DI PROMESSA IN PROMESSA FINO ALLE LETTERE DI LICENZIAMENTO

Whirlpool, questo è il risultato di essersi fidati di tante promesse di ministri, politici locali, di aver seguito la linea sindacale della fiducia nelle istituzioni, di stare calmi. Il padrone è andato giù con la mannaia, solo una potente reazione operaia potrebbe ribaltare la situazione.
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Whirlpool, questo è il risultato di essersi fidati di tante promesse di ministri, politici locali, di aver seguito la linea sindacale della fiducia nelle istituzioni, di stare calmi. Il padrone è andato giù con la mannaia, solo una potente reazione operaia potrebbe ribaltare la situazione.


 

Erano già pronte le lettere di licenziamento per gli operai della Whirlpool. L’azienda non ha atteso neanche il pronunciamento del giudice chiamato a decidere sul ricorso presentato dai sindacati dopo due anni di vertenza per condotta antisindacale. Agli operai le lettere sono arrivate il giorno prima della sentenza che poi di fatto ha dato il via libera al licenziamento definitivo dei 320 operai di Napoli. Il giudice da par suo ha rigettato il ricorso sull’art. 28. Per la legge il comportamento dell’azienda che “ha modificato i propri piani per sopravvenute condizioni di mercato” non inficia la correttezza delle relazioni sindacali. A questo punto infame della vertenza gli operai ci erano già arrivati in ginocchio. Se le speranze di riconquistare forza nella lotta contro il padrone Whirlpool erano riposte nella sentenza di un giudice, nelle interpretazioni del diritto, nella formulazione della dignità del lavoro garantita dalla Carta delle carte, la Costituzione dei padroni, posta a baluardo giuridico dei loro interessi materiali, la risposta è arrivata subito. Non si danno migliori rapporti di forza a partire dalle sentenze dei tribunali, sono i rapporti di forza predeterminati semmai a portare sentenze più favorevoli per gli operai. Non è un caso che, laddove gli operai hanno costruito rapporti di forza adeguati allo scontro in atto, come alla GKN di Firenze, il ricorso per attività antisindacale sia arrivato entro due mesi e non dopo due anni, e che la sentenza del giudice del lavoro sia stata favorevole per gli operai in lotta.

OPERAI STREMATI
Operai stremati da due anni di appuntamenti e incontri periodici in tutte le sedi istituzionali possibili, perché le attese di due anni servono soprattutto a chi comanda il gioco, non a chi lo subisce, che dal tempo che passa ne viene travolto, e poi confusi, disorganizzati, senza una strategia di lotta e un presidio organizzativo autonomo, sganciati dalle centrali sindacali che di vertenze lunghe, mediaticamente roboanti ma inconcludenti sotto il profilo della lotta, ne hanno gestite tante, e tutte con lo stesso copione. Anche il finale che gli operai devono poi ingoiare è sempre lo stesso. “Ce l’abbiamo messa tutta”, “E’ stato fatto il possibile”, “Adesso il governo ci metta la faccia”. Se c’è una cosa che contrassegna la vertenza Whirlpool più di altre è che ciascuno dei soggetti coinvolti sapeva cosa fare, tranne loro, quelli che avrebbero dovuto fare qualcosa di diverso, gli operai.

TUTTI SAPEVANO COSA FARE FUORCHÈ GLI OPERAI
L’azienda sapeva che nessuna minaccia concreta sarebbe arrivata da organizzazioni sindacali che riusciva a controllare e gestire già da tempo, da quando in fabbrica erano passati i contratti di solidarietà, le prime trattative sottobanco per incentivare gli operai all’uscita preventiva e il trasferimento in Polonia della gamma di lavatrice più richiesta senza colpo ferire. Sapeva anche che il governo, anzi i vari governi succedutisi, avrebbero accompagnato la vertenza al punto in cui è giunta adesso, che il richiamo al rispetto degli accordi siglati in sede ministeriale è una nenia propagandistica per i polli che ancora si cibano di fesserie ammantate di sacralità democratiche che gli accordi tra governi e padroni valgono fintantoché sono utili ai padroni a far profitti con l’approvvigionamento dalle casse statali. La favola che con la chiusura dello stabilimento di Napoli il governo avrebbe ridiscusso il piano delle sovvenzioni per l’intero gruppo Whirlpool presente sul territorio nazionale fino al punto di ritirarlo è servito solo per tenere gli operai legati al carro delle fanfare istituzionali, dando loro la parvenza di un governo amico e soccorritore di cui potersi fidare.

