PER MEZZA VITTORIA MEZZA SCONFITTA

Genova, 11 novembre. Risposta potente, sciopero e blocco dei cancelli, appello e sostegno dalle altre fabbriche genovesi, corteo numeroso e compatto fino alla Prefettura. Poche folcloristiche bandiere ma parole d’ordine gridate con forza.
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Genova, 11 novembre.
Risposta potente, sciopero e blocco dei cancelli, appello e sostegno dalle altre fabbriche genovesi, corteo numeroso e compatto fino alla Prefettura. Poche folcloristiche bandiere ma parole d’ordine gridate con forza. La trattative è dura, non ci sono solo i licenziamenti, l’azienda ha introdotto un altro elemento di ricatto la messa in libertà di 250 operai in modo che sul tavolo ci sia da ottenere anche il ritiro di questi. Poi il direttore capisce che alla forza che gli operai hanno messo in campo bisogna concedere qualcosa, non tutto, ne uscirebbe con le ossa rotte ed allora ritira il licenziamento di chi lo ha offeso, in una chat privata, sa che questo è veramente insostenibile e fa marcia indietro. In fondo che sia un coglione è stato ripetuto, gridato, ad alta voce per le strade di Genova.
Sugli altri due operai il richiamo del bel direttore è alla denuncia in corso, al fatto che c’è di mezzo la magistratura e, naturalmente, il prefetto comprende benissimo: si tratta della legalità e quando questa riguarda gli operai diventa un blocco di cemento inamovibile. Allora al tavolo, nella delegazione della FIOM che tratta per gli operai, prevale il vecchio adagio genovese: “meglio che niente marito vecchio”. Avevano iniziato l’agitazione al grido “toccano uno toccano tutti”, avevano scritto che i licenziamenti erano una “provocazione vergognosa”, gli operai li avevano seguiti per riportare tutti i compagni in fabbrica, ma firmano un accordo in cui uno solo sarà il licenziamento ritirato, oltre al ritorno al lavoro di quelli sospesi per rappresaglia. In cambio immediata cessazione degli scioperi e del blocco dei cancelli.
E gli altri due? Restano fuori con i lunghi tempi della giustizia del lavoro, ad essere concreti sarà difficile se non impossibile riaverli in fabbrica. I capi della FIOM hanno ritenuto che questo risultato fosse sufficiente, che non si potesse andare oltre, anzi lo hanno presentato come una vittoria, una vittoria a caro prezzo. La forza messa in campo è stata tanta, gli operai erano convinti delle loro ragioni, si poteva andare oltre e l’occasione era buona per fare i conti con la prepotenza di Arcelor Mittal. Ma un giudizio fondato su come si è concluso questo braccio di ferro potrà venire solo dagli operai che lo hanno condotto, potrebbero anche scoprire che sacrificare due dei loro compagni di lavoro, dopo solo un giorno di agitazione, è stato un cedimento che si poteva e doveva evitare.
La redazione

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