REDDITO DI CITTADINANZA, L’INIZIO DELLA FINE

Il governo della Meloni smantella il sussidio ai poveri mentre aumenta la povertà. Ma dietro la povertà sta la possibilità della rivolta e non basteranno più le elemosine a placare gli animi.
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Il governo della Meloni smantella il sussidio ai poveri mentre aumenta la povertà. Ma dietro la povertà sta la possibilità della rivolta e non basteranno più le elemosine a placare gli animi.


 

Con poche righe nella legge di bilancio il governo Meloni sancisce la fine del reddito di cittadinanza (RDC). Nato come promessa elettorale determinante per la vittoria del M5S nel 2018, morto come promessa elettorale determinante per la vittoria di FDI nel 2022. Insomma, l’RDC è servito alle forze politiche che lo hanno sostenuto o avversato per vincere le elezioni ed andare al governo. L’RDC è durato il tempo di una legislatura senza minimamente cambiare le condizioni di povertà di milioni di italiani, anzi, è stato un grimaldello per far passare l’idea che quella “elemosina di stato” sia un livello “congruo” di salario a cui i padroni ci potranno prendere a lavorare. Idea questa implicitamente o esplicitamente condivisa da sostenitori e oppositori della misura, nessuno dei quali minimamente interessato a porre in discussione le cause di quella povertà. Le basi del suo superamento erano state già poste dal governo Draghi sostenuto anche dal M5S. L’epilogo dell’RDC era già scritto. Certo non potranno cancellare i milioni di poveri e disoccupati che la crisi continua a produrre, nè potranno obbligare al lavoro quelli che i padroni non vogliono. Gli occupabili sono una minima parte ed i padroni li assumeranno alle loro condizioni. Anche questo governo dovrà trovare, come le chiamano loro, misure di “sostegno alla povertà” e “all’inclusione attiva” che possiamo cominciare ad ipotizzare dando un’occhiata a quelle poche righe dell’art. 59 della bozza della legge di bilancio.
Partiamo dal comma 5 che è quello che stabilisce che a decorrere dal 1° gennaio 2024 la legge del RDC è abrogata.
Il comma 1 sancisce che dal 1 gennaio 2023 al 31 dicembre 2023 il RDC durerà solo 8 mesi. Quindi non più 18 mesi e naturalmente senza possibilità di rinnovo e comunque non oltre il 31 dicembre 2023.
Il comma 2 stabilisce che le disposizioni di cui al comma precedente non si applicano in caso di nuclei al cui interno vi siano persone con disabilità, minorenni o persone con almeno sessant’anni di età. Quindi il reddito potrà durare più di 8 mesi ma comunque non oltre il 31 dicembre 2023.
Il comma 3 stabilisce che tutti i percettori del reddito che non sono esonerati o esclusi dagli obblighi e sono tenuti alla sottoscrizione del patto di servizio “devono” essere inseriti, per un periodo di sei mesi, in un corso di formazione e/o di riqualificazione professionale. “In caso di mancata frequenza al programma assegnato il nucleo del beneficiario del reddito di cittadinanza decade dal diritto alla prestazione”. Corsi che serviranno poco o niente a rendere occupabile la persona ma permetteranno di distribuire risorse a chi quei corsi organizzerà.
Il comma 4 stabilisce che si perde il diritto alla prestazione rifiutando una qualsiasi offerta “congrua” a tempo determinato, indeterminato, part time, full time e poiché lo stesso comma prevede che “Nel caso di stipula di contratti di lavoro stagionale o intermittente il maggior reddito da lavoro percepito non concorre alla determinazione del beneficio economico, entro il limite massimo di 3.000 euro lordi”. Ne deduciamo che diventerà offerta congrua anche un’offerta di lavoro stagionale o intermittente e con la re-introduzione dei voucher con un limite a 10.000 euro annui anche il lavoro occasionale. Inoltre lo stesso comma sancisce che i Comuni dovranno convocare per i progetti di utilità collettiva (i lavori a titolo gratuito) da svolgere presso i comuni per 8/16 ore settimanali) tutti gli obbligati (mentre prima era obbligati a chiamarne almeno un terzo). Qualsiasi offerta sarà “congrua” e i Comuni potranno avere spazzini gratis.
Il comma 6 stabilisce che grazie alle misure prese la spesa per il RDC è ridotta di 743 milioni di euro per l’anno 2023. Risorse da destinare a flat tax, credito d’imposta.
Per chiudere il comma 8 stabilisce che “Ai fini dell’organica riforma delle misure di sostegno alla povertà e di inclusione attiva di cui al comma 1 è istituito nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali apposito capitolo denominato «Fondo per il sostegno alla povertà e all’inclusione attiva» nel quale confluiscono i fondi che erano previsti per il RDC.
In buona sostanza, il “Fondo per il sostegno alla povertà e all’inclusione attiva” sarà il nuovo RDC ma a condizioni molto peggiori e con obblighi ancora più stringenti, come già nel 2023 si inizierà a provare di introdurre per poi renderle effettive dal 2024.

P.S.

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