LA VERA RESPONSABILITÀ DI SOUMAHORO

Ha dato con il suo carrierismo interessato uno strumento micidiale ai cani rabbiosi della stampa di destra per denigrare chiunque lotti contro la schiavitù degli operai immigrati che si spaccano la schiena nei campi, da Nord a Sud.
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Ha dato con il suo carrierismo interessato uno strumento micidiale ai cani rabbiosi della stampa di destra per denigrare chiunque lotti contro la schiavitù degli operai immigrati che si spaccano la schiena nei campi, da Nord a Sud.


 

Il suo libro edito da Feltrinelli si intitola “Umanità in rivolta”. Ѐ il racconto del suo lungo peregrinare tra centri di accoglienza e campi dove i braccianti immigrati si spaccano la schiena e vengono ammazzati dalle condizioni di lavoro schiavistiche. Lì ci andava ad organizzare le lotte per dare una vita più dignitosa a chi ci lavora, così diceva. E in tanti lo hanno sostenuto. Dopo la morte di Soumaila Sacko, un bracciante maliano di 29 anni, ammazzato a fucilate mentre raccoglieva da un capannone in disuso delle lamiere per rafforzare la sua baracca a San Ferdinando, si è notata la sua rapida ascesa mediatica. Era diventato il volto della nuova sinistra, quella che finalmente parla con una voce autentica. Quale miglior profilo? Immigrato di origini ivoriane, cresciuto nelle stesse condizioni di oppressione di migliaia di giovani africani che arrivano sulle coste dell’Europa, ex sindacalista, colto, laureato, con citazioni di Gramsci e Di Vittorio che dispensa ad ogni comparsata televisiva. Il candidato su cui investire per una sinistra a corto di consenso elettorale. Lui si accorge che l’occasione è ghiotta, bel trampolino di lancio, corre come un matto per girare video e scattare selfie dove si consumano i corpi e le vite di chi lavora nei campi senza riuscire neppure a sopravvivere, per ricavarne un profilo politico da paladino degli “invisibili”, da leader degli ultimi. Non ci ricordiamo però di nessuna rivolta che vede coinvolto Soumahoro. Ma di tante manifestazioni con prefetti, sindaci, presidenti di regione, politici come aspirava a diventare lui. Per poter rappresentare i poveri è necessario che non si rompa il meccanismo sociale che rende i poveri, poveri. L’umanità che voleva rappresentare doveva essere tenuta ancora in gabbia. E lui ha dato un valido contributo per tenergli strette le catene.
Non è la prima volta che a sinistra si sono utilizzate lotte e movimenti di protesta per forgiare splendide carriere personali. Ci sono stati “ambientalisti” che sui disastri generati dal sistema capitalistico sono finiti negli stessi comitati di affari che amministrano la gestione dei disastri e ne preparano di nuovi, movimenti di protesta di massa come il G8 di Genova da cui sono usciti politici che ancora vivacchiano in parlamento, organizzazioni dei disoccupati in cui gli unici ad aver trovato un’occupazione sono i capi dei disoccupati, sindacalisti passati alla notorietà e sul libro paga delle aziende dopo aver contribuito alla chiusura delle fabbriche.
Perché dovrebbe allora ancora interessarcene? Perché il caso Soumahoro si innesta su una delle questioni campali del nostro tempo: la formazione e l’emancipazione di una classe proletaria internazionale, il razzismo come elemento politico di controllo e di divisione tra proletari di diversi paesi.
Secondo la distinzione che Malcolm X fa dei negri al servizio dei padroni e dei negri sfruttati dai padroni, “negri da cortile” li definisce i primi, “negri dei campi”, i secondi, Soumahoro è il “negro da cortile” che non ha disdegnato di mettere in piedi cooperative e aziende per tenere i “negri dei campi” in una condizione di sfruttamento.
Ha utilizzato tutte quelle ramificazioni burocratiche che lo Stato italiano mette solitamente a disposizione dei piccoli padroni bianchi per far cassa sulla pelle dei neri, il sistema SPRAR, i centri di accoglienza, le cooperative, affidate ai suoi familiari, mentre lui andava in giro a portare la sua faccia da capopopolo. Altro che rivolta! Era un ingranaggio nel sistema di sfruttamento di cui sono vittime i nuovi proletari internazionali, che vengono usati per un duplice motivo: da un lato per rafforzare l’identità dei partiti politici che sul razzismo ottengono uno strumento di consenso elettorale facile ed immediato, facendo leva proprio sulla concorrenza e sulla divisione razziale tra proletari; dall’altro per la condizione di assoluta miseria in cui si ritrovano e con cui si costruiscono sacche di schiavitù in cui il valore del salario è ridotto al minimo fortificando ‘l’esercito industriale di riserva’ per i mega profitti dei padroni.
