LICENZIAMENTI ECONOMICI, DIECI ANNI PER “SCOPRIRE” CHE LA NORMA ERA ANTICOSTITUZIONALE

Per dieci anni una norma anticostituzionale ha impedito, agli operai illegittimamente licenziati per motivi economici, di essere reintegrati al posto di lavoro. Lo ha affermato la Corte Costituzionale
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Per dieci anni una norma anticostituzionale ha impedito, agli operai illegittimamente licenziati per motivi economici, di essere reintegrati al posto di lavoro. Lo ha affermato la Corte Costituzionale


 

“In caso di ‘licenziamenti economici’ è “obbligatoria la reintegra se il fatto è manifestamente insussistente”. Lo afferma la Corte Costituzionale nella sentenza con la quale ha dichiarato “incostituzionale l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, nel testo modificato dalla ‘riforma Fornero’, con riferimento all’articolo 3 della Costituzione”.
“La Corte ha ritenuto che sia irragionevole – in caso di insussistenza del fatto – la disparità di trattamento tra il licenziamento economico e quello per giusta causa: in quest’ultima ipotesi è previsto l’obbligo della reintegra mentre nell’altra è lasciata alla discrezionalità del giudice la scelta tra la stessa reintegra e la corresponsione di un’indennità”.
La corte costituzionale mette mano ad un contraddizione fra dettato costituzionale e fretta del legislatore nel fornire alla legge Fornero norme per la libertà di licenziare. Fretta che introdusse una discriminazione fra licenziamenti economici e quelli con giusta causa, negando anche nel caso di insussistenza del fatto il reintegro per i licenziamenti economici.
La Corte sentenzia oggi, che non ci possono essere due pesi e due misure, fra un licenziamento “economico” rispetto a quello per “giusta causa”, nel caso si riconosca “l’insussistenza del fatto”deve essere prevista la reintegrazione nel posto di lavoro per entrambi.
Per quasi dieci anni migliaia di operai che potevano, secondo quanto corregge la Corte costituzionale, avere i diritto ad essere reintegrati, sono stati liquidati con quattro soldi dai giudici del lavoro che non si “erano accorti” dell’evidente incostituzionalità della norma.
L’aggiustamento introdotto dalla Consulta non risolve il problema degli strumenti che ha il padrone per inventarsi licenziamenti economici o per giusta causa. Ma nessuna legge toglierà al padrone la possibilità di costruire prove false, inventarsi pretesti per licenziare. Qui solo la forza operaia può limitarlo. La Consulta corregge l’insostenibilità formale che aveva nella legge Fornero un diverso trattamento per licenziamenti la cui causa era manifestamente insussistente.
Un aggiustamento che non è prodotto dalla volontà di frenare i licenziamenti ma è frutto della necessità di un raccordo formale fra il dettato costituzionale e le leggi in funzione, qui in particolare quelle del lavoro.
Per quanto nei prossimi processi gli operai licenziati per motivi economici possano ottenere il reintegro in caso venga riconosciuta l’insussistenza manifesta, non c’è da illudersi, la situazione non è quella descritta con i titoloni ad effetto – “è stata demolita la legge Fornero”, “ripristinato l’art. 18” (alludendo alla sua formulazione originaria) – che abbiamo letto sui giornali. Rimangono ancora anche formalmente delle questioni aperte. C’è da considerare che la Consulta è intervenuta su un paragrafo della legge Fornero, ma restano ancora valide e intatte le disposizioni del Jobs Act, anche in merito ai licenziamenti economici, per tutti quei lavoratori assunti dal 2015 in poi, su cui la Consulta non è intervenuta e del resto neanche potrebbe farlo in assenza di uno specifico richiamo.
Infatti se guardiamo meglio la cosa ci accorgiamo che già nei licenziamenti per “giusta causa” il reintegro non era obbligatorio.
Nell’articolo 3 del Jobs Act, peggioramento ulteriore della legge Fornero, attuato da un altro dichiarato servo dei padroni, Renzi, al comma 1 si dice: “nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità”.
Subito dopo nel comma 2, si afferma con un distinguo sottile che quando “sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.”
Quale delle due vale? Nella realtà la prima ipotesi è stata quella più seguita nei tribunali del lavoro. Anche nei licenziamenti per “giusta causa” la maggior parte dei giudici ha scelto, favorendo i padroni, per l’indennizzo senza il reintegro.
E’ indubbio che l’aggiustamento della Consulta metterà ancora più in evidenza le contraddizioni di una legge frettolosa che voleva a tutti i costi, e c’è riuscita, introdurre una libertà di licenziare senza nessuna possibilità di reintegro.
Quindi sia per “la giusta causa” che per “motivo economico”, di fatto i padroni hanno avuto la possibilità di mettere fuori i dipendenti con un semplice minimo indennizzo. Ed oggi, pur in presenza di una sentenza di incostituzionalità, resta da chiedersi quale orientamento adotteranno i giudici quando saranno chiamati ad esprimersi su un licenziamento economico collegato al Jobs Act.
Insomma, l’intervento della Corte Costituzionale è una pezza che cerca di mettere a posto, una pratica che di fatto, pur mancando il motivo di un licenziamento, dava comunque mano libera al padrone di mettere fuori definitivamente i dipendenti cancellando il reitegro.
Altra pezza era stata il misero aumento, nel 2018, dell’indennità che il padrone doveva pagare al dipendente licenziato, che aveva fatto urlare ai quattro venti i 5 Stelle e la Lega che le leggi antioperaie di Fornero e Renzi erano ormai superate.
C’è solo da rilevare che per anni degli operai, a cui gli stessi giudici avevano riconosciuto che il loro licenziamento economico era manifestamente insussistente, sono stati eliminati dalle fabbriche sulla base di una norma incostituzionale. Dove erano i magistrati democratici, gli avvocati pagati dal sindacato e il sindacato stesso? Aspettavano che un parruccone della Corte Costituzionale si accorgesse dell’incongruenza e la correggesse come se niente fosse successo.
F. R.

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