PER I 1.600 OPERAI ILVA IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, IL RITORNO IN FABBRICA NON È PIÙ UNA PRIORITÀ

La scelta dell’Usb di Taranto di orientare gli operai in cassa, usciti con l’accordo del 2018 e in attesa formale del rientro, verso l’impiego nei Lpu nei Comuni di residenza  è un esempio di come finiscono male gli accordi di reintegro mal scritti e mal sostenuti da chi li sottoscrive
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La scelta dell’Usb di Taranto di orientare gli operai in cassa, usciti con l’accordo del 2018 e in attesa formale del rientro, verso l’impiego nei Lpu nei Comuni di residenza è un esempio di come finiscono male gli accordi di reintegro mal scritti e mal sostenuti da chi li sottoscrive


Spingere i 1.600 operai dell’Ilva in amministrazione straordinaria (as) in cassa a zero ore a una resa incondizionata. È quanto sta facendo l’Usb di Taranto inducendoli a partecipare a Lavori di pubblica utilità (Lpu) presso i Comuni di residenza in attesa di un eventuale ritorno in fabbrica, che, smobilitando di fatto ogni forma di lotta reale, non avverrà mai. L’Usb mostra addirittura questa palese deviazione dall’originario proposito degli operai, appunto il ritorno in fabbrica, come una conquista, poiché la condisce con qualche manifestazione sotto la sede della Regione Puglia e con parole reboanti che nascondono i fatti. Orientare gli operai a implorare un posto nei Comuni di residenza è solo una resa senza condizioni agli interessi dei padroni di ArcelorMittal (AM). È la lampante dimostrazione di come gli accordi di salvaguardia dei posti di lavoro, mentre gli operai vengono buttati fuori dalla fabbrica, sono in realtà una presa in giro, valgono zero e finiscono nella pattumiera dell’opportunismo sindacale.
L’accordo firmato da Fiom, Fim, Uilm e Usb a settembre 2018 con AM prevedeva il rientro dei 1.600 operai in acciaieria a partire dal 2023. Quell’accordo, strombazzato come “il migliore possibile” pur di traghettare l’Ilva dai Riva sotto processo a nuovi padroni, si rivelò presto un grosso affare per il colosso franco-indiano dell’acciaio, che da governo e sindacati ricevette prima mano libera con la fuoriuscita dei 1.600 operai, scelti fra i meno produttivi e i più ribelli e messi in cassa a zero ore, e dopo piena libertà di azione in fabbrica. Infatti gli accordi successivi, firmati a marzo 2020 fra AM e Ilva in as e a dicembre 2020 tra AM e Invitalia, non hanno fatto più cenno alla destinazione di quegli operai.
Ovviamente anche Fiom, Fim e Uilm non parlano più della sorte dei 1.600 operai, figuriamoci del loro rientro in fabbrica! Nella recente richiesta al ministro Giorgetti di convocare un incontro sulla vertenza AM dopo l’ultima riunione dello scorso 8 luglio, si sono offerti “per la costruzione di un programma di rilancio di tutti i siti ex Ilva, è fondamentale per noi mettersi al lavoro insieme, condividendo gli orientamenti del futuro piano industriale”. Consapevoli che collaboreranno a costringere gli operai a nuova cassa integrazione (dopo quella a raffica degli ultimi mesi, AM ne ha chiesto ulteriori 13 settimane per circa 4mila operai a partire dal 27 settembre) e forse anche ai licenziamenti, già ventilati a luglio, ignorano tranquillamente i 1.600! Anche alla Regione Puglia non interessa per nulla il loro rientro in fabbrica: ha ipotizzato un piano di formazione professionale per il loro successivo impiego in attività socialmente utili, come le bonifiche ambientali, ma era solo un progetto fumoso per distogliere e spegnere la forza operaia, non ha sortito alcun effetto concreto.
Come a Fiom, Fim e Uilm e Regione Puglia, neanche all’Usb interessa che i 1.600 cassintegrati rientrino in fabbrica: infatti ha chiesto il loro impiego in Lpu nei Comuni di residenza. Proposta che la Regione nell’ultimo incontro tre mesi fa ha condiviso, pur dichiarando la volontà dei commissari straordinari di attendere la presentazione del piano industriale di Acciaierie d’Italia nella speranza che vengano riassorbiti alcuni lavoratori ex Ilva in as. Altra fumosa speranza volta a creare false illusioni fra gli operai: AM ha voluto liberarsi dei 1.600 e intende continuare su questa strada, senza forme di lotta seria e unitaria fra operai in cassa e operai al lavoro, i 1.600 non rientreranno e altri li seguiranno.
Ovviamente l’Usb cerca di distinguersi da Fiom, Fim e Uilm e dalla Regione Puglia, perciò alza la voce e minaccia manifestazioni a supporto della sua richiesta. Insomma batte il mestolo nel fondo della pentola per far intendere che sta scoppiando il temporale. Il vicolo cieco in cui l’Usb caccia gli operai emerge lampante dalle parole di Franco Rizzo, coordinatore provinciale Usb Taranto. Le parole scritte in una nota del 2 maggio 2021 e ripetute alcuni giorni fa ad alcune decine di operai raccolti sotto la sede della Regione. “Sono trascorsi due anni dal momento in cui il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, in un’assemblea tenuta a Taranto, di fronte a oltre 400 lavoratori Ilva in as, ha assunto impegni ben precisi in merito a corsi di formazione e Lpu. I percorsi formativi, e ancora di più i Lpu, rappresentano preziosi strumenti, da sfruttare assolutamente, per dare un’opportunità di lavoro dal punto di vista professionale, ma anche sociale. Del resto stiamo chiedendo di fare a Taranto quel che a Genova, dove i lavoratori operano a servizio dei Comuni di residenza, si fa già da molti anni. Questo dovrebbe quindi essere garantito anche in Puglia, per valorizzare e utilizzare le tantissime professionalità presenti nel gruppo di lavoratori Ilva in as. Usb, tra l’altro, nelle proposte presentate sia alla Regione che al governo, oltre alla quantificazione della spesa annua (pochi milioni di euro), ha più volte rimarcato che l’attivazione dei Lpu avverrebbe su base volontaria e comunque in via transitoria, in attesa del rispetto degli accordi vigenti sottoscritti in sede ministeriale sinora completamente disattesi”.
Insomma l’Usb caccia gli operai nel vicolo cieco, ma tiene per sé una via di fuga, l’attesa del rispetto degli accordi vigenti. Divisi e separati, ciascuno nel proprio Comune di residenza, gli operai non troverebbero mai più l’unità e la forza per cercare insieme di rientrare al lavoro in fabbrica. Anzi ognuno sarebbe spinto a tentare una soluzione individuale con le conoscenze che si hanno o si possono fare nel proprio Comune, magari con l’unico risultato di ritrovarsi, a breve, da solo e senza nulla in tasca. A questo la politica sindacale dell’Usb spinge gli operai, alla divisione, all’attendismo, all’opportunismo. In realtà niente di nuovo, è la politica sindacale con la quale Cgil, Cisl e Uil per decenni hanno maciullato la classe operaia in Italia.
L.R.

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