LA FARSA DEI PROCESSI PER GLI OPERAI MORTI DI AMIANTO

Galera! Galera! Ma solo per i piccoli delinquenti. Se sei un imprenditore miliardario, si trova sempre il modo di evitarti il carcere.
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Galera! Galera! Ma solo per i piccoli delinquenti. Se sei un imprenditore miliardario, si trova sempre il modo di evitarti il carcere.

Nella società dei padroni è estremamente difficile che qualcuno di loro finisca in galera per i crimini commessi.
C’è una specie di porto franco, una dimensione extraterritoriale per il diritto, quando sono coinvolti loro.
Anche la becera reazione della piccola e media borghesia ben pensante, sempre pronta a esibire la forca per i delinquenti, quando si tratta di imprenditori, abbassa i toni, diventa improvvisamente muta.
In una società che si basa sul profitto, sull’imprenditoria, i morti sul lavoro, le scappatoie per guadagnare di più, l’utilizzo di materiali tossici ma profittevoli, sono prassi accettate e consolidate. D’altra parte ognuno si prende i propri rischi, imprenditori e operai, entrambi liberi cittadini.
I privilegi degli imprenditori non sono legati al lavoro non pagato degli operai che sfruttano, ma, nel senso comune della piccola gente, alle loro capacità imprenditoriali superiori. Il lavoro manuale, poi, è pericoloso di per sé e, gli operai, se fossero stati più capaci avrebbero fatto gli imprenditori.
È questo l’entroterra culturale dove attecchisce l’idea che i padroni siano impunibili.
La questione amianto ne rappresenta un esempio eclatante.
“Siamo mortificati. Quando siamo andati a cercare un certo passaggio di una consulenza tecnica non abbiamo trovato nulla. È come se la chiavetta fosse vuota o danneggiata”.
Questo il commento dei giudici di Torino del processo Eternit quando hanno scoperto che la chiavetta usb, nella quale era condensato il novanta per cento degli atti, è risultata vuota.
La causa è stata rinviata alla fine di settembre per quella che tecnicamente è stata definita “ricostruzione di atti mancanti”. La Corte concederà poi alle difese un ulteriore “termine” di 15 giorni.
L’imputato al centro del processo è l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny condannato in primo grado a 4 anni per la morte di due persone dovuta alla malattia sviluppata, secondo l’accusa, dall’amianto lavorato nello stabilimento di Cavagnolo.
Si tratta dell’ennesima puntata di questa farsa sull’amianto all’Eternit.
Sui danni che l’amianto determinava all’organismo, la comunità scientifica internazionale aveva già dato ampiamente notizia alla fine degli anni 60. Nel decennio successivo tutti gli effetti nefasti di questo materiale erano stati documentati anche dal punto di vista statistico. I padroni Eternit, come quelli della Sofer, della Falk, della Breda, dell’Italsider e centinaia di altre ditte, continuarono ad utilizzarlo fino a quando i morti cominciarono a contarsi a migliaia.
Nel 1986 Eternit chiude: l’azienda in Italia fallisce pezzo dopo pezzo, ma continua a fare danni da altre parti nel modo.
Nelle fabbriche Eternit solo in Italia hanno lavorato migliaia di operai, quasi tutti sono deceduti per patologie asbesto correlate. Da Bagnoli a Cavagnolo, da Rubiera a Siracusa, oltre a Eternit Casale Monferrato.
Nel 2004, di fronte al numero impressionante di morti, si avviarono le indagini per “disastro ambientale doloso e omissione dolosa di cautele antinfortunistiche”. Due gli imputati, Louis De Cartier e Stephan Schmidheiny, i due proprietari della multinazionale Eternit.
Il 3 giugno 2013, nove anni dopo, Stephan Schmidheiny è condannato in appello a 18 anni di carcere. De Cartier, nel frattempo, è morto a 92 anni.
Sono anche stanziati fondi per circa 90 milioni di euro, da destinarsi come risarcimento danni alle vittime e ai loro familiari.
Il 19 Novembre del 2014 la Corte di Cassazione annulla le precedenti condanne sulla base della prescrizione (art. 434 c.p.) con sentenza n. 7941. “Il reato sussiste, ma sono trascorsi troppi anni tra l’esposizione all’amianto e l’effettiva malattia delle vittime”. Sono annullati anche i risarcimenti a favore delle vittime.
Nonostante la prescrizione in Cassazione, le inchieste rimangono aperte.
Il 20 Novembre 2014 si muove verso Stephan Schmidheiny l’accusa di omicidio volontario continuato e pluriaggravato di 258 persone. Tra le aggravanti contestate, anche i motivi abietti. Questi consistono nella volontà di profitto e nel mezzo insidioso, l’amianto.
Nel prosieguo delle indagini altro favore al padrone svizzero: il reato passa da omicidio volontario a colposo, con l’aggravante della colpa cosciente. A nulla valgono le impugnazioni della Procura della Repubblica di Torino e della Procura Generale presso la Corte di Appello di Torino: la Corte di Cassazione li dichiara inammissibili per un vizio di forma. Nel passaggio da omicidio volontario a omicidio colposo, gran parte dei casi di decessi per patologie asbesto correlate rischiano di essere annullate. Il processo continua, ma i casi di omicidio, in questo caso colposo, sono ridotti a due soli operai.
Dopo cinque anni, siamo a febbraio 2019, si ha la sentenza di condanna di Stephan Schmidheiny, emessa dal Tribunale di Torino. Segue il processo d’appello e finalmente, a luglio 2022 si aspetta la condanna definitiva, Cassazione permettendo. Ma per fortuna del padrone svizzero “avviene” il caso della pennetta “vuota o danneggiata”.
Intanto Stephan Ernest Schmidheiny, proprietario di Eternit, con un patrimonio dichiarato di 2,3 miliardi, a 75 anni continua a fare la bella vita.
Niente. I tribunali non ci riescono proprio a condannarli. È ancora di questi giorni la sentenza di assoluzione del tribunale d’appello di Milano dei due direttori della Fibronit di Broni (Pavia), dopo che la Cassazione (sempre lei) aveva cancellato le due sentenze di condanna precedenti di primo e secondo grado per omicidio colposo.
Per le decine di migliaia di operai morti per l’amianto nessun padrone ha fatto un solo giorno di carcere e tutto questo nel silenzio assordante dei forcaioli borghesi e piccolo borghesi.
F.R.

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