Scontro di classe alla Dielle: alcune considerazioni politiche

Non si è ancora spenta l’eco degli episodi di ieri davanti ai cancelli della Dielle. E non vi è dubbio che i pensieri e l’animo dei numerosi partecipanti all’evento sono ancora permeati da quanto accaduto, per oltre 9 ore, davanti alla “fabbrica degli orrori”. Ma proprio partendo dal pensiero, comune a tutti noi, e per non trattare la questione su un mero terreno di scontro militare (per quanto esso abbia un peso specifico tale da affossare ogni velleità “sindacalista”), vale la pena riflettere, all’essenza, sull’andamento reale delle cose e sulle sue prospettive. Innanzitutto sul contenuto della vertenza in atto; […]
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Non si è ancora spenta l’eco degli episodi di ieri davanti ai cancelli della Dielle. E non vi è dubbio che i pensieri e l’animo dei numerosi partecipanti all’evento sono ancora permeati da quanto accaduto, per oltre 9 ore, davanti alla “fabbrica degli orrori”.
Ma proprio partendo dal pensiero, comune a tutti noi, e per non trattare la questione su un mero terreno di scontro militare (per quanto esso abbia un peso specifico tale da affossare ogni velleità “sindacalista”), vale la pena riflettere, all’essenza, sull’andamento reale delle cose e sulle sue prospettive.
Innanzitutto sul contenuto della vertenza in atto; appare infatti evidente che la questione salariale e gli aspetti legati alle trattative sono state ampiamente superate dall’andamento reale dello scontro. Centinaia di operai e militanti solidali, così come in passato alla Esselunga, a Basiano, alla Granarolo e, in piena attualità, all’Ikea di Piacenza o nei punti vendita Carrefour lombardi, intravedono nello scontro di classe non solo un’esigenza primordiale di difesa delle condizioni di lavoro e di vita operaie ma un potenziale punto di forza di una riscossa proletaria tanto auspicabile quanto necessaria.
Ciò ha significato, e significherà sempre di più, che al primo puto dell’ordine del giorno non ci sarà tanto la conquista di condizioni migliori, ma piuttosto la distruzione di un cancro economico e poilitco rappresentato dalla combinazione di uno sfruttamento selvaggio (di cui le cooperative sono un ganglo vitale, tale da motivare il ministro Poletti, ex-dirigente della Legacoop, come ministro del lavoro in carica) e il contenimento, sempre più spesso manu-militari, di qualunque forma di opposizione o resistenza, soprattutto se operaia, che non si affidi alla giurisprudenza borghese per affrontare e risolvere i problemi sociali ed economici che ne derivano.Entrando maggiormente nel merito di quanto accaduto ieri, ci si continua a interrogare sulla possibilità di evitare la carica (fuori tempo massimo) della polizia; in effetti sarebbe bastato non discutere con gli sbirri in merito all’ingresso dell’ultimo camion e, aprendo il picchetto, si sarebbe senz’altro evitata la carica stessa.
D’altra parte, quello su cui ci interessa maggiormente riflettere, proprio in riferimento a quanto affermato prima, gli operai non avevano nessuna intenzione di cedere la posizione “di piazza” conquistata con tre mesi di continue battaglie e sacrifici, in nome della lotta contro la schiavitù, che va ben al di là della sorte lavorativa delle stesse 60 persone protagoniste di questa “lotta specifica”.
Il risultato, qualunque sia la “verità relativa”, è che la polizia ha dovuto mettere a nudo la sua essenza di esercito privato dei padroni, anche se mascherato da strumento di difesa della costituzione (appunto: il sistema legislativo anti-operaio attualemnte in vigore)
Il risultato è stato un accanimento spropositato e immotivato contro operai disarmati, di fronte alla quale …..nessuno di noi è disposto a fare la parte di vittima, costretto a cioè a leccarsi le ferite; qualunque sia l’esito della “vertenza”, nel senno di poi, con un certo orgoglio tutti diranno senza ombra di dubbio “rispetto alle botte prese? ce le teniamo!”
Il risultato invece è la crescita della convinzione politica collettiva che a fronte dell’ingiustizia sociale ed economica, non c’è istitutzione a cui appellarsi se non….l’organizzazione operaia che si è in grado di costruire, giorno per giorno, ora per ora, scontro dopo scontro,
Il risultato (auspicabile) è quindi quello  di ampliare il fronte degli operai disposti a mettersi in gioco per una prospettiva per la quale valga la pena di combattere uniti, vincolati moralmente (ovvio) al futuro dei propri figli e, allo stesso tempo (meno ovvio e scontato) a quello dei “martiri” di Gaza o di Ferguson

Tutti sanno che la soluzione non è certamente dietro l’angolo. E che, tantomeno, discende automaticamente dagli avvenimenti (quelli qui evocati, o altri dello stesso tenore politico attualistico)
Ma tutti sanno, e sempre di più, che la soluzione sta nelle scelte (forzate, ma non scontate) che si riproducono sotto i nostri occhi e che mettono oggettivamente la resistenza di una classe che decide di combattere apertamente quella avversaria.
E il passo successivo (è normale chiederselo)?
Rievocando una rivoluzionaria polacca, assassinata ormai quasi un secolo fa dalla sbirraglia socialdemocratica tedesca, non vi è praticamente dubbbio che il futuro sorgerà da una legge naturale dello sviluppo storico della lotta di classe e cioè: “di sconfitta in sconfitta, il proletariato internazionale costruisce le condizioni per la sua vittoria finale!”

E se così non sarà…solo la barbarie ci aspetta

Fabio Zerbini (SI.Cobas Milano)

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