LA RABBIA DI PUTIN CONTRO IL POVERO GUERINI

La rabbia di Putin contro in ministro della difesa italiano è più che giustificata. Solo un mese fa la politica estera dell’imperialismo italiano guardava con interesse agli affari con Mosca, ...
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La rabbia di Putin contro in ministro della difesa italiano è più che giustificata. Solo un mese fa la politica estera dell’imperialismo italiano guardava con interesse agli affari con Mosca, il commercio del gas russo serviva e serve a rimpolpare le casse dello stato con accise e tasse. Putin ha avuto calorose accoglienze da tutti i capi di governo degli ultimi anni. Berlusconi lo ha ripetutamente abbracciato e Salvini lo ha preso a modello di gestione dello Stato, avendo in cambio cospicui finanziamenti.
Per nessuno era un criminale di guerra, eppure nel frattempo aveva raso al suolo Grozny, massacrato la popolazione di Aleppo, era intervenuto militarmente in Georgia e, in ultimo, mandato l’esercito russo a reprimere le rivolte operaie in Kazakistan. Ma gli affari fra gli industriali italiani e quelli russi andavano a gonfie vele, le oligarchie finanziarie dei due paesi guadagnavano entrambe nell’interscambio, anche la categoria degli imprenditori del turismo e del lusso erano e sono rispettosi del ricco cliente russo.
Ora Putin viene attaccato pubblicamente da un governo e da una classe politica di un paese che riteneva amico e si scatena in minacce e ritorsioni, ha buon gioco perché conosce bene come il grande capitalismo in Italia non veda di buon occhio le sanzioni, come continui a finanziarlo con l’importazione di gas, un affare al quale nessuno dei due contraenti vuole rinunciare. Putin minaccia quel piccolo ministro di nome Guerini per mandare un messaggio agli industriali e finanzieri italiani, non tirate troppo la corda perché anche quando la guerra finirà potreste rimetterci gli affari. La borghesia italiana è stata costretta dagli eventi, l’aggressione della Russia all’Ucraina , a sganciarsi formalmente da Putin, a sollevare la bandiera ucraina, a coprirsi dietro gli altri paesi imperialisti, non poteva far altro, tutti avevano illuso la giovane borghesia ucraina e buona parte del popolo che l’Europa unita e la Nato li avrebbero difesi dalla pressione dell’imperialismo russo. Dimostrata nei fatti che questa possibilità non era nella realtà delle cose – i banditi imperialisti si fanno la guerra fra loro solo per difendere i rispettivi diretti interessi quando vengono messi in discussione, e non era questo il momento -, hanno lasciato che fosse l’Ucraina stessa con le sue forze militari e sociali a vedersela con gli invasori, a difendere la sua autodeterminazione.
Certo che parole con il solito ritornello “armatevi e partite” non sono mancate, certo che la scelta di accogliere i profughi è stata unanime, hanno anche trovato il sistema per fare profitti spedendo sottobanco armi all’esercito ucraino, ma la cosa che più ha rotto le uova nel paniere a tutti i paesi imperialisti non è tanto l’aggressione russa quanto la resistenza ucraina, che va oltre l’esercito, ed è nelle squadre di autodifesa territoriale, nelle fabbriche riconvertite per produrre attrezzature per barricate e blocchi stradali.
Se Putin avesse potuto realizzare il suo piano di invasione in pochi giorni si sarebbe seduto al tavolo con gli americani e gli europei e si sarebbero spartiti l’Ucraina territorialmente, senza troppi problemi di sanzioni economiche e di affari che vanno all’aria. La tendenza che sta dietro la spinta a trovare una soluzione diplomatica ad ogni costo spinge per la resa della resistenza ucraina, per una pace imperialista fatta sulla testa dei combattenti, per tornare a fare grandi affari anche sul riarmo, sulla produzione militare. Intanto si continua a combattere casa per casa, strada per strada…
E. A.

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