PANEM ET CIRCENSES

C'erano già arrivati i Romani. Nel tentativo di controllare la rabbia e la frustrazione sociale sostenevano “duas tantum res anxius optat panem et circenses” (il popolo due sole cose ansiosamente desidera: pane e giochi circensi).
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C’erano già arrivati i Romani. Nel tentativo di controllare la rabbia e la frustrazione sociale sostenevano “duas tantum res anxius optat panem et circenses” (il popolo due sole cose ansiosamente desidera: pane e giochi circensi).


 

Ogni giorno, dicono le statistiche, muoiono tre o più operai, qualcuno fa un po’ di notizia perché viene maciullato dal macchinario, qualcun altro muore nel silenzio più assoluto o viene menomato da malattie professionali contratte in fabbrica. L’importante però è accettare tutto come se fosse una cosa del tutto normale che il fronte del lavoro abbia le sue vittime quotidiane a cui non badare più di tanto. Quasi tutti gli strati della società arrivano a riconoscere come pura necessità fisiologica la perdita di vite umane o di invalidità permanenti, legate alla struttura produttiva che genera ricchezza di cui godono tutte le classi superiori.
Quindi quando un operaio muore sul lavoro o viene mutilato dal macchinario, tranne che per qualche “sedizioso perturbatore dell’ordine costituito” che ancora non si rassegna a questo stato di cose denunciando le morti e gli incidenti, questi omicidi produttivi diventano del tutto naturali. 
Nel contempo però, quando muore una stella del calcio, come muoiono comunque ogni giorno migliaia di individui senza arte né parte, ecco che anche per il popolo sinistrato, pseudo sovversivo, del web, come per la stampa sportiva borghese, questo personaggio pubblico diventa un valoroso combattente da elogiare è da piangere.
Un piagnisteo ed una mortificazione per un personaggio famoso che, tra l’altro, nemmeno conoscevano personalmente, ma che, grazie alla stampa borghese che ha bisogno di questi miti da dare in pasto alla massa per tenerla buona e calma, è diventato un eroe semplicemente perché è stato in grado di aver dato quattro calci al pallone, diventando un modello a cui aspirare.
Non fa nulla se proprio questo “modello” poi nella realtà, sui campi di calcio, si è dimostrato un poco razzista nei confronti di giocatori di colore, magari chiamandoli “negro di merda”. Ed a sua volta magari è stato vilipeso perché non proprio di origini “ariane”, ma di dubbia provenienza slava e quindi giudicato inferiore dalle tifoserie calcistiche.
Un giocatore di calcio anche se originariamente è stato un proletario o un pezzente  morto di fame, nella  sovrastruttura sociale del sistema di produzione moderno diventa colui che ce l’ha fatta a “sfondare” dando quattro pedate ad una palla, un semidio milionario a cui attribuire onori e gloria. 
Il problema è che anche per la piccola borghesia semi sovversiva sinistrata, che si vanta di essere in modo integerrimo antagonista al sistema, quando uno di questi “eroi” muore per una malattia, il piagnisteo sui social si spreca commemorando “l’eroe” che li ha fatti sognare per averli fatti immedesimare con il suo modello di successo ( fama, soldi e belle donne).
E, nello stesso momento, mentre si ammirano gli africani che hanno ottenuto, calcisticamente parlando, un risultato mai raggiunto da una nazionale africana ai mondiali di calcio, non si spende una lacrima su un povero africano che magari, come successo negli stessi giorni del mondiale, è morto di freddo e di fame per strada nella civilissima Bolzano.
L’enfasi nel sostenere squadre del “terzo mondo” (per inciso i governi di questi paesi spendono milioni di dollari per mandare le proprie nazionali ai mondiali di calcio) è un modo per tentare di lavarsi la coscienza e nel contempo chiudere gli occhi nei confronti degli operai africani che quotidianamente si schiantano di lavoro nelle campagne pugliesi o dell’agro pontino per la produzione della filiera agroalimentare o per confezionare pacchi di merci varie nelle galere della grande distribuzione.
Grazie a questi schiavi figli di nessuno, quotidianamente nei supermercati e sulle bancarelle dei mercati arrivano tonnellate di merci agricole che finiranno poi sulle tavole per essere consumate da questi benpensanti sostenitori di nazionali di calcio di governi borghesi.
D’altronde il calcio, oltre a far girare miliardi di euro, funge anche da valvola di sfogo sociale incanalando la rabbia e la frustrazione sociale che altrimenti potrebbe essere indirizzata verso chi detiene le leve del potere, i padroni i borghesi e i loro lacchè che governano gli stati.
Le moderne arene calcistiche servono oggi, come servivano agli antichi, per dare agli schiavi ed ai miserabili la parvenza di un divertimento momentaneo distraendoli dalla possibilità che le loro miserie quotidiane possano sfociare nella rabbia sociale prodotta dalle stesse miserie e, un giorno possa trasformarsi in una presa di coscienza che sfoci in tumulti e ribellioni contro il sistema che li ha oppressi. C’erano già arrivati i romani che avevano già capito che per controllare la rabbia sociale bastava dare al popolo un minimo di sopravvivenza e un arena circense : “duas tantum res anxius optat panem et circenses” (il popolo due sole cose ansiosamente desidera: pane e giochi circensi).
D.C.

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