UNA LETTERA DEGLI OPERAI INNSE AI 5 REINTEGRATI FIAT

Cari compagni. Salutiamo con piacere la sentenza a voi favorevole del tribunale di Napoli, la Fiat e i giudici di Nola avevano passato il limite, nella sentenza che legittimava i licenziamenti era stata messa a nudo la schiavitù degli operai arrivando a limitarne la libertà di espressione. La sentenza in appello della corte di Napoli corregge il tiro: è meglio che la schiavitù degli operai rimanga limitata al rapporto di lavoro in fabbrica, è meglio che non esca dai cancelli, altrimenti potrebbe innescare processi di coscienza sociale difficilmente controllabili. Se non ci fossero state le vostre iniziative, la vostra […]
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Cari compagni.
Salutiamo con piacere la sentenza a voi favorevole del tribunale di Napoli, la Fiat e i giudici di Nola avevano passato il limite, nella sentenza che legittimava i licenziamenti era stata messa a nudo la schiavitù degli operai arrivando a limitarne la libertà di espressione.
La sentenza in appello della corte di Napoli corregge il tiro: è meglio che la schiavitù degli operai rimanga limitata al rapporto di lavoro in fabbrica, è meglio che non esca dai cancelli, altrimenti potrebbe innescare processi di coscienza sociale difficilmente controllabili. Se non ci fossero state le vostre iniziative, la vostra indomabile resistenza e le conseguenti denunce pubbliche tutto sarebbe passato sotto silenzio, la FIAT e il tribunale di Nola avrebbero allargato, legittimandolo, il regime di fabbrica con il conseguente dispotismo del padrone, in modo strisciante, a tutta la vita degli operai.
Un allarme sociale è scattato. Non si può togliere la libertà di parola, di critica, ad una parte consistente della società, agli operai, senza lacerare completamente il velo della finzione dei cittadini uguali di fronte alla legge. Gli operai guardandosi allo specchio non avrebbero più visto riflessa la falsa immagine che ne fa cittadini fra cittadini ma lo schiavo incatenato da leggi e tribunali fatti dai padroni per i padroni.
Se si dichiara che i cittadini sono uguali di fronte alla legge, se si dichiara che la libertà di espressione è il fondamento della democrazia, è del tutto giustificato il fatto che gli operai rivendichino questa condizione e che tanti seri intellettuali li appoggino.
Se ai padroni va stretta la miserabile libertà di critica che gli operai riescono ad esercitare contro di loro, abbiano il coraggio di proibirla per legge e lo dichiarino di fronte a tutta la società. Facciano come hanno fatto sui licenziamenti, arrivando all’assurdo che all’operaio licenziato in modo illegittimo venga negato il reintegro.
Almeno si liberano gli schiavi salariati dal rispetto delle leggi che li rendono schiavi e gli intellettuali seri dalla difesa di una libertà di espressione che è elastica, fondata sulla forza economica delle classi in campo, sostanzialmente povera per i poveri.
Siamo solo agli inizi e l’inizio è sfolgorante.
Battuto sul terreno legale il padrone, il ritorno in fabbrica fra i compagni di lavoro vittoriosi. Ora inizieranno le grandi manovre sul pronunciamento della Cassazione, conteranno ancora e molto di più, dal nostro lato, i pronunciamenti di intellettuali che formano la pubblica opinione, si è dimostrato che di fronte a degli operai che resistono alla schiavitù non tutti sono disposti a girarsi dall’altra parte.
Ma il problema che dovrà affrontare la Cassazione è ben altro che il fondamento di una sentenza: i giudici si dovranno chiedere se è il momento o se c’è effettiva necessità di mettere oggi il bavaglio alle critiche pubbliche degli operai ai loro padroni. Si dovranno chiedere se questo “bavaglio” non produca più danni al sistema dei padroni di quanto non ne derivi da qualche “libera espressione di critica”. Questo problema richiama allo stato di tensione sociale esistente fra gli operai, alla loro presa di coscienza di essere schiavi ed alla necessità di ribellarsi.
Toccherà a noi operai decidere come riempire i prossimi mesi, come comportarci. Per noi è essenziale la ricomposizione di una forte coalizione operaia attorno a Mimmo ed agli altri, costruita fra i loro stessi compagni di fabbrica e la possibilità di muovere i primi passi verso l’organizzazione di un partito politico indipendente.
Nella vicenda dei licenziamenti, nel fatto incontestabile che per condurre la lotta abbiamo avuto la necessità di parlare a nome di un’intera classe sociale, nel fatto incontestabile che abbiamo dovuto sviluppare una critica globale al sistema delle leggi, al ruolo della magistratura sta la realtà che solo una nuova forma di organizzazione può svolgere e sviluppare questo modo di condurre la lotta per l’emancipazione degli operai, un loro, proprio partito.
Gli operai della INNSE vi chiedono se anche per voi è maturata questa possibilità e se la risposta è positiva non ci rimane niente altro che metterci al lavoro.
Vi abbracciamo e restiamo in attesa.
La sezione della INNSE del partito operaio.

 

La lettera in formato pdf    lettera-partito-operaio-innse

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