IL FEMMINISMO STRABICO

Risulta chiaro il ruolo centrale delle donne Bielorusse in prima fila contro il regime e i suoi uomini armati, ma nel Manifesto Femminista Transnazionale nemmeno una parola.
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Risulta chiaro il ruolo centrale delle donne Bielorusse in prima fila contro il regime e i suoi uomini armati, ma nel Manifesto Femminista Transnazionale nemmeno una parola.

Gentile redazione, sto seguendo con interesse le notizie che state pubblicando sui fatti che stanno sconvolgendo la Bielorussia (informazioni preziose e puntuali, che purtroppo riesco a leggere solo sul giornale online di Operai Contro, perché evidentemente nessun altro organo di informazione le ritiene sufficientemente importanti, da essere documentate). Una delle cose che più mi ha colpito leggendo la cronaca del duro scontro di piazza tra la popolazione e la polizia è che, oltre ad essere particolarmente cruento, vede coinvolte in prima linea le donne Bielorusse. Mi sono quindi ritrovata a fare alcune considerazioni, che vorrei condividere con voi e i vostri lettori, riguardo a questa evidente prevalenza di donne “combattenti” in questa lotta e la mistificante rappresentazione di queste figure femminili, da parte dei media, quando si degnano di darne conto.
Vorrei iniziare citando due affermazioni fatte da due uomini, apparentemente molto diversi tra loro sia per nazionalità sia perché diversamente coinvolti dai fatti che stanno sconvolgendo la Bielorussia, mossi quindi da interessi diversi ma in qualche modo tendenti a dimostrare la stessa cosa.

“…Le donne servono solo a decorare un mondo governato dagli uomini…” (Aljaksandr Lukashenko, presidente della Bielorussia)

“…Tuttavia in una società ancora fortemente patriarcale come quella Bielorussa, non si può pensare che queste donne agiscano in proprio. Alle loro spalle ci sono uomini…” (Matteo Zola, giornalista, direttore responsabile del giornale online East Journal, articolo del 20/8/2020)

