NON SONO CASI ISOLATI, SONO UNA STRATEGIA

Tutti prevedono che la tensione sociale aumenterà. Lo sanno anche i padroni. Nelle fabbriche il malcontento sale e corrono ai ripari, licenziamenti e repressione per intimorire gli operai e far fuori i più combattivi. Ma sbagliano i calcoli vedi la reazione alla ARCELOR MITTAL di Genova
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Tutti prevedono che la tensione sociale aumenterà. Lo sanno anche i padroni. Nelle fabbriche il malcontento sale e corrono ai ripari, licenziamenti e repressione per intimorire gli operai e far fuori i più combattivi. Ma sbagliano i calcoli vedi la reazione alla ARCELOR MITTAL di Genova


La condizione di schiavitù degli operai al tempo della pandemia si è ulteriormente accentuata, le direttive dei vari dPCm (decreti del Presidente del Consiglio dei ministri) infatti ne peggiorano oggettivamente le condizioni di lavoro, di salute e la vita sociale. L’obbligo di indossare i dispositivi di protezione individuale (DPI), guanti e mascherine, mentre si è incatenati alle linee di produzione (che hanno mantenuto ritmi precovid) rende la permanenza in fabbrica, di donne e uomini, un inferno quotidiano. La gerarchia di fabbrica al servizio del padrone vigila che non si respiri normalmente, che i DPI siano continuamente indossati dagli operai. Operai che devono muoversi lungo le postazioni velocemente, pur essendo la respirazione rallentata dai DPI.
Mentre il profitto dei padroni assume, per decreto del loro governo, la condizione di “produzione essenziale” per tutta la società, anche la socialità degli operai ne viene subordinata. Lockdown e coprifuoco si applicano rigidamente solo per gli orari della socialità extra lavorativa. In questo contesto l’azione di resistenza di operai e delegati combattivi, che cercano di difendere salute e sicurezza dentro le fabbriche, si scontra sempre più spesso con l’arroganza della gerarchia di fabbrica al servizio del padrone. L’inconciliabilità tra queste due figure, operai da una parte, dall’altra padroni e la gerarchia di fabbrica al loro servizio, assume sempre di più la forma di guerriglia. Spesso sotterranea, a volte palese.
Questa inconciliabilità profonda potrebbe, con il protrarsi della pandemia e le sue “regole”, affiorare e manifestarsi apertamente. I padroni e il sindacalismo colluso cercano di evitare con tutti i mezzi necessari che questo possa avverarsi. Stanno mettendo preventivamente in atto un’azione repressiva che cerchi di scongiurare l’emergere di dirigenti operai in grado di guidare una eventuale ribellione di massa?
L’ascesa al vertice di Confindustria del “capo degli untori lombardi” ha ulteriormente rafforzato sia l’arroganza di tutti i padroni che l’azione repressiva degli operai che non si sottomettono.
L’atteggiamento dei sindacalisti compiacenti assume forme diverse ma con un denominatore comune: la produzione prima di tutto. In alcuni casi l’azione di repressione dei delegati e operai ribelli, appare di fatto contigua e concertata tra burocrazie sindacali, il padrone e i suoi lacchè. Riportiamo di seguito tre esempi di tre aree geografiche diverse.
Gli operai coinvolti nelle sospensioni e licenziamenti sono delegati di fabbrica nell’esercizio delle loro funzioni. Riconosciute dal padrone.

Il primo caso è quello di Giuseppe D’Ambrosio operaio e delegato Fiom alla Arcelor-Mittal (ex Ilva) di Taranto e di altri tre operai. D’Ambrosio, da quanto scrivono i colleghi nel sito, è sempre in prima fila nei reparti a segnalare problemi inerenti alla salute e sicurezza sul lavoro. In un ambiente di lavoro, è noto, dove la magistratura è intervenuta più volte anche sequestrando gli impianti che producevano malattie e morte all’interno e all’esterno della fabbrica siderurgica. Paradossalmente a D’Ambrosio e altri 3 operai è stato contestato di mettere in pericolo la sicurezza dei lavoratori con la loro azione sindacale nei reparti. Recentemente l’operaio aveva denunciato la condizione obsoleta dei treni nastri, dove D’Ambrosio lavorava fino alla sospensione con preavviso di licenziamento da parte del padrone. La Fiom ha aperto una vertenza di comportamento antisindacale art, 28, ma nessuna azione di lotta concreta.

Anche a Genova, Arcelor-Mittal usa un pretesto per intimidire tutti gli operai e licenziarne quattro. Tre operai sono licenziati per l’uso improprio di una sala interna e per l’introduzione di una caffettiera, un altro per aver osato criticare un capo su una chat operaia privata. Fatti “gravissimi”, tali da richiedere l’intervento della solita Digos! Una provocazione costruita ad arte par cercare di “terrorizzare” preventivamente gli operai combattivi in previsione di uno scontro che si delinea con la probabile chiusura dello stabilimento. La risposta degli operai non si è fatta attendere, hanno chiesto il ritiro dei licenziamenti, bloccando con picchetti compatti le merci in uscita e le portinerie. I presidi, dichiarano gli operai, andranno avanti ininterrottamente fino al reintegro dei licenziati. Hanno imposto alla Fiom di rincorrerli e agli altri sindacalisti compiacenti di schierarsi come al solito dalla parte del padrone. Lo scontro è ancora in corso.

Alla Piaggio di Pontedera il caso dell’operaio Massimo Capellini conferma la perversa sinergia antioperaia padrone/sindacalismo compromesso. Nei giorni scorsi l’operaio delegato/RLS è stato oggetto di un provvedimento disciplinare e minaccia di licenziamento da parte della direzione aziendale. Capellini ha girato (con regolari DPI e distanziamento) tra le linee per ricordare ai colleghi lo sciopero di due ore, proclamato in seguito al rifiuto aziendale di far tenere un’assemblea sindacale. Normale prassi sindacale a cui l’azienda ha risposto con la rappresaglia, accusandolo strumentalmente di aver messo in pericolo l’incolumità dei colleghi. Mentre i delegati “addomesticati” possono giustamente agire indisturbati senza nessuna rappresaglia. Anche qui la risposta degli operai è stata compatta, convocando subito lo sciopero nel reparto dove l’operaio lavora, in sostegno del loro rappresentante e contro l’evidente discriminazione. L’azienda ha ritirato in seguito il provvedimento riducendolo ad una ammonizione scritta. La Fiom a luglio, precisamente il segretario provinciale, ha sospeso i delegati operai Fiom Piaggio incluso Massimo Capellini, decisione che ha di poco preceduto (che coincidenza!) l’azione repressiva padronale. In seguito alla sospensione dei delegati la maggioranza degli operai iscritti alla Fiom ha sospeso il pagamento delle quote, costituendo “Il Comitato Operai Piaggio”.
M.C.

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