà sempre tardi il giorno in cui, una volta sbarcati o arrivati per altre vie, gli immigrati saranno considerati al pari degli autoctoni e trattati quali persone libere di spostarsi, per sfuggire da realtà letteralmente invivibili.
Con le norme vigenti vengono accolti come delinquenti con il reato di clandestinità stampato sulla loro fronte, da un razzismo tacito o conclamato a secondo del governo di turno.
Tutto si eviterebbe se i migranti potessero arrivare liberamente, e senza il marchio di “clandestini”.
A Milano le recenti nuove regole dell’Ufficio immigrazione non cambiano la sostanza: prima ogni 7 giorni l’Ufficio immigrazione riceveva 120 immigrati per le richieste d’asilo, ora 240 ogni 15 giorni, mentre sono centinaia quelli che dovranno aspettare altri 15 giorni se va bene, oppure chissà quanto altro tempo.
L’aver portato l’appuntamento da settimanale a quindicinale, forse mirava a scoraggiare che gli immigrati si accampassero fuori stabilmente, pena il rimpatrio.
Ma gli scontri continuano. Nella notte tra lunedì e martedì 21 marzo, sono alcune centinaia a chiedere di essere ricevuti in via Cagni, la polizia carica, svenimenti, almeno una decina i feriti di cui un 26enne e un 44enne finiti all’ospedale di Niguarda.
Bengalesi, cingalesi, magrebini, vogliono quel “pezzo di carta” che gli levi da dosso il marchio di “clandestini”. Un pezzo di carta che, come gli autoctoni consente di vivere senza nascondersi, di avere un regolare contratto, un’assistenza sanitaria, un tetto sotto il quale dormire senza essere svegliati di soprassalto e rispediti dall’altra parte del mare.
Saluti Oxervator.

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