Muore al Pronto Soccorso a 23 anni. “Mio figlio è stato ammazzato”

Caro Operai Contro, gli strati sociali che possono permetterselo, spendono 36 miliardi per la sanità privata in un anno. Ai poveri cristi invece può capitare di essere visitati distesi sul pavimento del Pronto Soccorso, o di morire sempre in un Pronto Soccorso dopo 4 ore di attesa, come è capitato all’ospedale di Napoli ad Antonio Scafuri un ragazzo di 23 anni. Mi associo al grido del padre di questo ragazzo: “Mio figlio è stato ammazzato”, dichiara nell’intervista del Mattino di Napoli che qui sotto allego. La Lorenzin ministro della Salute ha inviato la task-force del ministero, ha fatto sapere […]
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Caro Operai Contro,

gli strati sociali che possono permetterselo, spendono 36 miliardi per la sanità privata in un anno. Ai poveri cristi invece può capitare di essere visitati distesi sul pavimento del Pronto Soccorso, o di morire sempre in un Pronto Soccorso dopo 4 ore di attesa, come è capitato all’ospedale di Napoli ad Antonio Scafuri un ragazzo di 23 anni. Mi associo al grido del padre di questo ragazzo: “Mio figlio è stato ammazzato”, dichiara nell’intervista del Mattino di Napoli che qui sotto allego. La Lorenzin ministro della Salute ha inviato la task-force del ministero, ha fatto sapere che aprirà un’inchiesta, oltre quella della Procura, l’Asl a sua volta aprirà un inchiesta. Sono le famose indagini atte a sollevare dense cortine fumogene. I responsabili della “malasanità” sono la Lorenzin e suoi predecessori che hanno ridotto ad un colabrodo il sistema sanitario. Proprio così: per chi non può curarsi privatamente, l’assistenza, la prevenzione, il ricovero, le cure, la salute, la vita stessa sono un terno al lotto. Sia per visite o esami di controllo, sia per chi come Antonio Scafuri arriva al Pronto soccorso con l’urgenza del codice Rosso. Non possiamo più restare inerti di fronte a tanta sconcezza.

Saluti da Portici

 

Articolo da: Il messaggero

Gli italiani spendono 36 miliardi per la sanità privata.

Sono le spese per la salute a far da protagoniste per il welfare integrativo in Italia. Oltre ai 113 miliardi di euro stanziati alle Regioni per coprire le spese del sistema sanitario nazionale, gli italiani ne spendono almeno altri 36 miliardi, ogni anno. La cifra è stata indicata dal quarto Rapporto compilato da Itinerari Previdenziali, la creatura di studio e analisi su previdenza e sanità, guidata da Alberto Brambilla (già sottosegretario al Ministero del Lavoro e presidente del Nucleo di valutazione sulla spesa previdenziale). Il dato che emerge dalla sua ricerca corregge verso l’alto le stime correnti, diffuse dai principali operatori del settore, tramite ricerche per lo più condotte dal Censis. Sempre di stime si tratta. Di questi 36 miliardi solo il 10%, cioè 3,6 miliardi sarebbe intermediata dagli operatori specializzati (fondi sanitari, 2,2 miliardi e compagnie di assicurazione 1,4 miliardi): e qui le stime ribassano. La vulgata vorrebbe che almeno 4-4,5 miliardi siano intermediati su un totale di 34 miliardi di spesa out of pocket. Tutto conferma una cosa: che il sistema sanitario ha bisogno di una profonda revisione e razionalizzazione nel suo naturale rapporto di integrazione pubblico-privato. Il fronte della salute – breve e medio periodo – prende sempre più il sopravvento rispetto alla spesa previdenziale complementare (13 ,5 miliardi contro i 36 della salute: tre anni fa erano 12 miliardi contro 27). Il welfare integrativo ha occhi miopi. Come il Paese.

 

Articolo da: Il Mattino di Napoli

Tragedia in ospedale a Napoli, muore 23enne in codice rosso attesa di 4 ore…

La vicenda è atroce. Un ragazzo di 23 anni, Antonio Scafuri, ricoverato in codice rosso, muore dopo una lenta agonia e quattro ore di attesa per il trasferimento in un altro ospedale di Napoli. Il medico, responsabile del pronto soccorso del Loreto Mare, denuncia e afferma: «Credo che i fatti evidenzino una superficialità di comportamento ed un disprezzo per la tutela dell’utenza ancora prima dell’inosservanza ai più elementari doveri professionali. Chiedo ove mai si dovesse ravvisare una condotta omissiva di intervenire e di denunciarle alle autorità competenti». Ecco la sua ricostruzione dei fatti, integrata dagli ultimi sviluppi della vicenda: la doppia inchiesta, della procura e dell’Asl, e l’arrivo della task-force del ministero della salute, più il racconto drammatico del padre del ragazzo.

