L’ACCIAIO È DI STATO. I PROFITTI DEGLI AZIONISTI. LA PELLE DEGLI OPERAI

Arcelor Mittal e Governo si sono accordati per continuare a fare profitti con la produzione di acciaio. Per gli operai la promessa del pieno reintegro nel 2025. Una presa in giro come quella del 2018, intanto andranno a casa in cassa con un salario  quasi dimezzato
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Arcelor Mittal e Governo si sono accordati per continuare a fare profitti con la produzione di acciaio. Per gli operai la promessa del pieno reintegro nel 2025. Una presa in giro come quella del 2018, intanto andranno a casa in cassa con un salario quasi dimezzato


 

L’impegno alla piena occupazione dei 10.700 dipendenti, in gran parte operai, dello stabilimento siderurgico tarantino entro il 2025 quando, sulla base del piano industriale, la produzione di acciaio dovrebbe tornare a 8 milioni di tonnellate con una risalita progressiva (nel 2021 previsti 5 milioni contro i 3,2-3,3 del 2020). È la promessa formale fatta da Arcelor Mittal e Invitalia in sede di firma dell’accordo del 10 dicembre che, al termine di una lunga trattativa fra Arcelor Mittal Italia-AmInvestco Italy da un lato e governo nazionale e Invitalia dall’altro, ha portato la società pubblica nel capitale di AmInvestco Italy, con una quota del 50% per due anni (l’altro 50% è di Arcelor Mittal Italia) e poi (nelle previsioni attuali) del 60% a partire dal 2022. Un impegno ribadito pochi giorni fa, in audizione alla Camera, dall’amministratore delegato di Arcelor Mittal Italia, Lucia Morselli, anche se l’accordo con Invitalia dovesse essere bocciato dall’Unione europea (con l’impegno a trovare un altro socio istituzionale italiano in brevissimo tempo).

Quello della promessa/garanzia della piena occupazione è un calmante sociale buono per tutte le situazioni. Quante fregature gli operai di tante fabbriche hanno subito, quanti bocconi amari hanno dovuto ingoiare, in nome della promessa della piena occupazione? Innumerevoli. Con il solito ritornello «ti tolgo “qualcosa” oggi per ridarti “tutto” domani», migliaia di padroni, con il sostegno di governi di ogni colore e politici, amministratori e sindacalisti di ogni bandiera, hanno fatto affari riducendo, con il ricatto e l’illusione, gli operai all’impotenza. È un “gioco” sporco, una porcheria senza limiti, che, con poche variazioni, ha centinaia di esempi nella storia del capitalismo, in Italia come altrove.

L’esempio della definizione del nuovo assetto dell’ex Ilva è uno degli ultimi, ma non sarà certamente l’ultimo. Governo e ArcelorMittal hanno raggiunto i loro obiettivi, gli operai sono solo provvisorie pedine di scambio, l’importante è che stiano zitti e non rompano. Il governo ha evitato sia una statalizzazione immediata e totale dell’Ilva, nel caso AM avesse esercitato il diritto di uscire corrispondendo mezzo miliardo di euro, sia una sua causa miliardaria contro lo Stato italiano, in caso di estromissione. AM potrà contare in due anni su 1,1 miliardi di euro di denaro pubblico, in più incassa la rimozione di tutte le imposizioni e di tutti i procedimenti legali (cioè sequestri penali) pendenti sullo stabilimento di Taranto e un piano ambientale meno impegnativo. In più AM ha la conferma della mano libera sulla gestione della forza-lavoro operaia. Ha un bel promettere, la Morselli, la piena occupazione per il 2025 «perché il mercato dell’acciaio è in crescita»! La sostanza è che 5.617 operai sono in cassa integrazione con causale Covid 19 da lunedì 16 novembre per sei settimane, cioè fino all’inizio del 2021. Questo tipo di ammortizzatore sociale è stato utilizzato di proroga in proroga da metà marzo scorso in sostituzione della cassa integrazione ordinaria per crisi di mercato che la multinazionale aveva avviato da luglio 2019. Da gennaio 2021 in poi già si ventila altra cassa integrazione, con o senza Covid 19. Infatti lo stesso organo ufficiale degli industriali, il Sole 24 Ore, il giorno dopo l’accordo scrive che “in linea teorica nel 2025 l’occupazione di gruppo tornerà ad assestarsi sulle 10.700 unità, tanti quanti sono oggi i dipendenti effettivi. Dal 2021 ci sarà una lunga transizione con la cassa integrazione che coinvolgerà 3.000 persone già l’anno prossimo”. Per gli operai ci sarà, subito e nei prossimi anni, da svegliarsi e lottare duramente per non continuare a essere scaraventati in mezzo a una strada per soddisfare i capricci del mercato dell’acciaio e il saliscendi dei profitti incassati dai Mittal e dai loro compari azionisti.
L.R.

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