Dall’Iraq, voci fuori dal coro

In uno strano ferragosto di crisi e maltempo, alle deleterie sparate di Renzi & Co. fanno eco le ben più tragiche notizie che ci giungono dall’Iraq.  Una ridda di voci confuse, se non proprio false, contribuisce a diffondere un clima di preoccupata incertezza che, a volte, rasenta una rassegnata indifferenza su quanto avviene fuori dal cortile di casa nostra. In questo desolante panorama, meritano la massima attenzione le voci fuori dal coro che riporto in allegato. Sono voci tanto più preziose quanto più gli anti-imperialisti in servizio permanente effettivo non sanno che pesci pigliare. Di fronte a scenari in […]
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In uno strano ferragosto di crisi e maltempo, alle deleterie sparate di Renzi & Co. fanno eco le ben più tragiche notizie che ci giungono dall’Iraq.  Una ridda di voci confuse, se non proprio false, contribuisce a diffondere un clima di preoccupata incertezza che, a volte, rasenta una rassegnata indifferenza su quanto avviene fuori dal cortile di casa nostra.

In questo desolante panorama, meritano la massima attenzione le voci fuori dal coro che riporto in allegato.

Sono voci tanto più preziose quanto più gli anti-imperialisti in servizio permanente effettivo non sanno che pesci pigliare. Di fronte a scenari in sconvolgente evoluzione, stanno zitti. Oppure reiterano le loro litanie. In un caso e nell’altro, senza capire che la crisi del modo di produzione capitalistico sta dissolvendo quel piccolo mondo antico, cui essi fanno ottusamente riferimento.

La crisi sta minando alle radici il processo di accumulazione del capitale, facendo venir meno quelle forze centripete che, da oltre due secoli, hanno connotato le relazioni sociali prevalenti a livello mondiale.

Oggi, prevalgono le spinte centrifughe. Il sistema di relazioni capitalistiche è soggetto a processi di disgregazione, cui contribuiscono le stesse Grandi Potenze economico-militari (gli Usa in primis) che, a proprio vantaggio, suscitano ad arte tensioni, destinate sempre più spesso a sfuggire loro di mano, per vivere di vita propria. Nella frammentazione sociale che ne deriva, sorgono allora ibride aggregazioni locali, per ora periferiche ai centri nevralgici del capitale. Ma fino a un certo punto: il focolaio ucraino è alle porte dell’Unione Europea (fascismo e antifascismo c’entrano come i cavoli a merenda).

Sotto veste ideologica, sotto forma etnica e religiosa, riaffiorano antiche pulsioni di redenzione sociale, in cui, tuttavia, convivono anche tutte le perversioni dei sistemi fondati sull’oppressione e sullo sfruttamento che si sono succeduti sulla faccia della Terra. E, inevitabilmente, balzano alla superficie le antiche porcherie di oppressione e sfruttamento della donna. Fonte di ogni prevaricazione e scontro sociale.

Si apre così un inferno di scontri feroci, dai contorni assai contorti, per osservatori superficiali e prevenuti [vedi: Classi in lotta in un mondo in rovina].

In questi frangenti, diventa quanto mai cruciale ascoltare le voci fuori dal coro, anche quando ci sembrano stonate. Per ora.

Dino Erba, Barna, 17 agosto 2014.

Dai monti del Kurd

 

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