OPERAI RIBELLIAMOCI, CI STANNO PORTANDO AL MACELLO

Una giovane operaia di Prato è morta dilaniata dal macchinario su cui lavorava. Ora il solito ipocrita "mai più", un discorso salva coscienza del prete e uno scioperino. Fino al nuovo morto sul lavoro.
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Una giovane operaia di Prato è morta dilaniata dal macchinario su cui lavorava. Ora il solito ipocrita “mai più”, un discorso salva coscienza del prete e uno scioperino. Fino al nuovo morto sul lavoro.


Più o meno tre operai muoiono quotidianamente sul lavoro. Tranne rari casi le loro morti non hanno mai un effetto mediatico ed una risonanza che può scuotere le coscienze, a meno che queste morti non rappresentino un caso eclatante per vendere giornali o attirare la morbosità lacrimosa di qualche benpensante.
Se non sei un operaio (o non lo sei stato) che ha a che fare quotidianamente con mostruosi macchinari, la maggioranza delle persone non ha nemmeno lontanamente l’idea di come queste macchine infernali possano ridurre un operaio ad uno straccio macellato da ingranaggi, telai, colate d’acciaio, torni, frese, presse o magari cadendo dall’ultimo piano di un palazzo in costruzione.
Ma le macchine in se non rappresenterebbero un pericolo se tutto fosse nella norma ma, per aumentare la produzione quante volte il padrone magari ha fatto manomettere un fermo corsa su di una porta che avrebbe garantito la protezione all’operaio pur di far produrre più pezzi. Quante volte per fare più in fretta i capi obbligano gli addetti alla movimentazione di spostare più peso di quanto consentito, quante volte al muratore esposto ad altezze vertiginose il padrone ha negato le cinture di sicurezza perché si perde tempo, avendole comunque in cantiere, caso mai arrivasse un ispezione che, come sempre mai arriverà.
Ma l’idea aberrante delle morti sul lavoro diventa un ignobile spettacolo per i mass media che sfruttano la platealità dell’evento per vendere programmi televisivi o giornali.
Quale giornale o mass media si ricorda più dell’orribile morte dei 7 operai arsi vivi nella fabbrica della ThyssenKrupp, morti il 6 e il 7 dicembre 2007? Nessuno. Dopo il lutto, i funerali, le manifestazioni e le invocazioni “mai più” e le promesse di misure più forti per la sicurezza nelle imprese nulla è stato fatto, anzi, malgrado le irrisorie pene inflitte ai dirigenti, 9 anni e 8 mesi e 6 anni e 10 mesi, i pasciuti dirigenti non hanno mai scontato un giorno di carcere.
La stessa dinamica si sta mettendo in moto per la povera giovanissima operaia inghiottita e dilaniata da un telaio su cui lavorava quotidianamente da un anno.
Senza nessun fraintendimento ma l’enorme eco che sta avendo ovunque la morte di questa povera ragazza è fondata sul fatto che era una giovane madre. Come se strappare una vita di una giovane madre valesse di più che se fosse morta una giovane operaia ventenne. In questo modo passa tutto in secondo piano si faranno piangere lacrime amare alle vecchie madri colpite da questa brutalità, si ascolterà la contrizione di registi che magari l’avevano avuta come comparsa in uno dei loro stupidi film, si darà la parola al vescovo di Pistoia che affranto dichiarerà che qualcuno si dovrà prendere le proprie responsabilità di questa tragedia ma non vorrà condannare nè fare processi a nessuno. Tutti i politici che occupano il parlamento e le istituzioni (che responsabilmente emanano leggi liberticide sulla sicurezza a favore dei padroni permettendo a quest’ultimi di farla franca sempre) esprimeranno compunti il loro sdegno.
Tutti i sindacati, dai confederali a quelli di base si ergeranno a paladini della sicurezza organizzando, se va bene, una miserabile oretta di sciopero di protesta per non sfigurare. La magistratura ha già dichiarato che: “Siamo al lavoro per capire se e cosa non abbia funzionato nel macchinario, compresa la fotocellula di sicurezza”. Ma poi, arrivata la conclusione delle indagini che dureranno anni interi, alla fine si vedrà costretta a non condannare nessuno perché naturalmente nessuno avrà colpa dell’incidente che si rivelerà, come nella più miserabile tradizione italiana, una fatalità.
La responsabilità di questo orrendo macello che colpisce gli operai è in parte di noi operai. Lasciamo che altre classi parlino a nome nostro contro i nostri stessi interessi. Quante volte sia nei vecchi Cdf che nelle più moderne Rsu gli operai più combattivi hanno dovuto lottare fino alle estreme conseguenze per fare tentare di far applicare un minimo di norme sulla sicurezza nei reparti produttivi. Lo scontro, prima di poter arrivare direttamente al padrone deve passare le forche caudine di delegati corrotti o appartenenti alla classe impiegatizia e, se i rappresentanti degli operai non sono in grado di avere la meglio tutto rimarrà come prima.
La nostra giovane sorella operaia che oggi è stata dilaniata da un macchinario non deve finire dimenticata come sono finiti tutti gli altri operai morti sul lavoro e ricordata solo in brevi post dispiaciuti sui social per sistemarsi la coscienza. La perdita della sua giovane vita che ha colpito l’immaginario collettivo deve essere d’esempio perché gli operai comincino ad organizzarsi per i loro interessi con un partito operaio che una volta per tutte spezzi la macchina infernale dell’accumulazione.
D.C.

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