NICHI VENDOLA, DAVANTI TRIBUNO DEL POPOLO, DIETRO SERVITORE DI PADRON RIVA

È accusato di concussione aggravata in concorso, per aver cercato di “ammorbidire” l'Agenzia regionale protezione ambiente sulle emissioni nocive prodotte dall’Ilva.
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È accusato di concussione aggravata in concorso, per aver cercato di “ammorbidire” l’Agenzia regionale protezione ambiente sulle emissioni nocive prodotte dall’Ilva.


 

Cinque anni di carcere sono stati chiesti dalla pubblica accusa per l’ex presidente della Regione Puglia Nichi Vendola nell’ambito del processo “Ambiente svenduto” sul disastro ambientale e sanitario generato dalle emissioni nocive dell’ex Ilva di Taranto negli anni della sua gestione da parte della famiglia Riva. Vendola è accusato di concussione aggravata in concorso, in quanto, secondo la tesi degli inquirenti, avrebbe esercitato pressioni sull’allora direttore generale dell’Agenzia regionale protezione ambiente (Arpa) Puglia, Giorgio Assennato, per far “ammorbidire” la posizione dell’Arpa nei confronti delle emissioni nocive prodotte dall’Ilva. Un anno di carcere è stato chiesto per lo stesso Assennato, che si presentava sempre come nemico giurato dell’Ilva per le sue campagne di monitoraggio che inchiodavano la fabbrica, ma è stato accusato di favoreggiamento nei confronti di Vendola.
Quella contro Vendola non è la richiesta più pesante nei quasi 400 anni di carcere richiesti dalla Procura tarantina nei confronti di 35 imputati. Le pene maggiori sono state richieste per i Riva, ex proprietari dello stabilimento ionico e ritenuti i capi dell’associazione a delinquere che avrebbe permesso, attraverso dati fasulli e contatti politici compiacenti, di proseguire negli anni la produzione inquinante evitando controlli, sanzioni e leggi che avrebbero potuto compromettere i profitti della società. La procura ha chiesto 28 anni di reclusione per Fabio Riva e 25 per il fratello Nicola Riva, accusati di concorso in associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all’avvelenamento di sostanze alimentari, alla omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. E poi 28 anni per l’ex direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso e l’ex responsabile delle relazioni istituzionali dell’Ilva Girolamo Archinà, ritenuto dalla procura la “longa manus” dei Riva: a lui, secondo quanto è emerso dalle indagini, era affidato il compito di mantenere i rapporti con i giornalisti e i politici locali perché Ilva fosse al riparo dalle accuse degli ambientalisti o, più in generale, da eventuali rischi di chiusura totale o parziale. Altre richieste di condanna riguardano anche altri politici, avvocati, dirigenti e persino uomini di chiesa.
Quella contro Vendola non è la richiesta più pesante sotto il profilo penale, ma certamente lo è dal punto di vista politico (per inciso una più breve condanna è stata chiesta anche per il parlamentare Nicola Fratoianni, accusato di favoreggiamento nei confronti di Vendola). Proprio la condanna a Vendola ha fatto scalpore e sorpreso molti. Chi, proprio il politico di estrema sinistra, il capo di Rifondazione Comunista, il vicepresidente della Commissione antimafia, il tribuno del popolo che, citando Che Guevara, arringava ed esaltava nei suoi comizi folle di piccolo borghesi di sinistra compiaciuti di sentirsi ribellisti e pronti a docili intemperanze ben sapendo che a casa li aspettavano il letto comodo e il pasto caldo?
Ebbene sì, gli interventi della magistratura a Taranto hanno messo in luce il rapporto fra il padrone Riva e un ampio ceto politico nazionale e locale che si autodefiniva di sinistra e persino di estrema sinistra, a cominciare proprio da Vendola. Ma hanno sorpreso solo chi ha voluto farsi sorprendere, anche quegli operai che, scegliendo la via della “lotta comoda”, si sono fatti manovrare andando al carro dei politici piccolo borghesi illudendosi di ricavarne qualche soluzione ai loro problemi in fabbrica e sperando forse anche in vantaggi personali. Chi ha voluto dare il proprio futuro in mano a gentaglia come Vendola ora dovrà ricredersi.
La richiesta di condanna per Vendola non ha invece sorpreso chi, anche fra gli operai, aveva per tempo preso le distanze da questo rivoluzionario da salotto, chi aveva già capito le finalità dei suoi equilibrismi e tatticismi filopadronali, chi aveva già notizia dei suoi buoni rapporti con la famiglia Riva, chi aveva compreso il senso della “piena disponibilità” promessa da Vendola nel 2005, all’atto dell’investitura a candidato di sinistra alla carica di presidente della Regione Puglia, quando aveva garantito alla Confindustria pugliese di essere a sua disposizione e aveva rassicurato gli industriali a non avere paura di lui.
Come non ha sorpreso chi, giusto per fare un esempio sulla questione dell’Ilva, già sapeva della intercettazione telefonica in cui Vendola prima rideva divertito con Archinà per aver questi rubato il microfono a un giornalista di una TV locale che aveva chiesto a Emilio Riva un parere sui tanti morti per tumore nell’Ilva e nei quartieri operai a ridosso della fabbrica e poco dopo raccomandava ad Archinà di far sapere a Riva che lui non si era “defilato” dall’impegno di salvaguardare i suoi interessi.
L.R.

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