DOPO 15 ANNI, TROPPO TARDI

Ora che Stellantis ha svuotato per sue necessità il reparto confino di Nola riportando i sopravvissuti a Pomigliano, la magistratura sentenzia: “il trasferimento fu attività antisindacale”. Una presa in giro per chi fu esiliato e per i licenziamenti di quanti si opposero.
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Ora che Stellantis ha svuotato per sue necessità il reparto confino di Nola riportando i sopravvissuti a Pomigliano, la magistratura sentenzia: “il trasferimento fu attività antisindacale”. Una presa in giro per chi fu esiliato e per i licenziamenti di quanti si opposero.


 

Sta facendo discutere una nuova sentenza della Corte di Appello di Napoli che ha dichiarato, dopo ben 15 anni, antisindacale la condotta dell’azienda che nel 2008 operò il trasferimento di 316 operai dalla fabbrica di Pomigliano al famoso polo-logistico di Nola, ribattezzato dagli operai reparto-confino. Quel trasferimento riguardò buona parte degli operai combattivi e operai con ridotte capacità lavorative. Erano gli anni della “cura” Marchionne che con quel trasferimento isolò dal resto della fabbrica alcuni degli elementi più sindacalizzati e riottosi, che si erano resi protagonisti negli anni precedenti di dure lotte contro l’accelerazione dei ritmi scanditi da una nuova metrica di lavoro, la riduzione delle pause e i contratti nazionali di categoria che aggiungevano miseria su miseria mentre i guadagni degli azionisti crescevano. Contro il trasferimento al nuovo reparto di isolamento (una vecchia tradizione made in Fiat che richiama il precedente dell’Officina Sussidiaria Ricambi istituita a Torino negli anni ’50 per mettere al confino gli operai ribelli di Mirafiori) gli operai resistettero per diversi giorni e si arresero alla fine perché tutti i sindacati, compreso lo Slai che aveva quasi tutti i suoi iscritti nei trasferiti, lasciarono soli gli operai ai picchetti che furono smantellati dalla polizia con violente cariche. Da lì in poi le cronache si riempirono dei tragici suicidi di operai, Maria Baratto e Pino De Crescenzo, e il licenziamento di 5 operai che in risposta a quella violenza rappresentarono, all’esterno della fabbrica, con un manichino, il finto suicidio di Marchionne che lasciava una lettera di pentimento. Per 15 anni il polo logistico di Nola è stato il reparto punitivo in cui gli operai hanno ingoiato miseri salari da cassa-integrazione e lunghi periodi di astinenza dal lavoro.
Ora però, già prima della sentenza dei giudici, Stellantis decide di ritrasferirli nella fabbrica di Pomigliano. Perché?
Perché se li vuole togliere dai piedi. Li sta trasferendo sulle linee produttive dello stabilimento centrale, in postazioni dove le loro condizioni fisiche, per età, salute e disabitudine, non gli permettono di sostenere i ritmi impossibili che vengono adottati. Li vuole costringere ad andarsene! O con le buone, con un incentivo ad autolicenziarsi, o con le cattive.
E’ in questa situazione che va inquadrata la recente sentenza della Corte di Appello di Napoli che, pronunciandosi sull’antisindacalità del trasferimento dei 316 operai di Nola, ha di fatto “ordinato la rimozione degli effetti della condotta summenzionata”, annullando cioè il trasferimento degli operai con il loro reintegro nella fabbrica di Pomigliano. Una sentenza che arriva a cose fatte. Con la gran parte degli operai di Nola che sono già stati trasferiti dall’azienda nei reparti produttivi di Panda e Tonale. Che non impone nulla all’azienda più di quanto l’azienda non avesse già deciso di fare autonomamente, secondo i propri calcoli.
Già nel 2020, agli inizi della fusione tra Fiat e Peugeot, in concomitanza di un nuovo piano di riordino delle fabbriche del gruppo, la Corte di Cassazione aveva chiesto la revisione della precedente sentenza della Corte di Appello di Napoli che, in accordo con quanto già sentenziato dal Tribunale di Nola, rigettava il ricorso del sindacato SLAI Cobas sul carattere discriminatorio dei trasferimenti. A distanza di tre anni, con il riassetto del gruppo Stellantis ormai completato, l’odissea giudiziaria cominciata nel 2008 si chiude, recependo e traducendo sul piano legale, gli interessi dell’azienda.
I giudici ci arrivano dopo 15 anni. Ci arrivano quando è Stellantis a decidere per loro. Da buoni passacarte, i giudici ratificano le decisioni del padrone. Fino a quando era interesse di FCA tenere lontano dalla fabbrica operai combattivi e/o con limitazioni fisiche, i tribunali hanno negato l’evidenza e cioè che il trasferimento a Nola era un atto di discriminazione. Adesso, a distanza di anni, in una situazione mutata, in cui è prioritario per Stellantis ridurre gli organici, ecco che i giudici ribaltano completamente la loro posizione e quello che prima per loro era una semplice scelta produttiva ora diventa una discriminazione da annullare.
Di che parlano quindi i sindacati che stanno accogliendo la sentenza della Corte di Appello come un “importante e sostanziale cambio di passo” che permette agli operai di recuperare potere e diritti contro le decisioni unilaterali dell’azienda? Dalla magistratura e dai sindacati che le corrono dietro, gli operai di buono non hanno proprio nulla da cavarne. Questa vicenda lo prova una volta di più.
Un’ultima considerazione dobbiamo aggiungere. Nel controverso iter giudiziario che portò al definitivo licenziamento dei 5 operai, rei di aver “offeso” Marchionne nella loro denuncia sulle vere cause dei suicidi fra i deportati di Nola, la presunta insussistenza della discriminazione nei trasferimenti è stato un tassello importante delle motivazioni che hanno portato i giudici a respingere il loro ricorso. Ora che è la stessa magistratura ad ammettere il contrario, come potranno giustificare di aver gettato sul lastrico cinque operai con le loro famiglie?
A. B.

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