I “NADIE” I NESSUNO SI PRENDONO LIMA

In ventimila sono entrati nella capitale del Perù gridando “torneremo e saremo milioni “. Per quanto la polizia spari addosso ai manifestanti per fermarli ottiene l’effetto opposto, si va verso la guerra civile.
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In ventimila sono entrati nella capitale del Perù gridando “torneremo e saremo milioni “. Per quanto la polizia spari addosso ai manifestanti per fermarli ottiene l’effetto opposto, si va verso la guerra civile.

Il Perù è sull’orlo della guerra civile! La situazione sembra essere fuori controllo. Tutto è cominciato a dicembre 2022, quando l’ex presidente Peruviano Pedro Castillo in un tentativo di “auto golpe” con l’intento di sciogliere il Congresso, è stato destituito ed incarcerato. Al suo posto si è insediata la sua ex vice-primo ministro, Dina Boluarte, e da allora sono scoppiate le proteste del popolo peruviano. I popoli originari e i contadini sono i maggiori protagonisti delle mobilitazioni, che sin da subito sono state represse nel sangue. Infatti la maggior parte dei morti e feriti appartengono alle popolazioni nelle regioni dei Popoli Quechua e Ayamara, Apurimac, Ayacucho Puno e Arequipa. La lotta delle popolazioni peruviane si articola attraverso uno sciopero costante iniziato il 4gennaio, di coloro che lavorano nella produzione e distribuzione delle materie prime, alternato da blocchi stradali, impediscono alle merci di entrare nelle città. Marciando per chilometri, anche in poche centinaia, si dirigono verso gli aeroporti, per occuparli, infliggendo così un duro colpo all’economia del turismo, ancora molto importante per il paese. Esattamente durante una di queste marce pacifiche e precisamente il 9 gennaio a Julaca nella regione di Puno, durante un corteo che puntava all’aeroporto, la presidente Boluarte ha ordinato alla polizia di aprire il fuoco sui manifestanti. Erano un manipolo di persone che marciavano pacificamente, ed in più la zona era piena di gente e famiglie che si stavano muovendo a piedi per cercare di recuperare generi alimentari di prima necessità. La polizia, armata come un esercito, ha represso nel sangue la marcia. Migliaia di poliziotti armati come in “guerra”, con l’ausilio di un elicottero che sparava e lanciava bombe lacrimogene, hanno massacrato la popolazione inerme, facendo uso di armi proibite e di proiettili che uccidono esplodendo nel corpo. Non “soddisfatti” di questo hanno sparato anche sul personale sanitario che cercava di prestare soccorso. Un bilancio di 17 morti e centinaia di feriti gravissimi, di cui la stampa di regime non ha parlato, dando invece risalto alla morte di un poliziotto bruciato vivo dalla folla inferocita. Dicevamo all’inizio che “la situazione sembra essere fuori controllo”, ma un elemento nuovo sembra emergere dalla organizzazione delle rivolte e dalla natura delle loro rivendicazioni. La rivolta parte dall’autorganizzazione e autoconvocazione dei popoli amazzonici. Le decisioni vengono prese in maniera comunitaria sfruttando tutte le occasioni che si presentono per fare assemblee, anche le veglie funebri collettive, diventano un mezzo per autoconvocarsi. Non ci sono partiti né organizzazioni precostituite, ed anche le loro rivendicazioni non si limitano alla richiesta di dimissioni del governo o alla richiesta di nuove elezioni, (nella cui utilità credono sempre meno). Propongono la creazione di governi territoriali autonomi, perché credono che questo possa essere un modo per fermare la violenza genocida delle classi dominanti peruviane. C’è una rabbia delle popolazioni accumulata nei secoli, che fino ad oggi non ha mai visto diminuire il disprezzo e la violenza nei loro confronti. Hanno scelto di non avere capi né organizzazioni di apparato, le decisioni vengono prese dal basso. Nelle grandi manifestazioni, che vedono centinaia di popolazioni marciare insieme , le donne vestite delle loro gonne colorate sono alla testa dei cortei , e forse lo slogan che gridano racchiude il significato di quello che vogliono, “TUTTI SIAMO UNO”
S.O.

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