FUORI DALLA GABBIA

Da un’intervista su Basilicata24.it di un giovane operaio in fuga dalla Stellantis di Melfi.
Condividi:

Da un’intervista su Basilicata24.it di un giovane operaio in fuga dalla Stellantis di Melfi.


 

Francesco appartiene alla platea dei giovani del jobs act che lo scorso 31 ottobre hanno lasciato la ‘fabbrica integrata’ di Melfi, oggi Stellantis, con un incentivo pari a 58mila euro lordi ciascuno. In un’intervista a “Basilicata 24.it”, dice:
“Quando ho firmato il mio licenziamento, in famiglia mi hanno dato del pazzo, perché buttavo all’aria un lavoro sicuro, la Fiat di Melfi, che per entrarci ci vuole pure la raccomandazione”.
In fabbrica c’è stato 7 anni. “Pensavo al posto sicuro, pensavo che avrei potuto far valere i miei diritti, che non sarei stato solo un numero”.
Deve presto ricredersi: “Mentre le condizioni di lavoro in fabbrica peggioravano e spesso anche per fare la pipì ti mancava il tempo, dall’altra parte i nostri rappresentanti sindacali parevano solo impegnati a spegnere ogni scintilla e a tenere buona la folla”. Invece di “essere nostri alleati – sottolinea – parevano i nostri carcerieri. Questa cosa non l’ho mai buttata giù. E nell’ultimo anno le cose sono peggiorate. Si lavorava sempre peggio e senza nessuna tutela proprio da parte di chi è preposto a tutelarci”.
Il giornalista chiede a Francesco se ringrazia l’attuale Stellantis per i 7 anni di lavoro, ma Francesco non ha dubbi: “E perché mai dovrei ringraziare la fabbrica, non mi hanno mica regalato niente. Hanno deciso loro i miei ritmi lavorativi per 7 anni: ora super lavoro, ora 5 giorni di lavoro al mese. Senza possibilità di determinare e programmare nulla. Anche il mutuo che ho fatto quando siamo stati in Cassa ho avuto problemi a pagarlo”. E aggiunge: “Inoltre i sacrifici li ho fatti io lavoratore, mica i capi. I dolori alla schiena erano i miei, mica i loro”. E sull’incentivo al licenziamento? “Anche su quello, togliere una briciola al capitale di una multinazionale, cosa sarà mai. Loro sono quotati in borsa. Non se ne sono neanche accorti delle briciole che mi hanno concesso”.
Non si pente di essersene andato: “Questa volta sarò io il padrone del mio futuro, senza dover ‘schiumare’ sulla linea col team leader che ti tiene il fiato sul collo e ti dice pure se e quando devi andare a pisciare”.
Sono le parole di un giovane che ha conosciuto la fabbrica e il padrone e ha capito che quello è un lavoro di merda. Che all’operaio non ne viene niente. Quattro soldi al mese. Una vita da schiavo. Sotto il comando di ufficiali e sottoufficiali nella caserma del padrone. Appartenenti all’esercito nemico anche quelli che dovrebbero essere nel tuo esercito: i sindacalisti.
E’ la vita a cui sono condannati milioni di operai in tutto il mondo.
Ci dicono costantemente che siamo tutti uguali nella società. Siamo tutti cittadini con diritti e doveri uguali. Le parole di questo ragazzo che scappa dalla fabbrica, mostrano quale è la condizione di un operaio nella fabbrica moderna. La fabbrica da cui Francesco scappa somiglia più ad un carcere che a un luogo di lavoro.
Chi può farlo, scappa via. Milioni di operai, però, sono costretti a rimanere perché non hanno altre possibilità, hanno famiglia, un affitto da pagare. Nessuno di loro ci rimane perché gli piace.
La società dei padroni sopravvive grazie al lavoro coatto di questi schiavi moderni, gli operai.
Francesco è uno che ha abbandonato, pur rimanendo legato ai suoi ex compagni di lavoro, è ormai fuori dalla fabbrica. I compagni che restano e non possono scappare, sul padrone, sui team leader, sui sindacalisti, la pensano sicuramente come lui. Odiano il lavoro da schiavi a cui sono costretti.
Dall’odio alla lotta il passo è breve. La maggior parte di loro non può scappare, se si mettono in movimento collettivamente, organizzati, il baraccone sociale che condanna gli operai ad una vita da schiavi per far vivere nel lusso una minoranza di parassiti è destinato a crollare.
F. R.

Condividi:

Comments Closed

Comments are closed. You will not be able to post a comment in this post.