E SE FOSSE TUTTA UNA ENORME BALLA?

Se la storia dei chip coprisse una voluta e programmata riduzione di produzione e riduzione dei salari? Se si trattasse di sovrapproduzione di auto rispetto ad un mercato non più in grado di garantire un certo saggio di profitto?
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Se la storia dei chip coprisse una voluta e programmata riduzione di produzione e riduzione dei salari? Se si trattasse di sovrapproduzione di auto rispetto ad un mercato non più in grado di garantire un certo saggio di profitto?


 

La difficoltà di approvvigionamento dei microchip è la giustificazione con cui vengono fatti i fermi di produzione nelle fabbriche di automobili (ma non solo) e di conseguenza cassintegrazioni per gli operai.
Le automobili moderne – dicono- sono piene di componenti elettronici, schede su cui vengono montati i microchip, componenti di controllo con i microchip, sensori con i microchip, display e connettività in rete grazie ai microchip (vuoi farne a meno mentre vai a lavorare o a fare spesa oggigiorno?). Microchip ovunque, quasi che le parti meccaniche o di carrozzeria non contassero più niente in un autoveicolo. Tutto scompare e diventa inutile se mancano i microchip, così vuole la narrazione dominante. E allora quale migliore scusa? “Domani non venire a lavorare, mancano i chip”.
D’altra parte, come si fa a montare una macchina se manca una sua parte? E sembra che la mancanza di chip sia una problematica di cui debbano farsi carico tutti, e così avviene: dopo che il padrone l’ha comunicata, seguono i volantini sindacali, i “bidelli” la riprendono per gli operai, i loro messaggini arrivano improvvisamente e persino prima di quelli del caporeparto, i giornali locali la mettono sui propri siti. Diventa normale che ciò che è specifico ruolo del padrone, dei suoi manager e dei suoi amministrativi, ufficio acquisti e contratti, sia occupazione e “preoccupazione” di tutti. Già questa comunanza di interessi in fabbrica, dove nulla è comune, ha dell’incredibile e insospettisce, e gli operai se ne stanno accorgendo e lo testimoniano.
Un po’ di logica vorrebbe una risposta semplice al padrone e ai suoi vari servi: “Che vuoi da noi? Fai funzionare la tua struttura organizzativa, procura materie prime e semilavorati, i chip sono tra questi. Gli operai vendono da contratto la loro forza-lavoro per il numero di ore e giorni fissato, fai trovare il necessario affinché la nostra capacità lavorativa di cui ti avvali per fare profitti si possa esplicare”. Invece passa per “normale” quel «ci dispiace ma per mancanza di microchip (quale sia poi in particolare non è dato sapere e nessuno lo chiede), tornatevene a casa, recupererete in qualche pre-“festivo”, o avrete la casa integrazione con annessa riduzione del prezzo pagato per la forza-lavoro, del salario».

La fake news dei chips – primo tempo
L’intera vicenda dei chip insospettisce dicevamo, e il tarlo del dubbio nelle nostre teste comincia rodere, e ci porta a snocciolare i meccanismi della macchina produttiva moderna, poiché fosse vera la storiella della mancanza di semiconduttori i casi sono due: o come padrone non sei stato neanche capace di organizzarti con i fornitori sui quantitativi adatti di pezzi che dovevano arrivare in fabbrica al momento giusto; o da questi sei stato ingannato. Ma nel primo caso decade la giustificazione che al fermo di produzione segua il non pagamento della nostra forza-lavoro, semmai ne deriva la incompetenza del ruolo padronale o manageriale, e allora ne deriverebbe un bel “fatevi da parte che neanche a fare i padroni siete capaci”. Nel secondo caso siamo sicuri che se i tuoi fornitori, caro padrone, ti han gabbato, promesso forniture che non sono stati in grado di rispettare, i tuoi prezzolati avvocati faranno valere contratti e penali che ti risarciranno del danno subito, e allora, ancora di più, non si vede perché non ci devi pagare per intero la nostra giornata integrando la cassintegrazione, sebbene ci hai rimandato a casa senza lavorare. A meno che tu voglia speculare alle nostre spalle con le penali che incassi dei subfornitori inadempienti.

