DALL’AUMENTO DELLA BENZINA ALLA RIDUZIONE DEI SALARI

L’aumento dei prezzi provoca una caduta dei già miseri salari operai. La perdita dei guadagni di artigiani e piccoli imprenditori provocò un’ondata di richieste di “ristori”. Per quale ragione gli operai non dovrebbero oggi chiedere il recupero delle perdite di salario? Perchè Bonomi non vuole e i dirigenti sindacali gli vanno dietro?
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L’aumento dei prezzi provoca una caduta dei già miseri salari operai. La perdita dei guadagni di artigiani e piccoli imprenditori provocò un’ondata di richieste di “ristori”. Per quale ragione gli operai non dovrebbero oggi chiedere il recupero delle perdite di salario? Perchè Bonomi non vuole e i dirigenti sindacali gli vanno dietro?


Il prezzo medio nazionale della benzina, il 18 ottobre, in modalità self è di 1,738 euro/litro.
Di questo prezzo, 0,728 è rappresentato da “accise”, imposte dello stato che si sono accumulate nel corso di quasi 100 anni, e 0,313 dall’IVA. Quindi il costo della materia prima è di euro 0,697, praticamente il 40%, il resto sono soldi che vanno allo Stato.
Dall’aumento del prezzo del petrolio determinato dall’aumento dei consumi con la ripresa post pandemica e il contingentamento della produzione dei signori del petrolio per non far cadere il prezzo alla produzione, lo Stato ci guadagna e l’aumento grava tutto sui consumatori. Tenendo presente che il prezzo dei combustibili per i produttori, industriali in primis, non è assoggettato a tutte le accise, ma ridotto di parecchio, chi deve sopportare il peso degli aumenti è principalmente il lavoro dipendente e gli operai in prima persona.
Dall’aumento del prezzo dei combustibili deriva in questa fase l’aumento di tutti i generi di consumo con una dinamica particolarmente veloce.
Le stime ufficiali non dicono tutta la verità. L’ISTAT ipotizza un’inflazione ancora al 2,5%, ma in realtà stiamo già marciando a percentuali a due cifre. Padroni e padroncini stanno approfittando della situazione e tutti i prezzi dei beni di consumo finale stanno aumentando.
Gli operai, già questo mese, si troveranno con un potere di acquisto ridotto rispetto a quello precedente, e verrà ancora di più eroso nel mese prossimo.
Nelle fabbriche alla riduzione dei salari dovuti alla cassa integrazione si sommerà la riduzione dovuta all’inflazione.
In Stellantis per esempio, quegli operai che hanno quasi sempre lavorato e che hanno sopportato negli ultimi dieci anni l’aumento dei ritmi, la riduzione delle pause e il peggioramento complessivo delle condizioni di lavoro, ma che avevano conservato un salario pieno perché poco coinvolti nella cassa integrazione, ora verranno colpiti insieme agli altri.
Sarà difficile tenerli a freno. L’aumento del costo della vita e, contemporaneamente, la riduzione dei salari che sta avvenendo negli stabilimenti con l’uso massiccio della cassa integrazione, colpisce ora direttamente anche questo “zoccolo duro” che con il ricatto del lavoro era stato costretto ad accettare il peggioramento delle proprie condizioni imposto dalle aziende.
I soldi del recovery fund vanno per la maggior parte alle imprese e fanno volare un PIL drogato. Questi soldi, per buona parte, dovranno essere restituiti e il nostro caro banchiere che sintetizza nel governo gli interessi del grande capitale bancario-industriale, si sta organizzando affinchè il peso di questa restituzione ricada sugli operai e il lavoro dipendente in generale. L’aumento dei prezzi viene già utilizzato per questo: con lo Stato che intasca più tasse e gli imprenditori che guadagnano con l’aumento generalizzato dei prezzi, gli operai e le altre classi subalterne devono sostenere tutto il peso della manovra.
In questa situazione brillano ancora una volta le organizzazioni che dovrebbero difendere gli interessi degli operai. Invece di cominciare a porre seriamente all’interno delle fabbriche il problema del salario, i sindacati non fanno altro che invocare un aiuto dello Stato per uscire dalla crisi chiedendo implicitamente altri soldi per i padroni.
F. R.

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