Le ore d’agonia

Ore 21.46, 16 agosto. Il ragazzo di 23 anni, vittima di un incidente stradale, aveva un politrauma, fratture multiple. Un ricovero in codice rosso, ma poi è rimasto per ore di attesa. Ore che, secondo quanto denunciano i medici, potrebbero essere risultate fatali. Il ragazzo il giorno dopo è morto. Il responsabile del pronto soccorso dell’ospedale Loreto Mare, Alfredo Pietroluongo. «Dopo le indagini radiografiche e Tac veniva riportato in codice rosso dove i rianimatori constatavano un progressivo peggioramento delle condizioni generali ed un progressivo calo dell’emoglobina ai valori 7. Si provvedeva a richiedere il sangue in urgenza». Alle ore 1.04 «avveniva il ricovero in Chirurgia con prognosi riservata ed in imminente pericolo di vita. Ciò nonostante, il paziente rimaneva in codice rosso impegnando due unità infermieristiche del Pronto Soccorso con visibile disagio per il resto delle attività dello stesso pronto soccorso mentre le anestesiste intervenute rientravano in rianimazione».  Ore 1.45. Pietroluongo scrive che «venuto a conoscenza del fatto che il paziente era in attesa da circa due ore di essere trasportato in un altro Presidio per eseguire una angioTac e la cosa si rallentava perché non vi era accordo su quali infermieri avrebbero dovuto eseguire il trasferimento» chiede al medico che aveva in carico il 23enne «di provvedere ad accelerare i tempi dell’iter diagnostico anche perché il codice rosso era bloccato da circa quattro ore». Il medico di turno risponde che «sapeva lui cosa doveva fare e che le cose andavano bene così». Nel frattempo viene deciso chi doveva accompagnare il paziente. Ma intanto «alle ore 3.30 il padre del ragazzo quasi in lacrime, infuriato, mi veniva a chiedere cosa si stava aspettando, preoccupato delle condizioni del figlio che peggioravano». Pietroluongo cerca di parlare con il medico che stava seguendo il caso e scoppia uno scambio di accuse. A quel punto «mi precipitavo al Pronto soccorso chiedendo che un infermiere del Pronto soccorso si offrisse volontario per l’accompagnamento e raccomandavo di far partire immediatamente l’ambulanza con rianimatore e chirurgo a bordo». Il gruppo parte «ma senza rianimatore». Il 23enne arriva all’ospedale Vecchio Pellegrini: gli vengono trasfuse altre tre sacche di sangue e i medici criticano l’assenza dell’autoambulanza rianimativa, mezzo che non è stato ottenuto neanche per il ritorno al Loreto Mare dove il paziente rientra alle ore 8.30, in rianimazione dove muore.

Il dolore del padre.

«Mio figlio è stato ammazzato. Mentre lui moriva, al pronto soccorso litigavano per decidere chi dovesse salire sull’ambulanza che doveva portare Antonio a fare una angiotac. Vogliamo la verità: chi ha ucciso un ragazzo di 23 anni deve pagare», accusa Raffaele Scafuri, padre di Antonio, il giovane 23enne morto, dopo quattro ore di attesa in codice rosso, nell’ospedale Loreto Mare dove era arrivato a causa delle gravi ferite riportate in un incidente stradale avvenuto a Ercolano il 16 agosto. Il padre ricostruisce l’odissea in corsia: «Siamo arrivati al Loreto Mare attorno alle 21.30 e siamo stati subito assistiti. Poi mio figlio è stato posto su un lettino in attesa di effettuare l’esame utile a comprendere se vi fossero problemi ai vasi sanguigni. Su questo lettino è rimasto per ore, saranno state le 4 quando ho alzato la voce e solo allora medici e infermieri si sono messi d’accordo, dopo che li avevamo visti anche litigare. Intanto Antonio moriva». «Ci fu consentito di vedere nostro figlio dopo le 15 quando già era deceduto. Era freddo, segno che era morto da tempo. Pretendiamo la verità», aggiunge. Secondo la denuncia resa nota dal consigliere regionale Francesco Borrelli, ha atteso quattro ore in codice rosso per un esame. E il genitore ricorda che, dopo l’angiotac, il figlio «era stato portato in Rianimazione a causa delle tante fratture». Poi, né lui né la moglie l’hanno più visto: «Ci avevano assicurato che avremmo visto Antonio verso le 13 e che gli esiti degli esami erano favorevoli. Poi abbiamo saputo che il ragazzo era stato colto da tre infarti. Adesso pretendiamo la verità».