Ma vogliamo credere alle migliori intenzioni di manager e amministratore delegato, padroni azionisti e suoi portavoce servitori: Covid 19 e annessi lockdown produttivi hanno generato un tale sconquasso nella filiera degli approvvigionamenti che le varie componenti elettroniche non prodotte in Cina e non trasportate, davvero non sono giunte nei magazzini locali. No, anche questo non funziona: poteva aver senso qualche mese fa, in piena pandemia, e così è iniziata questa storia dei chip, ma ormai tutte le merci hanno ripreso a circolare, in realtà non hanno mai smesso e gli operai ovunque nel mondo hanno lavorato per produrre e trasportare le merci “essenziali”, in pratica tutte, come ben sanno gli operai di tutto il mondo che l’han pagato sulla propria pelle. Quanto tempo occorre perché anche queste “così particolari” merci riprendano la loro normale circolazione? La cosa curiosa è che nessuno di noi ha visto nella sua vita quotidiana carenza nelle vetrine né di PC e tablet, né di smartphone, che in quanto a microchip non sono certo da meno delle schede elettroniche per automobili. Raccontavano che la crisi dei semiconduttori non si sarebbe risolta prima del 2023, non manca comunque molto alla sua verifica finale, ma il sospetto che tutti si siano appoggiati, ingigantendola, alla favoletta dei chips per nascondere un male peggiore del capitalismo la sovrapproduzione e fare digerire peggiori condizioni di lavoro agli operai è sempre più forte.

La fake news dei chips – secondo tempo
A fine luglio, ad aumentare ulteriormente i nostri dubbi, arriva addirittura la notizia che la leader tra i produttori di semiconduttori, la taiwanese TSMC, si aspetta per i prossimi mesi dato l’aumento nei magazzini un rallentamento della crescita (sovrapproduzione di microchip, come possibile?). «Ci aspettiamo che le eccedenze nelle scorte all’interno della catena di approvvigionamento dei semiconduttori richieda alcuni trimestri per ristabilirsi a un livello più sano», sono state le dichiarazioni nel report alla fine del secondo trimestre dell’amministratore delegato di Tsmc C.C. Wei. Il riferimento di una crisi di sovrapproduzione, confermata anche da altri produttori di microchips come Intel e Hynix, è vero che riguarda il settore dell’informatica di consumo (PC, tablet e cellulari), mentre su tutti i giornali non riusciamo a trovare nessuno che non confermi la difficoltà delle case automobilistiche ad approvvigionarsi di microchips. Ma se si va avanti a leggere la relazione del secondo trimestre di TSMC compare anche un’altra verità: le loro principali entrate sono dovute ai settori degli Smartphone (38%) e dei computer con alte prestazioni (cosiddetti HPC), 43%, con un aumento del 3% trimestre su trimestre il primo e del 14% il secondo, insieme i due settori coprono in pratica l’intera produzione, mentre il settore automobilistico è sì aumentato del 14% ma rappresenta solo il 5% dei microchips prodotti e richiesti a TSMC dal settore automotive che poi lamenta la scarsità degli stessi per giustificare le sue chiusure. Ecco allora che ci sorge la domanda a cui tutti i fedeli servi dei padroni e i padroni stessi dell’automotive dovrebbero rispondere: ma mancano i microchip perché non riescono a produrli o piuttosto le commesse non le avete nemmeno fatte, ovvero la domanda non è tale da interessare i produttori che pertanto ritengono più redditizio e sicuro continuare a produrre quelli dei settori che garantiscono profitti certi? A noi la risposta ci sembra la dia sempre l’amministratore delegato del primo produttore mondiale: «Dal lato della domanda, mentre osserviamo la “morbidezza” nel segmento di mercato del consumo finale, altri segmenti del mercato finale come data-center e l’automotive rimane stabile. E noi siamo in grado di riallocare la nostra capacità per supportare queste aree. Prevediamo che la nostra capacità rimarrà limitata per tutto il 2022 e la nostra crescita per l’intero anno sarà intorno al 30% in termini di dollari USA». In altre parole TSMC sarebbe anche pronta a soddisfare la domanda per tutti i microchip necessari alle auto (anche quelle volanti), e anzi ciò farebbe felice i suoi azionisti e i mercati finanziari a cui si rivolge, ovvero sarebbe “ben felice” di compensare la sua attuale sovrapproduzione con chip per altri settori, ma in realtà tale domanda non si concretizza, “rimane stabile” – dice agli investitori – e pertanto non si azzarda a cambiare secondo strane fantasie la propria produzione, ed è questa decisione che garantirà per il 2022 una crescita del 30%. Un padrone serio e concreto, insomma.
Mentre invece ci sta sempre più apparendo un ciarlatano di infima specie il padrone di automobili moderno che si è dovuto inventare la scusa sui chips per mandare a casa gli operai e limitare la produzione per continuare ad aumentare il proprio saggio di profitto in un mercato asfittico di auto che ormai, dopo aver impoverito i suoi operai, si possono permettere pochi ricchi.
R.P.

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