3,3 MILIONI: CON IL JOBS ACT PROLIFERA IL LAVORO NERO

Caro Operai Contro, con il Jobs act prolifera il lavoro nero. Dei 3,3 milioni di operai e lavoratori costretti a lavorare in nero per tirare avanti, oltre 200 mila sono una conseguenza del Jobs act, com’era possibile immaginare, dato che il Jobs act spinge in basso e rende più ricattabile la condizione della forza lavoro. Renzi s’illudeva di comprare il consenso con gli 80 euro, ma l’astensionismo è cresciuto, con gli operai in testa metà dell’elettorato non vota più. Renzi ha dovuto fare una legge elettorale su misura, perché i padroni dopo le elezioni possano formare un governo a […]
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Caro Operai Contro,

con il Jobs act prolifera il lavoro nero. Dei 3,3 milioni di operai e lavoratori costretti a lavorare in nero per tirare avanti, oltre 200 mila sono una conseguenza del Jobs act, com’era possibile immaginare, dato che il Jobs act spinge in basso e rende più ricattabile la condizione della forza lavoro. Renzi s’illudeva di comprare il consenso con gli 80 euro, ma l’astensionismo è cresciuto, con gli operai in testa metà dell’elettorato non vota più. Renzi ha dovuto fare una legge elettorale su misura, perché i padroni dopo le elezioni possano formare un governo a prescindere dal singolo partito che prende più voti.

Renzi passerà’ alla storia come un grande statista dei padroni.

Saluti da un lettore

 

Invio estratto da La Stampa

In 3,3 milioni senza contratto. Esplode il nero in un’Italia che non cresce abbastanza.

In tre anni oltre 200 mila i lavoratori in più senza garanzie.

Sono 3 milioni e 300 mila i lavoratori in nero. La crisi ha allargato le maglie del sommerso e costretto tante persone ad accettare un impiego pur che sia, anche per pochi euro. In pratica, segnala uno studio realizzato dal Censis per Confcooperative, la metà dei disoccupati colpiti dalla crisi negli anni passati è stato risucchiato nell’illegalità: nel periodo 2012-2015, mentre nell’economia regolare venivano cancellati 462 mila posti di lavoro la schiera di chi era occupato illegalmente è cresciuta di 200 mila unità toccando quota 3,3 milioni (+6,3%) a fronte di 21,1 milioni di regolari (-2,1%). I settori più critici.

All’espansione dell’occupazione irregolare, secondo la ricerca sul «lato oscuro del lavoro» presentata ieri a Roma, ha contribuito soprattutto l’occupazione dipendente (+7,45). Il sommerso cresce in particolare nelle attività legate all’impiego di personale domestico da parte delle famiglie (colf e badanti), con un tasso di irregolarità che sfiora il 60% (quasi quattro punti in più tra 2012 e 2015). A seguire attorno al 22-23% si collocano le attività agricole e quelle del terziario, in particolare attività artistiche e di intrattenimento, quindi il settore alloggi e ristorazione col 17,7% e le costruzioni col 16,1%. Più contenuti, rispetto ad una media del 13,5%, ma in ogni caso anche questi in crescita, i valori relativi a trasporti e magazzinaggio (10,6%) e commercio (10,3%).

Le Regioni più sommerse.

Sul piano territoriale se si guarda all’incidenza sul valore aggiunto regionale sono invece Calabria e Campania sono le Regioni che registrano le percentuali più alte di sommerso (rispettivamente il 9,9% e l’8,8%), seguite da Sicilia (8,1%), Puglia (7,6%), Sardegna e Molise (entrambe con il 7,0%). Su 3,3 milioni di lavoratori in nero 2,39 milioni sono inquadrati come dipendenti mentre 907 mila sono autonomi. Secondo il presidente di Confcooperative Maurizio Gardini va però «va fatta una distinzione tra i livelli di irregolarità di una badante e quella di un lavoratore sfruttato nei campi, nei cantieri o nel facchinaggio. Il primo, seppur in un contesto di irregolarità, fotografa le difficoltà delle famiglie nell’assistere un anziano, un disabile o un minore. Le famiglie evadono per necessità. Negli altri casi si tratta di sfruttamento che nasce solo per moltiplicare i profitti e mettere fuori gioco le tantissime imprese che competono correttamente sul mercato».

Salari a picco.

L’altra faccia del boom del sommerso riguarda il crollo dei salari. In questo caso il divario maggiore si registra nell’industria con uno scarto del 53,7% tra retribuzione lorda oraria regolare (17,7 euro) e non (8,2 euro). Seguono i servizi alle imprese (-50,3%, 9,5 euro anziché 19,1), mentre nelle costruzioni del 41,4%. In agricoltura, dove la retribuzione oraria è più bassa, la differenza non supera il 36% (35,7): un’ora di lavoro è infatti pagata 6,3 euro anziché 9,8, in media il taglio è invece del 49,4%, che corrispondono a 8,1 anziché 16.

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