SRI LANKA CRISI E RIVOLTA

L’alternativa è tra l'incudine dell'FMI e il martello della completa dipendenza dalla Cina se le masse popolari non trovano una strada indipendente.
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L’alternativa è tra l’incudine dell’FMI e il martello della completa dipendenza dalla Cina se le masse popolari non trovano una strada indipendente.

La crisi economica, aggravata dalla pandemia e ora peggiorata dalla guerra in Ucraina, sta creando situazioni esplosive dappertutto. Milioni di individui che già vivevano una situazione al limite della sopravvivenza, si trovano a fare i conti con la miseria più nera.
La fame, uno spettro che sembrava sparito nell’immaginario costruito ad arte dai giornali e dalla propaganda degli stati moderni, relegato in pochi paesi “arretrati”, ritorna in modo brutale di attualità.
Lo Sri Lanka è uno dei primi paesi che salta.
Dopo la repressione violenta dei separatisti Tamil, sostenuta da tutti i paesi “civili”, il paese era diventato un buon investimento per i padroni di tutto il mondo. Il settore turistico prometteva profitti record. Il basso costo della forza lavoro attirava investimenti esteri. La gestione politica della nazione era saldamente in mano alla famiglia Rajapaska che aveva gestito direttamente e con pugno di ferro la repressione dei Tamil e ora assicurava, ai padroni esteri, condizioni di favore eccezionali prima fra tutte l’azzeramento di qualsiasi opposizione organizzata nel paese, condizione fondamentale per il buon andamento degli affari.
Oggi lo Sri Lanka è precipitato in una crisi che ha scompaginato tutti i piani della borghesia nazionale insieme ai suoi protettori esteri.
Lo Sri Lanka, impossibilitato a pagare, ha sospeso la restituzione degli oltre 50 miliardi di dollari (46 miliardi di euro) di debito estero principalmente nei confronti della Cina, degli Stati Uniti e dell’India. Ma molti altri hanno crediti da recuperare nel paese.
Con questo atto il Paese asiatico è entrato ufficialmente in default. L’inflazione è arrivata al 50%. Buona parte della popolazione non può più accedere ai prodotti di prima necessità. Manca il cibo, benzina e diesel hanno prezzi proibitivi, manca il gas per cucinare, mancano i medicinali e negli ospedali è ormai prassi rinviare gli interventi chirurgici per mancanza dei materiali primari. Agli operai non è neanche più assicurato il salario minimo di diecimila rupie. Al cambio attuale, che peggiora costantemente con l’inflazione, sono 65 euro al mese. Fino a poco tempo fa un operaio poteva arrivare a 130 euro mensili che gli dava la possibilità di non morire di fame.
Ad un certo punto questa polveriera è esplosa. Da inizio anno si sono susseguite manifestazioni, represse duramente, con morti e feriti. Al crescente disagio il governo ha risposto con il pugno di ferro dichiarando lo stato d’emergenza con arresti indiscriminati e utilizzo di proiettili veri nella repressione delle manifestazioni.
Il 9 maggio, nella capitale, prima avvisaglia: scontri violenti, gli operai lasciano in gran numero i loro posti di lavoro e i sindacati dei lavoratori e i sindacati studenteschi lanciano un appello alla mobilitazione. Fuori Colombo, l’esplosione di rabbia è stata ancora più feroce. La furia è rivolta ai ministri e ai parlamentari del governo. I manifestanti chiedono a gran voce le dimissioni del presidente Gota accusandolo di corruzione per aver devastato la nazione a favore dei suoi familiari. Viene dichiarato il coprifuoco in tutta l’isola. La giornata di lotta si chiude con 9 morti e oltre 300 feriti.
A luglio una fiumana di gente travolge i militari e prende possesso della residenza presidenziale. Il presidente scappa alle Maldive con un aereo militare e, da qualche spiaggia per ricchi, promette di dimettersi.
Nel caos generale, i padroni cercano una soluzione che dia un minimo di stabilità nella gestione del paese. Se riescono a trovarla, l’FMI è pronto a intervenire con un “prestito ponte” prima di iniziare a organizzare una politica lacrime e sangue per la popolazione, che salverà gli interessi dei ceti più ricchi, ma affamerà quelli restanti: operai, contadini e piccola borghesia. Lo Sri Lanka si trova a dover scegliere tra l’incudine dell’FMI e il martello della completa dipendenza del paese dall’imperialismo cinese se le masse popolari non trovano una strada indipendente.
S.C.

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