COL CAPPELLO IN MANO

Se i soldi della CIGS non bastano per vivere, non si chiede l’elemosina né a Conte, capo del governo, né alle regioni. La differenza fra la cassa integrazione e il salario pieno chiediamola al padrone con un atto di forza: lo sciopero.
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Se i soldi della CIGS non bastano per vivere, non si chiede l’elemosina né a Conte, capo del governo, né alle regioni. La differenza fra la cassa integrazione e il salario pieno chiediamola al padrone con un atto di forza: lo sciopero.


 

In questo periodo tanti di noi operai sono stati comandati a fermarsi, tantissimi altri di noi sono stati comandati a continuare a faticare per produrre beni di prima necessità e non solo. È bastato fermarsi per un breve periodo ed abbiamo assistito a un lamento generale, tantissimi che piangono miseria.
Il signor Conte, capo del governo attuale, per compiacere padroni grandi e piccoli, che in ogni occasione apparivano dei pezzenti e piangevano miseria, ha rastrellato tutto quello che ha potuto anche chiedendo prestiti oltre confine, adesso ognuno aspetta la propria parte. Sono tutti lì a piangere, dicono che hanno avuto grosse perdite, vogliono i contributi, magari a fondo perduto, vogliono il gruzzolo più grosso e centinaia sono i miliardi a loro destinati.
I disoccupati si possono arrangiare come hanno sempre fatto, basta dare a loro qualche soldo per comprarsi un tozzo di pane, agli operai che ancora non potranno lavorare, perché ritenuti fragili, continuerà ad andare la miseria della cassa integrazione. Il ragionamento è sempre lo stesso, ai disoccupati le briciole, agli operai poco più delle briciole e, se non saranno collocati ancora in produzione, dovranno continuare ad arrangiarsi anche loro con la miseria della cassa integrazione.
Ai padroni andranno soldi in abbondanza, mentre continueranno a stare al riparo del virus nelle proprie tenute, gli operai a faticare a produrre per tutti e con l’incertezza di salvare la pelle.
Chiunque ha preso coscienza sa bene che le condizioni di noi operai, se non si lotterà, saranno destinate a peggiorare e non potranno essere i lamenti a migliorarle. Molti operai, nonostante che la lotta dei 21 giorni alla Fiat di Melfi abbia fatto scuola, continuano a credere invece che qualche briciola in più si possa avere chiedendo e supplicando con il cappello in mano.
Infatti, Il 5 maggio 2020 su giornali locali, il vulturenews.net e PotenzaNews.net, un gruppo definitosi “operai della Fca di Melfi”, di sicuro esortati da lavoratori privilegiati (conduttori, aspiranti capi ute, sindacalisti filo padronali, ecc…), che sanno fare tutto meno che mettersi contro il padrone, ha invocato l’aiuto del presidente del consiglio Conte e del presidente della regione Bardi, complimentandosi con loro e ringraziandoli, neanche fossero entrambi dei paladini degli interessi di noi operai e avessero fatto chissà cosa per noi operai. Questi operai hanno scritto come se non sapessero con chi stanno questi politici e a chi hanno destinato le montagne di soldi stanziati, non certamente a noi operai.
Questo “gruppo di operai” guidati dove al padrone più fa comodo, non si è rivolto alla Fiat, chiedendole di mettere mano al portafoglio ed integrare la cassa integrazione per arrivare all’intero salario, ma ha chiesto a Conte e Bardi di provvedere. Non hanno detto al padrone: hai guadagnato tantissimo grazie alla nostra fatica e a quello che abbiamo prodotto, tocca a te mettere mano ai soldi che hai messo in tasca in tanti anni perché la miseria della cassa integrazione non ci basta e devi integrare il resto fino ad arrivare all’intero salario. Ma hanno preferito implorare i burattini di turno.
In sostanza, questo gruppo che di coscienza di classe ne ha ben poca, pur ponendo un problema serio e che cioè non si può andare avanti con la miseria della cassa integrazione, adeguandosi al modello che piace al padrone, come tanti altri, si è rivolto a Conte e a Bardi con il cappello in mano come gli stessi padroni vogliono e come conviene a questi ultimi.
Crocco, operaio di Melfi

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