INTASCARE I FONDI STATALI
Whirlpool chiude Napoli e per le altre fabbriche italiane beneficerà dei fondi statali stanziati, finché serviranno, fino alla prossima chiusura che si renderà necessaria “per sopravvenute condizioni di mercato”. Questo è stato già discusso negli incontri separati tenutisi al Mise nelle ultime settimane. Questi sono i fatti, questa è la dimostrazione tangibile, al netto di tutte le stronzate demagogiche, di come il governo sia un comitato d’affari della borghesia, al governo si può andare solo per servire i padroni. La Whirlpool sapeva che avrebbe solo dovuto portare avanti con convinzione la storia che “il sito non era più sostenibile” (per far aumentare i profitti ne aveva già individuati altri) e lo ha fatto.

I SINDACATI EQUILIBRISTI
I sindacati dovevano mantenersi in equilibrio in quel precario regime da ciarlatani fatto di parole, promesse e azioni, in cui ormai però sono degli scafati professionisti, che dava agli operai la sensazione che qualcosa di concreto si stesse facendo per far crollare il muro che Whirlpool aveva alzato, che fossero veramente loro, gli operai, a decidere come e quando muoversi, con i sindacati che avrebbero assecondato ogni loro proposta e iniziativa di lotta, anche la più dura e radicale, mentre si faceva leva proprio sulla scarsa capacità di organizzazione e spinta alla lotta di questa collettività operaia per mantenere la vertenza su binari rassicuranti, controllati, pacifici e nel rispetto delle liturgie democratiche che come abbiamo visto portano gli operai sul binario morto in cui si ritrovano ora.

ABILI MESTIERANTI
È opera da mestieranti abili, non è facile accreditarsi come rappresentanti degli interessi operai e allo stesso tempo deviare gli operai su iniziative e programmi che a tutto servono tranne a far emergere con forza i loro interessi. Si veda, solo come esempio più limpido fra i tanti, la scaltrezza con cui sono riusciti a lavarsi la faccia davanti agli operai con le iniziative di sciopero nazionale proclamate solo nell’ultima settimana. Due anni per proclamare uno sciopero nazionale, per poi poter dire, a cose fatte, “noi veramente ce l’abbiamo messa tutta” – Chapeau. Occorrerà tutta l’insofferenza, la frustrazione, l’intolleranza, lo sdegno e la forza di cui è capace una classe quando si mette in movimento, dopo anni di colpi subìti, per liberarsi di questi personaggi del destino.

PROMESSE DA MINISTRI
Tutti i ministri del lavoro e dello sviluppo economico che si sono alternati nella gestione di questa vertenza hanno proclamato a più riprese che una soluzione per gli operai della Whirlpool sarebbe arrivata. Da Di Maio, a Patuanelli, a Giorgetti, ad Orlando. E continuano a farlo. Con i cancelli chiusi e le lettere di licenziamento arrivate, vogliono ancora rassicurare gli operai che il sito di Napoli sarà oggetto di un intervento di reindustrializzazione nel settore ambientale o della mobilità sostenibile. Altri nomi con altre facce lo dissero per altre aziende in crisi che sono scappate con le valige piene di soldi. E da allora quegli operai non hanno visto un solo giorno di lavoro e di salario pieno. Vale la pena rammentare cosa è accaduto a Termini Imerese: il 31 dicembre 2011 la Fiat dismette la produzione. Seguono infiniti tavoli e incontri al ministero, c’è chi promette di portare i fiori, chi l’auto elettrica, chi l’energia green. Solo tentativi declamati e fallimenti. Nel 2015 il sito viene consegnato ad una società di nome Bluetec che avrebbe dovuto produrre componentistica per l’elettrificazione dell’auto Doblò. Vengono impiegati solo 130 operai su 700 e in modo discontinuo.

UNA FILA DI PRESE IN GIRO E FALLIMENTI
Il progetto fallisce e Termini Imerese chiude nuovamente, si appurerà in seguito che i proprietari della Bluetec avevano “distratto fondi pubblici destinati al rilancio dell’area industriale”. Padroni di seconda generazione abbuffati di soldi pubblici che lasciano ancora gli operai per strada. Segue amministrazione giudiziaria straordinaria con la supervisione di 3 commissari nominati dal Governo. Voci sul possibile rilevamento da parte di Amazon, poi rientrate. Siamo giunti ormai al 2022, da undici anni quello che doveva essere il modello dell’intervento statale per il rilancio industriale delle aree in crisi è solo una presa in giro per gli operai e l’ennesima occasione per le ruberie di altri padroni. Se le speranze degli operai della Whirlpool di riconquistare un posto di lavoro perduto sono riposte nelle promesse di reindustrializzazione del governo, occorre che facciano esercizio di memoria per recuperare le storie di quegli operai che dalle prospettive di reindustrializzazione sono finiti stritolati.

