MITTAL-GOVERNO, LA TRAPPOLA È PRONTA

Il piano del governo per l’ILVA va incontro alle necessità del padrone Mittal, da “nessun esubero” siamo già arrivati alla “maggiore occupazione possibile”, che vuol dire ancora esuberi e tanti. Questa volta però è previsto un intervento dello Stato, saranno contenti i nazionalizzatori di sinistra.
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Il piano del governo per l’ILVA va incontro alle necessità del padrone Mittal, da “nessun esubero” siamo già arrivati alla “maggiore occupazione possibile”, che vuol dire ancora esuberi e tanti. Questa volta però è previsto un intervento dello Stato, saranno contenti i nazionalizzatori di sinistra.


 

LA DIAGNOSI PRECOCE
Ora gli operai non hanno più nulla da temere. Il governo Conte offre diagnosi precoci. Screening sanitari per tutti. Gratuiti.
Lavoriamo per il padrone Ilva e ci ammaliamo, ma avremo qualcuno che gratuitamente ci dirà che, in fondo, sì, siamo proprio ammalati. Ci metteremo in fila per ricevere l’attestato, misureremo l’intensità del nostro tumore mentre Mittal sorseggia cognac sul bordo piscina della sua villa milionaria a Londra. Che fortuna avere un “decreto fatto nell’interesse degli operai e della città”. Non si potrà certo negare che è interesse degli operai sapere per tempo che si va a morire dopo aver lavorato una vita o qualche anno per il padrone Ilva. Sarebbe ancora più interessante per loro sbarazzarsi di chi a morire ce li manda. Ma questa è un’altra storia.
ECCO IL DECRETO TARANTO
Eccolo dunque il Decreto Taranto, con un piano di riconversione produttivo per la città, screening sanitari gratuiti e una paccata di milioni per chi assumerà i lavoratori ex Ilva. Lavoratori ex Ilva? Già. Perché è già finito il tempo in cui il governo proclamava la difesa dei posti di lavoro a Taranto: “nessun esubero, Mittal rispetti gli accordi!”. E così, com’era prevedibile, in poco tempo si è passati dalla tutela della piena occupazione a quella della maggior occupazione possibile. Dopo un mese di pagliacciate di politici e sindacalisti, il piano per Taranto finalmente è delineato: Mittal resta dov’è ma gli operai no. Dopo aver minacciato la chiusura del siderurgico Mittal ottiene la testa di alcune migliaia di operai, esuberi che di fatto si trascinano dall’accordo del 2018 con cui il padrone indiano subentrava nella produzione dell’acciaio ma che erano stati, più o meno abilmente, mascherati.
LO SPEZZATINO È SERVITO
Lo spezzatino è servito: per alcuni si prevede un esodo incentivato, quattro spiccioli con cui mandare a casa quelli più anziani, per altri, dal destino e i numeri incerti, il governo chiede che siano altri a farsene carico, mettendo sul piatto finanziamenti e sgravi fiscali per chi li assumerà. Finiranno nel parcheggio degli assegni per mobilità, dei lavori temporanei di pubblica utilità, degli ammortizzatori sociali ad intermittenza. Sono già stati scaricati e buttati per strada, ma va trovato un modo, una formula politica, per dirlo con altre parole.
ARRIVA LO STATO
Il decreto però è più astuto di quanto parrebbe: grazie all’intervento pubblico dello Stato, con la creazione di una newco, una società a capitale misto pubblico/privato che si occuperà del «green deal», un piano di «risanamento ambientale» con la creazione di due altiforni elettrici che dovrebbero portare ad una progressiva decarbonizzazione della produzione, avremo altri operai a scadenza, esuberi non immediati ma prossimi. Questi operai, messi al servizio di una società con azionisti pubblici, saranno utilizzati durante la fase di transizione, assorbiti dalla newco e poi scaricati quando i lavori di ammodernamento del sito, sempre ammesso che vedranno la luce, saranno ultimati. Quelli che rimangono se la dovranno vedere con i ritmi di produzione che aumenteranno per garantire 8 milioni di tonnellate all’anno di acciaio che Mittal produrrà entro il 2023, potendo così aumentare sensibilmente i suoi profitti. Si riduce il numero degli operai e aumenta la produzione, più sfruttamento e più profitti, via libera sugli esuberi, intervento dello Stato con la foglia di fico dell’ambientalizzazione e profitti garantiti anche per altri imprenditori a cui sarà appaltato «il piano di rilancio per la città».
I SINDACATI LONTANI DAI TAVOLI
I sindacati, tenuti per ora fuori dai tavoli di contrattazione, reclamano un posto e fanno la voce grossa contro la mattanza degli esuberi che si prevede. Hanno poca voce in capitolo, dimostrano ormai scarsa capacità di controllo sulla massa operaia, padrone e governo possono farne a meno e raggiungere intese senza alcun filtro e senza neanche più un contentino da dare ai sindacalisti. Sarà con tutta probabilità il governo a occuparsi di far indorare la pillola agli operai. Dall’operazione Taranto i padroni e lo Stato dei padroni sembrano uscire vittoriosi a man bassa, per gli operai invece sarebbe il delitto perfetto.