I soldi pubblici che sono arrivati alle cooperative dei Soumahoro, usati per campagne politiche e fini privati, sono una parte del problema. E comunque sarebbe un problema che lo accomunerebbe ai tanti padroni di pelle bianca che utilizzano ogni anno milioni di euro di finanziamenti per i loro profitti privati. Il crimine di Soumahoro non è quello codificato da norme e leggi della giustizia borghese, il suo crimine è aver utilizzato i poveri per i suoi fini personali, per la sua carriera di politico, per il suo posto in parlamento, per il suo culo al caldo e per la conquista della sua eleganza, della sua ricchezza. Se Soumahoro ha costruito il suo profilo politico come colui che organizza la rivolta dei proletari dei campi (umanità in rivolta), bisogna anzitutto chiedersi che tipo di contributo all’emancipazione dei lavoratori immigrati può mai dare uno che si sostituisce al padrone nell’allestimento di strutture dove i neri continuano ad essere carne proletaria da spremere e buttare via. Soumahoro con metodi leciti (gli SPRAR, le cooperative) ha surrogato la figura del caporale, è diventato un caporale legalizzato, un caporale con il bollino di legalità, faceva la sua bella vita e preparava la sua scalata al parlamento, mentre i braccianti continuavano ad essere ostaggio di un sistema di sfruttamento e a lavorare in condizioni disumane per quattro soldi. Il punto allora non “è il diritto all’eleganza” che Soumahoro recrimina per sé e la sua famiglia, il punto è che non possiamo essere tutti eleganti a questo mondo perché non siamo tutti ricchi. Il punto è che un certo tipo di eleganza si ottiene attraverso metodi di arricchimento che in una società divisa in classi delimita da che parte della barricata ti trovi: i ricchi diventano eleganti grazie ai poveri che li vestono con il loro sfruttamento. E Soumahoro fa parte dei primi. Una lezione che forse leggendo Di Vittorio non poteva cogliere.
Varrebbe la pena qui ricordare un punto del Programma del Partito Operaio che abbiamo redatto: Dato che la differenza fra ricchi e poveri – invece di diminuire – aumenta, posto che la ricchezza è prodotta dagli operai e la miseria dai padroni, decidiamo come operai di non voler più vivere in povertà e di unirci per farci restituire dai padroni il mal tolto e fondare una società in cui non si riformino più né ricchi né poveri, uscendo così dalla preistoria dell’umanità.” Una società in cui non si riformino più né ricchi né poveri. Non una società in cui i poveri vengono rappresentati. Non una società in cui a maggior ragione i poveri vengono rappresentati dai ricchi. La parabola di Soumahoro invece è tutta all’interno delle strutture materiali di una società che riproduce in continuazione la differenza tra poveri e ricchi. Soumahoro sa di poter esistere politicamente finché ci sono dei poveri. Il suo traguardo personale era possibile alla condizione che i poveri che riprendeva nei suoi selfie continuino a rimanere poveri. Aveva bisogno del fango reale dei proletari, per portare il suo di fango, pittoresco, propagandistico, in Parlamento. I capi politici della sinistra che lo hanno cooptato non hanno sbagliato il metodo di selezione della classe dirigente, come stanno dicendo adesso per tentare di salvare la faccia. Quei dirigenti di partito hanno scelto uno come loro, gente che parla dei poveri e li fotografa per i loro spot elettorali, per le loro carriere in giacca e cravatta.
Con il caso Soumahoro, i partiti politici della destra che sono al governo contano di avere la strada spianata nell’utilizzo propagandistico dell’immigrazione, nella formazione di un’opinione pubblica accodata ai messaggi razzisti, nel mantenimento delle condizioni di super sfruttamento nei campi di lavoro. Alla prima voce che si leverà alta contro lo sfruttamento dei braccianti, utilizzeranno la sua figurina da “negro di cortile” per dire che si tratta dell’ennesimo imbroglio, di tentativi di speculazione e frode. I messaggi di odio razziale potranno essere giustificati, perché tanto i neri come Soumahoro se lo meritano. Il più grande regalo politico alle destre lo ha fatto proprio il leader della “nuova” sinistra. I padroni e i governanti però i conti li dovranno fare nei ghetti. A San Severo, a Latina, a San Ferdinando, c’è una forza proletaria che può irrompere come classe, sbarazzandosi di leader opportunisti che portano regali, comunicati stampa, telecamere, per dirigere le loro lotte e accumulare medagliette per il parlamento. I braccianti e gli immigrati dovranno fare come a Rosarno nel 2010, come a Castel Volturno nel 2008, come a Firenze nel 2018, quando insorsero spontaneamente e con tutta la rabbia che muove una classe in lotta per la sua libertà, senza aspettare che il Soumahoro di turno si faccia veicolo delle loro istanze. Di veicoli e megafoni esterni che poi diventano numeri elettorali e seggi istituzionali è lastricata la strada per l’inferno dei proletari. Dovranno liberarsi tanto dei padroni che li tengono alle catene, quanto dei Soumahoro che gli tendono una mano per continuare a tenerli sottomessi. La vera umanità in rivolta arriverà così a rompere tutte le gabbie, distinguendo chi lotta al suo fianco da chi è lì per il suo tornaconto personale. Ѐ a questa umanità che si sarà liberata delle catene e degli opportunisti che noi daremo il benvenuto.
A. B.

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