ARCELOR MITTAL, 25 NOVEMBRE UNO SCIOPERO DI FACCIATA

I sindacati confederali hanno dichiarato uno sciopericchio di due ore con presidio, per sedersi al tavolo romano. Gli operai non hanno partecipato, sanno già per esperienza che il risultato sarà nuovi esuberi e nuova cassa integrazione.
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I sindacati confederali hanno dichiarato uno sciopericchio di due ore con presidio, per sedersi al tavolo romano. Gli operai non hanno partecipato, sanno già per esperienza che il risultato sarà nuovi esuberi e nuova cassa integrazione.


 

Hanno proclamato uno sciopericchio di due ore per far intendere che vogliono partecipare al tavolo che dovrebbe annunciare entro il 30 novembre, l’ingresso nello Stato nel capitale sociale di AM InvestCo. Ma al presidio alla fabbrica di Taranto c’erano quasi solo rappresentanti sindacali.

È una storia già vista all’ArcelorMittal di Taranto. I sindacati che muovono gli operai, quali pedine su una scacchiera, per usarli come massa da manovrare per contare di più e avere titolo a sedersi al tavolo decisionale concordato fra governo nazionale e multinazionale franco-indiana entro il 30 novembre, sono lo specchio di una fabbrica dove tutti tramano, scopertamente, a danno degli operai. Dove gli operai sono disorientati e non hanno, al momento, una forza auto-organizzata indipendente dagli interessi dei padroni, autonoma dalle manovre dei sindacalisti-mercenari di professione, capace di lottare per gli interessi propri; ma ne hanno subite tante per non cedere più alle illusioni sindacali.
Lo sciopericchio di due ore per turno, con presidio davanti alla portineria alla direzione, proclamato il 25 novembre da Fiom, Fim e Uilm per invocare chiarezza sui termini della trattativa tra governo e azienda per la definizione della nuova compagine societaria, attesa entro il 30 novembre, ricorda gli altri scioperetti farsa organizzati nel 2018. Quelli, è bene ricordarlo, per invocare chiarezza, ancora una volta, sulla nuova proprietà e supplicare l’arrivo dei nuovi padroni di ArcelorMittal, accolti con la firma (insieme con l’Usb) del famigerato accordo del 6 settembre, che espelleva dalla fabbrica 6.000 operai!
Dopo aver accettato quella enorme porcheria sulla pelle degli operai, e dopo aver avallato mesi e mesi di cassa integrazione per larga parte degli operai ancora al giogo dei padroni franco-indiani, i segretari generali di Fim, Fiom e Uilm, rispettivamente Roberto Benaglia, Francesca Re David e Rocco Palombella, in comoda conferenza stampa in modalità telematica, contemporanea al presidio, hanno sostenuto, guarda un po’!, che “la gestione degli impianti, a partire dalla firma dell’accordo del 6 settembre 2018, è andata via via peggiorando fino a diventare insostenibile”.
Fim, Fiom e Uilm hanno chiesto, inoltre, all’azienda e al governo Conte, “alla luce dell’annunciato ingresso dello Stato tramite Invitalia nel capitale sociale di AM InvestCo, la presentazione del piano ambientale e i tempi di realizzazione delle opere di messa a norma degli impianti; la presentazione del piano industriale, stabilendo in maniera definitiva quale sarà il destino del gruppo, quale il modello produttivo, tempi certi sul rilancio degli impianti fermi da anni; la definizione di un percorso certo di reintegro in ArcelorMittal dei lavoratori in Amministrazione straordinaria, loro eventuale impiego, per il tempo di permanenza in As, nelle opere di bonifica e garanzie stabili, da subito, sul loro futuro; chiarezza sulla gestione del mondo degli appalti”.
Alzare la voce per chiedere ai padroni di partecipare alle loro decisioni, cercando di illudere gli operai di avere così qualche voce in capitolo. E poi far loro ingoiare tali decisioni, dopo averle ratificate. Questo è il mestiere dei sindacalisti-mercenari. Fanno salotto, dicono chiacchiere, tanto loro non vanno a piegare le spalle in fabbrica. Sono gli stessi che, nel pieno della prima emergenza da Covid-19, hanno accettato l’obbligo di andata al lavoro per gli operai di cui AM aveva bisogno, con i rischi di contagio connessi, e per tutti gli altri la cassa integrazione. Sono gli stessi che adesso, nel pieno della seconda ondata, approvano i test sierologici volontari agli operai: all’azienda interessa sbarazzarsi subito di chi è eventualmente positivo ed evitare che gli altri si contagino perché vuole tenerli in fabbrica a sgobbare. Il 25 novembre Fim, Fiom e Uilm hanno organizzato un po’ di misero baccano, ma a farlo al presidio erano soprattutto rappresentanti sindacali. Operai, molto pochi! Perché a Taranto gli operai non credono più alle illusioni su cui i sindacati hanno, ancora una volta, cercato di alzare il sipario.
L.R.

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