FINITI NELLA TAGLIOLA
Le lettere di licenziamento li mette nella tagliola delle alternative che il padrone ha individuato al licenziamento: entro il 30 novembre potranno scegliere se accettare l’incentivo all’esodo di 85.000 euro lordi o il trasferimento nello stabilimento di Cassinetta a Varese. Sono le stesse proposte che l’azienda fece agli operai prima dell’avvio della chiusura della fabbrica di Napoli. Dopo il danno pure la beffa. Dopo due anni di vertenza si ritrovano al punto di partenza con l’aggiunta del licenziamento definitivo.
Nel precedente articolo scrivevamo “Questi operai: sono stati persuasi dai sindacati ad accettare che l’azienda sbarrasse con i catenacci gli ingressi della fabbrica durante l’ultimo annunciato giorno di lavoro senza alcuna opposizione; persuasi a mantenere la calma, cioè a ritenere controproducente qualsiasi iniziativa di forza, come l’occupazione della fabbrica, il presidio permanente su prodotti e macchinari, il valore economico dell’azienda ancora tangibile; si sono illusi che sarebbero bastati momenti di visibilità mediatica e le pacche sulle spalle in solidarietà di vecchie volpi politiche addestrate a spargere illusioni per costruire una lotta che mettesse paura al padrone; sono stati confinati in manifestazioni e cortei innocui concordati e cronometrati con le forze dell’ordine senza mai creare un vero problema di ordine pubblico; non hanno mai pensato di bloccare sul serio la produzione negli altri siti italiani super-produttivi del gruppo Whirlpool né hanno imposto ai sindacati di farlo veramente. Nonostante gli sforzi militanti per le continue mobilitazioni, dopo ottocento giorni di vertenza si finisce appesi ad una sentenza del giudice per tirare a campare qualche mese in più e alla promessa di un ministro di finire in cassa integrazione in attesa di nuovi fantomatici piani industriali.”

DALLE SCONFITTE SI IMPARA
Se l’azienda dall’esito di questa vertenza matura un risultato pieno, gli operai maturano una sconfitta che porta con sé scenari perfino peggiori di quelli prospettati loro dai sindacati in caso di licenziamento ma con uno straccio di accordo con Whirlpool che avrebbe coperto il processo di transizione: l’azienda si è completamente liberata della zavorra degli accordi-ponte che avrebbe, almeno in linea teorica, garantito una continuità di inquadramento contrattuale e salariale per gli operai. Con il licenziamento definitivo e l’uscita di scena di Whirlpool, gli operai sono completamente alla mercé dei progetti che il governo proporrà, nei tempi e alle condizioni che il governo vorrà mettere in campo, ammesso che si giunga mai ad una proposta concreta. A meno di improvvisi, ma a questo punto assai improbabili, cambi di rotta da parte degli operai questa vertenza ci inchioda al riconoscimento di alcune verità che diventano ineludibili per tutti gli altri operai che dalle vertenze fallimentari precedenti devono trarne i dovuti insegnamenti: se i padroni prima spremono gli operai al massimo e poi licenziano per sfruttare, a loro favore, le differenze nazionali dei salari trasferendo la produzione altrove non è per legge di natura, ma per utilità economica, per la difesa dei propri interessi.
Ai loro interessi si deve opporre la difesa dei nostri; mantenere un profilo basso, pensare che quanto più si è civili, docili tanto più ci saranno possibilità di salvezza, non ci aiuta, ci affossa; presentarsi alla resa dei conti con un padrone agguerrito e potente senza la compattezza di un collettivo che ragiona e si muove come una sola persona e una struttura organizzativa propria degli operai, indipendente dai sindacati di appartenenza, maturata nel tempo con un lavoro interno alla fabbrica, non ci aiuta, ci affossa; aggrapparsi ai sindacati, affidarsi a loro, consegnando mandati e deleghe in bianco, senza mai prendere in mano il comando della lotta, non ci aiuta, ci affossa; credere che dalle istituzioni arriveranno mani tese, aiuti, soluzioni, senza aver scatenato il pandemonio per costringerli a far qualcosa, ed anche in questo caso non è detto che sia qualcosa di durevole, non ci aiuta, ci affossa.
A. B.

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