EX ILVA, PUGNALATI ALLE SPALLE

A Taranto otto operai sono stati licenziati via e-mail da parte di una ditta dell’indotto, proprio mentre si stava svolgendo la manifestazione comune di operai e padroni delle imprese in appalto organizzata da Fim, Fiom, Uilm e Usb. Guai a farsi pecora e fidarsi del lupo
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A Taranto otto operai sono stati licenziati via e-mail da parte di una ditta dell’indotto, proprio mentre si stava svolgendo la manifestazione comune di operai e padroni delle imprese in appalto organizzata da Fim, Fiom, Uilm e Usb. Guai a farsi pecora e fidarsi del lupo

Con parole compiaciute, un miscuglio di sorpresa e giubilo, i mezzi di informazione borghese hanno salutato la manifestazione unitaria promossa il 29 gennaio a Taranto da Fim, Fiom, Uilm e Usb, alla quale hanno aderito l’Ugl Metalmeccanici, altri sindacati di categoria e le associazioni padronali Aigi, Casartigiani e Confapi Industria, per sollecitare il governo ad adottare iniziative urgenti per scongiurare la chiusura dell’ex Ilva. Il compiacimento è stato nel vedere padroni delle imprese dell’indotto (o dell’appalto) di Acciaierie d’Italia e operai di Acciaierie d’Italia e dell’indotto (quindi loro dipendenti) sfilare insieme intorno allo stabilimento tarantino.
Sulle posizioni e parole d’ordine antioperaie, di ieri e di oggi, di Fim, Fiom, Uilm e Usb abbiamo già scritto, ma basterebbe l’organizzazione di questa manifestazione unitaria per dimostrare l’opportunismo delle direzioni sindacali e dei burocrati sindacali di vario livello. Obiettivo del raduno davanti alla portineria “Imprese” dell’ex Ilva e del successivo corteo è stato per i sindacati ribadire, nella discussione e nelle manovre sul futuro dello stabilimento siderurgico tarantino, la necessità di allontanare ArcelorMittal e avviare una nuova gestione guidata dallo Stato o in subordine da altri privati. Infatti gli unici slogan gridati rimandavano, con poche sfumature, solo all’allontanamento della multinazionale franco-indiana.
Invece i padroni delle imprese dell’indotto, che si occupano della manutenzione dello stabilimento tarantino e della fornitura e del trasporto di componenti e di semilavorati, hanno espresso la preoccupazione di non riuscire a riscuotere crediti per oltre 120 milioni di euro che rivendicano nei confronti di Acciaierie d’Italia. Temono, in caso di commissariamento e quindi di amministrazione straordinaria, ventilata come imminente, di perdere tutti i crediti, come già accaduto nel 2015. Per le imprese dell’indotto lavorano circa 3.000 dipendenti, in larghissima parte operai, che dall’inizio del 2024, appena è diventata conclamata la separazione di ArcelorMittal da Acciaierie d’Italia, sono stati messi in Cassa integrazione guadagni straordinaria (Cigs), quindi con una indennità pari ad appena l’80% del salario!
Nell’attuale situazione di blocco produttivo quasi totale dello stabilimento siderurgico, per gli operai delle imprese dell’indotto la Cigs è realmente l’anticamera del licenziamento. Perciò parecchi di essi, insieme con operai di Acciaierie d’Italia anch’essi in Cigs, hanno partecipato alla manifestazione. Il corteo ha attraversato il perimetro esterno della fabbrica, toccando le diverse portinerie, e poi si è diretto sulla statale Appia per concludersi davanti alla direzione di stabilimento. Da parte degli operai nessuno slogan antipadronale, nessuna parola d’ordine che mettesse in primo piano i propri interessi, come, ad esempio, la fine della Cigs per tutti, tranne una generica rivendicazione di “rispetto”.
Hanno avuto perciò buon gioco i mezzi di informazione borghese a raccontare che “è stata una manifestazione senza precedenti nel mondo del lavoro. A Taranto gli imprenditori dell’indotto di Acciaierie d’Italia e i loro dipendenti, insieme!”. Sembravano raggiunte, e così descritte, nella crisi, la pacificazione e l’unità di intenti fra padroni e operai. Il sogno tranquillizzante di giornalisti e tanti altri perbenisti borghesi. E invece qualcosa è andato storto: il licenziamento via e-mail, proprio durante la manifestazione, di otto operai da parte di un’impresa dell’appalto ex Ilva, motivata con la necessità della drastica riduzione del personale!
Il velo dell’ipocrisia borghese dei sindacalisti e dei disinformatori di professione è rotto, squarciato dalla realtà dei fatti. Il padrone è padrone, l’operaio è operaio. Il primo, per salvarsi, può anche irretire gli operai e servirsene, con la complicità di sindacalisti compiacenti, se e fin quando ci riesce. L’operaio non può sperare, nella propria salvezza, né nel padrone né nei sindacalisti di turno complici del padrone.
Quanto accaduto durante il corteo è l’anteprima di ciò che accadrà nelle prossime settimane, nei prossimi mesi. Già da più parti si ventila l’ipotesi di una Ilva più piccola, quindi con molti meno operai, e si aggiunge “ambientalizzata” per indorare la pillola. Noi, come Partito Operaio, abbiamo proposto da tempo la giusta rivendicazione per gli operai che vorranno buttare fuori: “Se noi operai non serviamo più a produrre acciaio ci devono mantenere, con un salario pieno, a non fare niente. Nessuno di noi deve andare in cassa integrazione con salario ridotto e poi buttato fuori per sempre, come è successo ai 6.000 operai non assunti con l’accordo del 6 settembre 2018, neanche uno! Non ci vergogneremo, abbiamo già dato fatica e salute (e alcuni anche la vita) sull’altoforno e in acciaieria, ora è tempo di curarci, respirare aria buona, stare con le nostre famiglie, studiare per istruirci, scrivere poesie… Chi si scandalizza per questa nostra soluzione vada lui a guadagnarsi il pane nel caldo e nel fumo di una fabbrica siderurgica e provi l’ebbrezza di diventare inservibile anche per fare questo lavoro di merda”. Vedremo se qualcuno accetterà la nostra parola d’ordine (e non ci illudiamo!) e chi non esiterà, come fatto in passato, a gettare alcune centinaia o migliaia di operai in mezzo a una strada per salvaguardare gli interessi nazionali sull’acciaio!
L.R.

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