TREGUA ARMATA ALLA WHIRLPOOL

L'azienda fa un passo indietro, cambia tattica, prepara una manovra di aggiramento per arrivare ad una scelta "condivisa" di "riconvertire" il sito di Napoli. Agli operai il tempo per rendere la fabbrica un forte inespugnabile.
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L’azienda fa un passo indietro, cambia tattica, prepara una manovra di aggiramento per arrivare ad una scelta “condivisa” di “riconvertire” il sito di Napoli. Agli operai il tempo per rendere la fabbrica un forte inespugnabile.

Dopo mesi di mobilitazione operaia e di intensa pressione del governo, delle istituzioni locali e dei partiti, la Whirlpool, quasi a sorpresa, il 30 ottobre ha fatto un passo indietro, dichiarando di aver ritirato la procedura già avviata di cessione dello stabilimento di Napoli alla PRS e di aver rinunciato all’avvio della conseguente procedura di cessazione dell’attività, annunciata per il 1° novembre, che avrebbe comportato il licenziamento collettivo delle maestranze. La nota aziendale è precisa: “La Whirlpool Emea comunica di essere pronta a ritirare la procedura di trasferimento del ramo d’azienda, a non procedere con il licenziamento collettivo dei dipendenti di Napoli e a continuare la produzione di lavatrici”. Sembrerebbe una vittoria completa degli operai e i toni trionfalistici con cui è stata accolta la notizia sia dal ministro Patuanelli che dai sindacati potrebbero indurre a confermare questa impressione. La dichiarazione congiunta di Francesca Re David, segretaria generale Fiom e Barbara Tibaldi, segretaria nazionale Fiom, dice apertamente che la lotta paga. È d’obbligo però fare un’analisi più precisa di questo nuovo passaggio dello scontro fra padroni ed operai in corso nello stabilimento di via Argine. Il titolo giornalistico che meglio riassume la situazione è quello de Il Fatto Quotidiano: “Whirlpool, è tregua armata: rimandata la fuga da Napoli”. Secondo il grande teorico militare von Clausewitz, la tregua non è altro che l’attesa di una congiuntura più favorevole all’azione e da questa attesa c’è sempre una parte che trae più benefici dell’altra. Ebbene, questo ragionamento calza perfettamente con quello che sta succedendo a Napoli. Se l’azienda avesse proseguito per la sua strada, si sarebbe arrivati inevitabilmente allo scontro frontale con gli operai, sempre più propensi ad attuare, nel caso di chiusura dell’impianto, forme di lotta dura, fino alla stessa occupazione della fabbrica. Sindacati ed istituzioni, che tanto si erano spesi nel dichiararsi contrari alla chiusura, si sarebbero visti costretti ad attuare misure ritorsive, se pur timide, per non perdere la faccia, nei confronti dell’azienda, anche in vista delle prossime scadenze elettorali (a maggio in Campania si terranno le regionali) e questo per una multinazionale che finora ha goduto di ingenti aiuti statali non poteva essere indifferente.
Facendo un passo indietro, la Whirlpool conta di ottenere invece importanti vantaggi. In primo luogo spera di far calare la tensione fra gli operai, fiaccandone la finora crescente determinazione e incrinandone la compattezza. In secondo luogo, non rischia di compromettere la possibilità di ricorrere agli ammortizzatori sociali che interessano oltre Napoli anche altri stabilimenti del gruppo e che per il sito di Napoli scadranno proprio a marzo 2020 che, guarda caso, è proprio la data che l’azienda ha fissato per definire una scelta “condivisa”. In terzo luogo, evita, in attesa di un nuovo accordo, di infrangere il precedente accordo dell’anno scorso che, in cambio di consistenti aiuti, includeva anche il divieto di ricorrere a licenziamenti collettivi fino al dicembre del 2020. In quarto luogo, può utilizzare la ridotta produzione di questi futuri mesi per garantirsi una scorta di prodotti finiti da commercializzare gradualmente nei mesi successivi al blocco delle produzioni.
Della tregua si avvantaggeranno anche sindacalisti e politici, che contano di avere il tempo di costruire con l’azienda una proposta di “riconversione” credibile agli occhi degli operai, sperando anche che l’attesa snervante di soluzioni faccia serpeggiare fra loro scoraggiamento, disillusione e rassegnazione. Il coinvolgimento di Invitalia, società pubblica controllata dal Tesoro, nel futuro tavolo di trattativa non lascia speranze sulla natura della soluzione che si vorrà proporre, visto i negativi risultati che questa agenzia ha già avuto nelle importanti vertenze dell’Alcoa, dell’Embraco e della Bekaert
L’unico vantaggio che invece hanno ricavato gli operai dalla tregua è di aver rimandato il momento dello scontro frontale e la garanzia di qualche altro mese di salario, col rischio però che quando i nodi verranno al pettine col solito accordo capestro, presentato da politici e sindacalisti come il miglior accordo possibile, si troveranno fiaccati e disorganizzati. Potranno aggirare questo ostacolo solo trovando i modi e le forme per tenere sempre viva la mobilitazione, ma questo richiederà un grado di autonomia e di indipendenza nei confronti delle dirigenze sindacali che finora, francamente, non hanno raggiunto. In ogni caso, faranno bene a tener conto allora di un’altra considerazione del grande von Clausewitz: “Vi sono casi in cui la maggior saggezza sta nel correre il maggiore rischio”.
A. V.

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