Chi in un modo e chi in un altro, attraverso dichiarazioni di regime o per mezzo stampa, in molti si stanno prodigando a voler dipingere e rappresentare in maniera distorta queste figure femminili in rivolta.
A me sembra che l’immagine che si vuole dare di loro, è quella di persone che non hanno una motivazione politica dietro la loro scelta di militanza, al pari dei loro compagni maschi, ma bensì siano piuttosto spinte da una motivazione sentimentale che le lega ai loro mariti.
Una partecipazione massiccia quella delle donne Bielorusse, nello scontro politico in atto, tanto da meritarsi l’appellativo di una “rivoluzione che ha il volto di donna…”. Pur essendo presenti nella società civile e politica le donne da sempre sono state confinate in un ruolo subalterno, oggi le bielorusse si stanno affermando come soggetti attivi e visibili.
Esse sono in prima linea nelle manifestazioni di massa che proseguono dal 9 di agosto. Per la prima volta in 26 anni una donna (Swetlana Tichanouskaja) è riuscita a mettere in discussione e far vacillare il regime dittatoriale e paternalista di Lukashenko. Questo loro “ardire” gli sta costando il prezzo di scontri brutali e violenti con la polizia e di una repressione indiscriminata nei loro confronti. A dire il vero far risalire solo a questi ultimi mesi la repressione e la violenza di cui sono vittime le donne non rende giustizia al lavoro che le attiviste bielorusse portano avanti da anni. Pressoché ignorate da tutti, non solo dalla stampa borghese internazionale, ma anche da tutti quei movimenti” femministi transazionali”, che non mi spiego perché dimenticano puntualmente anche solo di menzionare l’esistenza stessa di queste sacche di resistenza tutte al femminile. Ho cercato tra le righe del ”Manifesto Femminista Transnazionale”, recentemente redatto dall’organizzazione femminista italiana “Non Una di Meno”, se si faceva riferimento non solo alla dura lotta delle donne Bielorusse ma anche a tutte quelle donne impegnate nel mondo a combattere un sistema patriarcale che le opprime e uccide barbaramente. È un elenco di combattenti che attraversa tutti i continenti, dall’India al Sud Africa, Arabia Saudita, Iran, Nigeria, Algeria, Libano. Gli unici riferimenti alle lotte di resistenza internazionale riportano la narrazione e il sostegno della lotta delle donne kurde e di alcuni paesi Sud Americani. Chiarendo che anche io manifesto tutta la mia solidarietà e sostegno nei confronti dell’eroica lotta di queste donne non mi spiego perché vengano ignorate tutte le altre. Alle volte ho la sensazione che ci sia dietro questo comportamento un atteggiamento dettato dalla moda del momento o il fatto che l’aver potuto imbracciare il fucile renda l’esperienza di queste combattenti più “romantica” agli occhi della piccola borghesia parolaia e salottiera. Dicevamo che nonostante i media non dedicano molto spazio alle notizie provenienti da questo paese quando lo fanno i grandi mezzi di comunicazione, anche in Italia, tendono ad esaltare l’aspetto non violento, empatico e “femminile” delle manifestazioni con le donne “armate” di fiori che abbracciano i poliziotti. Nel complesso l’informazione borghese tende a far apparire la protesta delle bielorusse “frivola e caricaturale”, esaltando i loro gesti al punto di renderli iconici. L’esposizione mediatica e la rappresentazione delle tre donne più in vista all’interno di questo movimento di opposizione (la Tichanovskaja, la Kolenisova, e la Tsepkalo) sembrerebbe il miglior biglietto da visita di una borghesia illuminata, pronta a ”concedere“ maggiori spazi alle donne nella sfera pubblica del paese e che si sta in qualche modo preparando all’accettazione di una inevitabile ascesa di una “leadership femminile “nel panorama politico. Allo stesso tempo si determinano le condizioni per poter continuare l’azione paternalista e repressiva dello stato nei confronti delle donne.
Le condizioni oggettive che si sono create a seguito dell’attacco repressivo dello stato contro la popolazione in rivolta, hanno determinato le condizioni favorevoli per le donne di porsi alla testa della protesta. Un cambiamento importante del ruolo delle donne sulla scena politica, non più confinate in un ruolo subalterno, ma in primo piano, consapevoli delle loro scelte. La grande stampa ha voluto sottolineare con grande enfasi il fatto che le donne bielorusse si siano trovate costrette a scendere in campo per ragioni private, a causa di mariti e figli rinchiusi nelle carceri, dovendo così rinunciare a svolgere “LE LORO CONSUETE E NATURALI OCCUPAZIONI” legate alla sfera privata della loro vita familiare. Non è la prima volta nella storia dei movimenti femminili di ribellione che le donne vengono identificate come figure subalterne, incapaci di saper decidere autonomamente di prendere parte a movimenti sociali di massa, vengono descritte come donne “vittime”, che aderiscono ad un movimento eversivo o rivoluzionario spinte dall’amore o dalla necessità di seguire e prendersi cura di un loro caro, marito ,fratello o figlio i quali hanno invece optato coscientemente quella scelta. La storia a saperla leggere bene è piena di donne che hanno scritto pagine di storia “proibite” imbracciando il fucile e condividendo una vita alla macchia con i loro colleghi uomini. Storie dimenticate di brigantesse, oltraggiate, massacrate, che hanno combattuto come delle vere guerrigliere, partigiane impegnate in ogni angolo del pianeta a difendere la libertà collettiva, militanti rivoluzionarie che hanno contribuito a sovvertire e riscrivere la storia dei loro paesi. Decidere di partecipare ai grandi movimenti di massa è una scelta politica e personale, le motivazioni di tale scelta non possono essere banalizzate o sminuite, asseconda dell’appartenenza di genere, allo scopo di creare un’immagine stereotipata e lontana dalla realtà delle donne che compiono tali scelte. È solo un modo per negarle come soggetti politici. Da sempre la società ha faticato ad accettare la presenza femminile all’interno dei grandi movimenti di ribellione di massa. A questo punto la stampa borghese si sbizzarrisce nel dipingere le donne che scendono in campo, attaccandole anche dal punto di vista personale e sessuale. Non si risparmiano folcloristiche e stereotipate immagini per descrivere le “militanti” facendole assomigliare più a personaggi che a persone con delle soggettività e soprattutto idee politiche. Forse quello che sta succedendo alle donne in Bielorussia potrebbe essere visto anche sotto questa luce. Non è un caso che non appena le donne scendono in campo agguerrite e determinate a rivendicare non solo autonomia economica ed il diritto a scegliersi la propria vita, ma soprattutto si riconoscono nella classe sfruttata e con essa iniziano la lotta di classe, lo stato interviene con la violenza per ricacciarle nel loro ruolo di madri mogli e figlie. Concludendo mi viene da pensare che se non c’è un guadagno personale, fatto passare per progresso, nella massiccia scesa in campo delle donne in Bielorussia(e non solo), se c’è della vera rabbia se rappresentano una vera minaccia, per il potere costituito, se questa alleanza e resistenza di donne contribuisce alla formazione di un nuovo soggetto collettivo femminile, è un primo passo nella presa di coscienza collettiva, della condizione della donna in Bielorussia, e noi tutte /i dovremmo guardare a loro con maggiore umiltà , perché qualcosa lo possiamo anche imparare.

S.O

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