ORA VENIAMO AGLI STATALISTI DI CASA NOSTRA
Saranno contenti gli statalisti di casa nostra che da tempo chiedevano un intervento dello Stato per recuperare la fabbrica siderurgica di Taranto. Accontentati. Lo Stato c’è e dimostra di che pasta è fatto. Soccorre i padroni in affanno, li aiuta a liberarsi della manodopera in eccesso, elargisce soldi pubblici operando investimenti sui mezzi di produzione, diventando così determinante per l’aumento della produttività e dei profitti del padrone privato, inventa cavilli tecnico-legali per gestire le fasi di transizioni e di crisi occupazionale. Non solo a Taranto, questo è lo scenario che a breve vedremo concretizzarsi anche nella gestione di un’altra crisi aziendale che ha tenuto banco per mesi, quella della Whirlpool di Napoli, dove si preparano esodi incentivati, una sforbiciata di esuberi e un controllo agevole sulla parte degli operai che rimarranno, o in Whirlpool o in un’ipotetica riconversione del sito.
IL CONSORZIO DELL’INTERA CLASSE PADRONALE
Quando il singolo capitalista che opera in un settore strategico per gli interessi generali del capitale va in crisi e non riesce a mantenere i livelli di profitto sperati, interviene il consorzio dell’intera classe padronale, lo Stato, a farsene carico. Il settore viene salvato e razionalizzato. L’intero processo produttivo riprende con nuovo slancio a macinare utili. Profitti assicurati per il padrone, sistema che rientra in equilibrio e si riassesta, operai alla fame, gettati via dopo anni di consumo fisico, o sfruttati ancora di più. Questa è la lezione che gli operai dovrebbero trarne quando si sbandierano interventi di nazionalizzazione, seppur lenti e parziali come quello che sta avvenendo a Taranto.
NESSUNA MERAVIGLIA PER LO STATALISMO DELLA SINISTRA D’OPPOSIZIONE
Non deve meravigliare che se ne facciano promotrici anche le organizzazioni schierate a sinistra (del capitale), quale che sia la loro rilevanza politica ed elettorale. Da Potere al Popolo, alla cordata dei sindaci di sinistra, alle sinistre riunite nel progetto di “sinistra d’opposizione”, che non disdegneranno, qualora ne avessero la (remota) possibilità, di diventare sinistra di maggioranza, andando al governo per amministrare il capitale, è tutto un belare su nazionalizzazioni e interventi statali. Questi ideali della sinistra borghese sono un fattore di mobilitazione e strumentalizzazione ideologica tra i più efficaci in atto nel rinnovamento delle forme di mercato e della modernizzazione degli strumenti di produzione in una fase di crisi sistemica. Il ceto piccolo borghese che tiene le redini di queste organizzazioni, aggrappato alla circolazione di plusvalore creato con il tempo di lavoro estorto agli operai, è uno dei fattori essenziali del perennizzarsi di tutto il sistema capitalista.
ESISTE ANCHE LA VERSIONE PIÙ CATTIVA
A questi ultimi fanno da contraltare degli “ancor più sinistri”, dalle forme più radicali, che si dimenano per indicare agli operai la via rivoluzionaria (sic!) della lotta per la “nazionalizzazione sotto controllo operaio”. Un controllo operaio del tutto astratto e fumoso, che confonde “socializzazione” con “nazionalizzazione”, ma che secondo i nostri fieri araldi del sistema rappresenterebbe una rivendicazione capace di legare gli interessi immediati della classe operaia con quelli storici. Si configura in realtà come un’altra boiata propagandistica senza alcuna possibilità di attualizzazione che ha lo scopo di creare un legame sì, ma di altro tipo rispetto a quello propagandato: il legame della classe operaia con la difesa della proprietà statale, la proprietà borghese. Perché non può esserci controllo operaio senza l’effettivo esercizio della dittatura politica operaia instaurata nel corso di un rivolgimento sociale che porti gli operai a diventare materialmente detentori dei mezzi di produzione, liberandoli dal controllo borghese.
LA STRADA È IN SALITA, MA NON NE CONOSCIAMO ALTRE
La via degli operai per la loro indipendenza politica è tutta in salita, ma l’unica percorribile. Avranno un bel da farsi a liberarsi di tutto questo marciume ideologico agitato da varie fazioni della borghesia diversamente collocata nei suoi schieramenti partitici; solo la differenziazione consapevole dei loro interessi di parte può rilanciare un’iniziativa operaia autonoma, anche su basi politiche e organizzative. La subordinazione degli operai alle iniziative e alle posizioni degli altri ceti sociali al momento costituisce uno dei macigni più grossi a chiusura dello spazio per la ripresa di uno scontro aperto tra le due classi in lotta. Ma la crisi accelera, gli spazi di mediazione si restringono, le soluzioni scarseggiano, gli operai avranno necessità di imparare a far da sé.
A.B.

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