CASSA INTEGRAZIONE ALL’EX ILVA: LOTTA O SILENZIO?

Nelle fabbriche di Acciaierie d’Italia si stanno misurando due tendenze diverse su come affrontare il problema della cassa integrazione: a Genova i sindacati, sotto la forte spinta degli operai, ne hanno chiesto il ritiro, a Taranto i sindacati, Usb compresa, non muovono un dito e aspettano l’intervento del governo. Due approcci diversi che passeranno inevitabilmente al vaglio dei risultati.
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Nelle fabbriche di Acciaierie d’Italia si stanno misurando due tendenze diverse su come affrontare il problema della cassa integrazione: a Genova i sindacati, sotto la forte spinta degli operai, ne hanno chiesto il ritiro, a Taranto i sindacati, Usb compresa, non muovono un dito e aspettano l’intervento del governo. Due approcci diversi che passeranno inevitabilmente al vaglio dei risultati.

Acciaierie d’Italia ha chiesto 9 settimane di cassa integrazione ordinaria per più di 4.000 operai dello stabilimento di Taranto e per 981 di quello di Cornigliano (GE). Gli operai a Taranto non hanno mosso un dito, invece a Genova sono scesi in lotta con manifestazioni di piazza, hanno formato cortei e occupato strade, hanno cercato di entrare nelle sedi del potere politico e amministrativo (Regione, Comune, Prefettura) e si sono scontrati con la polizia. Come mai si sono verificate due situazioni così differenti?
Fin dalla firma dell’accordo di subentro dei Mittal ai Riva, a settembre del 2018, i nuovi padroni hanno avuto mani libere nella gestione della forza-lavoro operaia: in meno di tre anni le condizioni di lavoro e sfruttamento sono addirittura peggiorate, gli operai vengono messi ripetutamente in cassa integrazione e come mai avvenuto prima sorvegliati e puniti con il licenziamento al minimo accenno di critica o insubordinazione.
Anche adesso, benché i profitti mondiali della multinazionale ArcelorMittal siano alle stelle (2,5 miliardi di dollari nell’ultimo anno, ai quali, come ha comunicato l’amministratore delegato Morselli in occasione dell’approvazione del progetto di bilancio 2020 da parte del Consiglio di amministrazione di Acciaierie d’Italia, ha concorso per alcuni milioni di euro anche la divisione italiana di AM) e il prezzo dell’acciaio sia in rapida crescita (+130% negli ultimi 12 mesi), Acciaierie d’Italia ai primi di giugno ha chiesto la cassa integrazione ordinaria a decorrere dal 6 luglio per un periodo di nove settimane per le fabbriche di Taranto e Cornigliano. La cigo si colloca tra l’attuale fase di cassa Covid, prorogata per cinque settimane dal 1° giugno, e l’ulteriore parte di cassa Covid che l’azienda, lo ha già annunciato, farà scattare da settembre. Nell’incontro convocato per l’8 luglio con il ministro dello Sviluppo economico Giorgetti, il ministro del Lavoro Orlando e i sindacati per discutere delle prospettive industriali e della situazione occupazionale, la Morselli ribadirà le richieste di cassa integrazione.
In pratica AM/Acciaierie d’Italia fa produrre se, quanto e come le conviene. Gli operai sono letteralmente schiacciati dallo strapotere padronale: migliaia (a Taranto più di 4.000) sono in cassa integrazione, molti da quasi due anni, mentre gli operai rimasti in fabbrica e quelli delle ditte appaltatrici hanno lavorato e lavorano in condizioni di maggiore sfruttamento e di minore sicurezza. Gli operai in cig ordinaria hanno preso l’80% circa del salario normale, invece in cig legata alla pandemia (la maggior parte nell’ultimo anno e mezzo e gratuita per l’azienda) meno del 60% del salario.
Di fronte a questo massacro organizzato che prospettive hanno gli operai? Solo la lotta organizzata per imporre il ritiro della cassa integrazione e il taglio del salario, nonché la riduzione dei ritmi di lavoro, il miglioramento delle condizioni di sicurezza e la salubrità dell’ambiente di lavoro. A Genova sono state queste le rivendicazioni degli operai, sotto la spinta di Rsu non asservite ai capi e ai dirigenti vari dei sindacati, costretti poi dalla massa incandescente ad accodarsi in qualche modo alla lotta operaia. Rivendicazioni che sono state condivise da altri operai e proletari genovesi e liguri, i quali hanno partecipato alle manifestazioni di piazza dando il loro pieno appoggio agli operai metalmeccanici in lotta.
A Taranto, invece, la mancanza di Rsu combattive e indipendenti dai capi sindacali ha impedito finora un minimo di lotta seria. E non è un caso. Nello stabilimento jonico, l’asse portante di AM/Acciaierie d’Italia, i sindacati confederali hanno il pieno controllo di gran parte della classe operaia, l’Usb fa il resto. La fabbrica jonica è troppo preziosa per i Mittal e gli azionisti di AM/Acciaierie d’Italia per lasciare via libera agli operai. È là che i sindacati concentrano le loro migliori forze per tacitare ogni forma di critica, è là che la dirigenza della fabbrica controlla gli operai, anche sui social, per punire ogni forma di dissenso. Ma non è detto che la lotta degli operai di Genova, se sortirà qualche buon risultato, non cominci a spingere gli operai di Taranto a seguirne l’esempio.
L.R.

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