Contro chi cerca il pelo nell’uovo e non lo trova.

Sempre per il dibattito   L’articolo pubblicato da Operai Contro sul numero 122 del 18 ottobre 2016 dal titolo “Sulle ali dell’entusiasmo” non meriterebbe nessuna risposta, non tanto per la evidente pochezza degli argomenti quanto per la natura anonima delle critiche sollevate. Per un giornale come il nostro è sacrosanto che si conservi l’anonimato per gli operai che denunciano la loro situazione di fabbrica e che ci chiedono di non rendere noto il proprio nome per evitare ritorsioni padronali. Quando invece siamo di fronte a pareri ed opinioni espresse da generici lettori, od “estimatori”, su argomenti generali, meglio farebbe […]
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Sempre per il dibattito

 

L’articolo pubblicato da Operai Contro sul numero 122 del 18 ottobre 2016 dal titolo “Sulle ali dell’entusiasmo” non meriterebbe nessuna risposta, non tanto per la evidente pochezza degli argomenti quanto per la natura anonima delle critiche sollevate. Per un giornale come il nostro è sacrosanto che si conservi l’anonimato per gli operai che denunciano la loro situazione di fabbrica e che ci chiedono di non rendere noto il proprio nome per evitare ritorsioni padronali. Quando invece siamo di fronte a pareri ed opinioni espresse da generici lettori, od “estimatori”, su argomenti generali, meglio farebbe chi gestisce direttamente il nostro giornale a pretendere che gli articoli siano firmati per essere pubblicati. Sinceramente di questi “critici” che non hanno neanche il coraggio di metterci la faccia per le cose che dicono pensiamo che gli operai non sappiano che farsene.

Nondimeno abbiamo deciso di rispondere a questo articolo, in virtù del fatto che ha avuto finora una discreta circolazione, al punto di convincerci della necessità di non lasciarlo impunito.

Ognuno fa riferimento ai numeri che più gli fanno comodo. Certo che se a negare la preponderanza di operai nelle file delle formazioni partigiane è un “estimatore” di Operai Contro, è meglio che ci estimi un po’ meno. Rimane il dato di fatto che gli studi più accreditati individuano gli operai e i contadini come la stragrande maggioranza dei combattenti. In uno studio della fine degli anni novanta, se dobbiamo dare qualche numero, sulla resistenza in Piemonte, su 88.902 “partigiani”, metà di essi (più di quarantaduemila) combattenti, e l’altra metà che sosteneva attivamente la lotta senza le armi, il 63,4% provengono dall’industria e la stragrande maggioranza sono operai. Un numero considerevole viene dalle campagne e sono salariati e piccoli proprietari. Invece non arrivano a mille i professionisti, i possidenti.

Che la guerra di liberazione sia stata combattuta principalmente dagli operai e dagli strati bassi della società è un fatto innegabile. ed è stata ed è l’analisi che ha sempre sostenuto Operai Contro. Innegabile, ma non per il nostro “estimatore” che evidentemente vede la lotta al nazifascismo fatta principalmente dai giovani rampolli della borghesia grande e piccola, dagli industriali, dai preti e dai carabinieri, allineandosi ai cantori borghesi della resistenza democratica.

Che tutto il sacrificio operaio e contadino non abbia avuto come epilogo una rivoluzione operaia è una realtà che O.C. ha tentato di spiegare nei rapporti tra le classi del dopoguerra. Di conseguenza, che la costituzione sia per gli operai, nel migliore dei casi, un inganno di buoni propositi, lo dimostra il fatto che lo sfruttamento e la repressione degli operai e degli strati bassi della società sia avvenuto, dal dopoguerra in poi, proprio con le regole stabilite dai sacri principi della costituzione.

Sulla questione del diritto d’opinione la cosa, se “non intendiamo male”, si pone in questi termini: il diritto di opinione rappresenta proprio la possibilità di esprimere liberamente la propria opinione. una conquista borghese per i borghesi, ma che gli operai, nella loro lotta, non facciano bene a sfruttarla per i loro fini è una grande stupidata, se non peggio una rinuncia politica di parte operaia. La costituzione afferma la libertà di opinione per tutti e i giudici di Nola l’hanno negata per gli operai. La campagna di solidarietà che è partita intorno ai cinque licenziati ha ricordato alla magistratura che quella regola, se vale, vale formalmente per tutti. I giudici di Napoli l’hanno applicata.

I cinque licenziati e i compagni che li hanno sostenuti hanno individuato la contraddizione esistente tra le regole generali e la lettura tutta sbilanciata a favore della FIAT che i giudici di Nola ne facevano. L’inizio della campagna è stata la critica serrata alla sentenza che confermava i licenziamenti del tribunale di Nola. Si è riusciti ad entrare in questa contraddizione e a dimostrare che venivano messi in discussione, con quella sentenza, le stesse regole che governano lo stato attuale che sicuramente non è a favore degli operai.