Doppia inchiesta

Indaga la procura, ma anche i vertici dell’Asl hanno annunciato una indagine interna «per accertare eventuali omissioni o mancanze organizzative, ciò anche ai fini di responsabilità disciplinari. Massimo rigore. I familiari e i cittadini sappiano che è interesse primario del direttore generale e degli operatori della Asl, che sulla vicenda si faccia piena chiarezza, fino in fondo, senza guardare in faccia nessuno».«Esprimo dolore, sgomento e rabbia per la morte del giovane di 23 anni nel presidio ospedaliero del Loreto Mare, in circostanze che, se confermate, sono inaccettabili e incompatibili in una organizzazione ospedaliera la cui priorità assoluta è salvare vite umane» dice il direttore generale della Asl Napoli 1, Mario Forlenza, sulla vicenda dell’attesa di 4 ore del giovane in codice rosso per un trasferimento in un altro ospedale. Aggiunge: «D’intesa anche con la Regione, per l’accertamento delle responsabilità presenterò personalmente denuncia alla Procura».

Task force del ministero

Fare piena luce è anche l’obiettivo del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, che ha disposto l’invio di una task force per accertare quanto accaduto. Faranno parte della task force – si legge in una nota – esperti dell’Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), Carabinieri del Nas e ispettori del Ministero della Salute.

Il ricordo del parroco

«Avevo visto Antonio l’ultima volta un mese fa, in occasione dei 25 anni di matrimonio dei suoi genitori. Una famiglia molto unita, alla quale va tutta la vicinanza della nostra comunità parrocchiale». A parlare è don Lorenzo Pernice, parroco della chiesa del Postiglione, frequentata anche dalla famiglia di Antonio Scafuri, il ragazzo morto nell’ospedale Loreto Mare dove era stato ricoverato a causa delle ferite riportate in un incidente stradale. «La mamma Rosaria ha una grande fede, così come il padre Raffaele» prosegue don Lorenzo. «In questo momento è giusto rispettare il silenzio affidandoci alla preghiera per il ragazzo e per la sua famiglia» aggiunge.
Il sopralluogo del consigliere

Il consigliere regionale dei Verdi, Francesco Emilio Borrelli, componente della Commissione Sanità che ha portato alla luce l’episodio, afferma: «Ringrazio il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, per aver deciso di inviare gli ispettori a Napoli per fare luce sulla drammatica vicenda del giovane Antonio Scafuri morto al Loreto Mare dopo aver lungamente atteso il trasferimento all’ospedale Vecchio Pellegrini. Ringrazio anche il direttore generale della Asl Napoli 1, Mario Forlenza, con il quale domattina alle 10 faremo un sopralluogo nel nosocomio di via Amerigo Vespucci, per aver immediatamente disposto un’indagine interna per la verifica dei fatti. Ritengo indispensabile che si faccia chiarezza su quanto accaduto la notte tra il 16 e il 17 agosto per dare una risposta al padre di Antonio, che chiede giustizia a gran voce, e per punire severamente eventuali inadempienze da parte del personale sanitario». Borrelli sostiene: «Le parole di Raffaele Scafuri, che denuncia i medici che litigavano mentre il figlio moriva, sono di una gravità inaudita perché il Pronto Soccorso di un ospedale dovrebbe essere un porto sicuro per coloro che hanno bisogno di assistenza medica, non il teatro di contrasti e scaricabarile tra operatori sanitari. Per questo farò di tutto affinchè ci sia giustizia per la famiglia di Antonio che ho sentito personalmente manifestandogli il mio dolore e il mio impegno ad andare fino in fondo». E conclude: «Il Loreto Mare – conclude il consigliere dei Verdi – è da tempo al centro di vicende vergognose come quella dei furbetti del cartellino e delle truffe alle assicurazioni con false radiografie. Dobbiamo continuare a batterci per una sanità migliore valorizzando le risorse migliori e buttando fuori le mele marce».

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