Domenica: la moderna galera degli operai del commercio

Cosa potrà cambiare per gli operai, per i commessi e per tutti lavoratori del commercio con l’ipotetica introduzione della legge sulla chiusura domenicale del governo gialloverde? Sicuramente poco o quasi nulla, vista la necessità per il capitale e dei i padroni delle aziende commerciali hanno di incrementare i loro profitti. Il percorso delle leggi che stabiliscono gli orari degli esercizi commerciali e di conseguenza gli orari di lavoro degli operai, dei commessi e dei lavoratori in genere,che lavorano nel settore commerciale, parte da molto lontano. Una delle prime leggi, che stabiliva la chiusura domenicale degli esercizi commerciali, è datata […]
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Cosa potrà cambiare per gli operai, per i commessi e per tutti lavoratori del commercio con l’ipotetica introduzione della legge sulla chiusura domenicale del governo gialloverde? Sicuramente poco o quasi nulla, vista la necessità per il capitale e dei i padroni delle aziende commerciali hanno di incrementare i loro profitti.

Il percorso delle leggi che stabiliscono gli orari degli esercizi commerciali e di conseguenza gli orari di lavoro degli operai, dei commessi e dei lavoratori in genere,che lavorano nel settore commerciale, parte da molto lontano.

Una delle prime leggi, che stabiliva la chiusura domenicale degli esercizi commerciali, è datata 1934. Tale legge, N° 370/1934, stabiliva il riposo obbligatorio di 24 ore la domenica (salvo alcune eccezioni) con un orario di apertura dei negozi di 44 ore settimanali.

Già nel 1971 il governo Colombo, con la legge N°558/1971, concesse delle deleghe alle regioni, che potevano, di conseguenza fissare gli orari di chiusura/apertura nelle giornate festive e di domenica, con la sola obbligatorietà di efettuare la chiusura infrasettimanale di mezza giornata, mantenendo gli orari degli esercizi commerciali a 44 ore settimanali.

Il successivo DPR N° 616/1977 e la successiva legge del 1982, di fatto, concedevano la facoltà di decidere gli orari degli esercizi commerciali, tramite il trasferimento dei poteri in materia di ordinamento regionale e di organizzazione della pubblica amministrazione, ai sindaci e alle amministrazioni regionali e provinciali, facevando del tutto sparire la norma che regolava l’orario di lavoro a 44 ore settimanali.

Susseguentemente, nel 1987, la legge n. 121/1987 arrivò ad allungare la possibilità di apertura serale fino alle ore 21 durante il periodo dell’ora legale, estendendo la facoltà di apertura domenicale e festiva ad alcuni negozi di libri, dischi, musicassette e videocassette, facendo da battistrada alle sucessive liberalizzazioni degli orari di apertura di tutti gli altri negozi.

Nel 1998 il decreto legislativo: 114/1998, decise che gli esercizi commerciali potevano rimanere aperti dalle 7 del mattino alle 22 della sera, con la possibilità, concessa dal comune, di derogare la chiusura domenicale. Convenendo, tra l’altro, la vendita delle merci negli orari notturni e la possibilità di aprire anche a il giorno di Natale ai drugstore. Un altro bel colpo mortale alla vita e alle famiglie degli operai e dei commessi del commercio.

Arriviamo infine al decreto del “compagno” Bersani, che, con la legge N° 248/2006, delegando completamente alle regioni “Riforma della disciplina relativa al settore del commercio” diede il colpo finale alla vita degli operai del commercio, liberalizzando definitivamente gli orari degli esercizi commerciali; “Gli orari di apertura e di chiusura al pubblico degli esercizi di vendita al dettaglio sono rimessi alla libera determinazione degli esercenti nel rispetto delle disposizioni del presente articolo e dei criteri emanati dai comuni”. Un gran bel servigio al capitale, che nella necessita della crisi economica prodotta dallo stesso sistema di accumulazione, ha costantemente un bisogno sfrenato che la circolazione delle merci sia immediata e incessante.

La conseguenza immediata per i lavoratori e gli operai del commercio, determinata da tutti i provvedimenti di legge fu, ed è tutt’ora , l’immediata disponibilità della propria vita al servizio dei padroni e delle società commerciali per aumentarne i profitti .

Il lavoro domenicale si traduce, per questi schiavi moderni, in una vera e propria galera fatta di contratti che il più delle volte non prevedono nemmeno le maggiorazioni festive stabilite dal ccnl, e se, contrattualmente sono previste, non arrivano nemmeno al 30% della paga oraria (nel contratto dei metalmeccanici la maggiorazione del lavoro festivo è del 50% della paga oraria). Comunque, il lavoro di domenica nel contratto del commercio, pur non essendo obbligatorio (l’attività lavorativa di domenica non può essere per contratto superiore al 30% delle domeniche in un mese) dovrebbe sempre avvenire su base volontaria (sentenza della Cassazione n.16592/2015). Ma si sa, le pressioni che i padroni esercitano sui lavoratori per ottenerne la volontarietà arrivano al ricatto e alle minacce che sfiorano la violenza fisica. Eppure nella quasi totalità il lavoro, nella grande distribuzione effettuato alla domenica, si basa su contratti che i padroni utilizzano per aggirare i contratti collettivi.

Con le leggi che il governo mette loro a disposizione: contratti interinali, Job act e contratti a somministrazione, questi operai del commercio, vengono assunti per lavorare solo ed esclusivamente la domenica od al limite per solo due giorni la settimana, di modo che nella loro paga non sia prevista nessuna maggiorazione contrattuale ne nessun limite di orario giornaliero.

Una vera e propria moderna galera fatta di rutilanti centri commerciali per permettere ai padroni di fare la bella vita ed alle associazioni della piccola borghesia, che pur di poter soddisfare i propri bisogni comperando ogni sorta di merci inutili a discapito della vita dei moderni schiavi del commercio, sono pronte a scendere in campo contro gli operai del commercio.

D.C.

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