Il dibattito che si è scatenato ha messo i giudici di fronte a una scelta: usare, sotto gli occhi di un’opinione pubblica ormai attenta a quello che stava succedendo, le loro stesse leggi per favorire apertamente la FIAT, oppure applicare formalmente quelle leggi e dare ragione ai cinque licenziati. L’alternativa che si è posta davanti ai giudici è stata netta: piegarsi alle richieste del padrone FIAT e squarciare così il velo che presenta gli operai non come schiavi ma come cittadini fra i cittadini, oppure dar torto al singolo padrone per quanto potente e salvare la faccia.

Il nostro “estimatore” non l’ha capito, ma la campagna contro i licenziamenti dei cinque operai FIAT, il coinvolgimento di intellettuali, per la prima volta dopo anni, in una battaglia operaia; essere arrivati a vincerla, raggiungendo gli obiettivi che si erano posti e programmati, rappresenta già di per sé, anche se a livello embrionale, la sperimentazione di una pratica del partito operaio.

O anche il nostro “estimatore” crede, come molti altri stanno sottolineando in questi giorni, che alla fine si è vinta solo una causa e questo grazie ad un buon avvocato e a una giuria imparziale, azzerando di fatto ogni autoattività degli operai e arrivando come dottrinari a sostenere che ogni passo reale è inutile, come se non si imparasse dall’esperienza concreta ma da quattro frasi “radicali” rimasticate e nemmeno precise?

 

Il comitato per il No sorto tra lavoratori FCA pone un problema serio. Nell’attuale condizione degli operai reali, non quelli che stanno nelle visioni del nostro “estimatore”, e in particolare di quegli operai che non hanno abbassato la testa, uno dei problemi fondamentali è quello di riuscire a discutere operai fra operai senza gli steccati dell’appartenenza sindacale. La battaglia per il NO con una posizione operaia, mette per la prima volta a discutere operai dello stesso stabilimento e di stabilimenti diversi tra i più importanti della realtà FIAT e non solo, su temi politici generali su cui gli operai hanno la possibilità di verificare la diversità di posizioni tra loro e le altre classi, portando la discussione sul referendum oltre il terreno caro ad ampi settori della piccola e media borghesia di “sinistra”, cioè quello della semplice difesa della costituzione e della democrazia.

E’ una possibilità che si è aperta proprio grazie alla vittoria raggiunta con la sentenza di reintegro dei cinque licenziati. Si è dimostrato che un gruppo di operai determinati e irriducibili, organizzati su un obiettivo, pianificando le iniziative con il ragionamento collettivo e coinvolgendo anche un gruppo (all’inizio) ristretto di intellettuali, poteva, e l’ha fatto, ottenere l’annullamento dei licenziamenti battendo qui il padrone più forte in Italia che con questo licenziamento voleva raggiungere l’obiettivo grosso: stabilire in modo ufficiale, duraturo e inequivocabile che non è ammessa per lo schiavo nemmeno la critica pubblica dell’operato del suo padrone.

Questo ha dato speranza e fiducia a tutti gli operai. Ha indicato loro una strada da seguire per reagire e organizzarsi contro il clima da caserma imperante negli stabilimenti.

Tutto questo vale poco, però, per il nostro “estimatore” che nello spulciare il documento per il No al referendum, ci ricorda che “non ci sono precise indicazioni per organizzarsi in fabbrica”.

E noi di rimando gli diciamo: Perché non ce le suggerisce lui? Dall’alto della sua visione superiore e esperta, che ostenta nei confronti della “nuova generazione operaia” inesperta, evidentemente delle risposte se le è già date. Quali sono? Anzi gli chiediamo una cosa molto più banale per la sua esperienza superiore: Ci dica come mettere intorno a un tavolo operai divisi per concorrenza sindacale per discutere come organizzarsi collettivamente contro il padrone. Che tristezza fanno i vecchi quando cercano di nascondere la loro incapacità di organizzare alcuno e sono solo capaci di pontificare male su questo o su quello!

Ma, evidentemente, per il nostro “estimatore” queste sono solo questioni di poco conto, ciò che più gli importa è fare le pulci rigo per rigo ad uno scritto operaio, senza per altro comprenderlo, al punto da affermare che nel documento “non si capisce se gli operai debbano o meno, avere come obbiettivo e/o rivendicare le condizioni dei periodi di espansione economica”, mostrando così di non aver per nulla colto il nesso affermato nel documento fra crisi istituzionale e politica e crisi del capitale. L’unico equivoco che lo scritto dell’estimatore chiarisce è quello della distanza abissale che separa dottrinari e ideologisti di ogni risma dai reali e concreti processi di organizzazione operaia.

Franco Rossi e Andrea Vitale, militanti della sezione AsLO – Operai Contro di Napoli

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