LA TRAPPOLA DI TUCIDIDE

Le due più forti potenze imperialiste mondiali la Cina e gli USA, una emergente, l’altra dominante, si fronteggiano senza esclusione di colpi. Come Sparta ed Atene finiranno per farsi la guerra per la supremazia sul mercato mondiale.
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Le due più forti potenze imperialiste mondiali la Cina e gli USA, una emergente, l’altra dominante, si fronteggiano senza esclusione di colpi. Come Sparta ed Atene finiranno per farsi la guerra per la supremazia sul mercato mondiale.

Due nemici si incontrano per la pace o per una tregua. Nel primo caso perché uno ha schiacciato e vinto l’altro, nel secondo caso per prendere ambedue tempo, recuperare le forze, pensando di poter successivamente vincere l’avversario dopo aver riorganizzato e rafforzato il proprio esercito.

Non stiamo parlando di Gaza, né dell’Ucraina, ma dell’incontro tra Biden e Xi avvenuto il 15 novembre scorso. Stiamo parlando delle prime due potenze capitalistiche, Usa e Cina, i cui due leaders, ma soprattutto le rispettive delegazioni statali, si sono incontrati a San Francisco in occasione dell’annuale incontro dell’Asia-Pacific Economic Cooperation (APEC). I due leaders non si incontravano da un anno, per l’esattezza dal precedente incontro APEC a Bangkok (Thailandia ) nel novembre 2022, ma in quella occasione Xi e Biden si guardarono bene dall’organizzare alcun “vertice bilaterale” tra le rappresentanze politiche della borghesia cinese e statunitense. La presenza di Biden fu allora messa in dubbio fino all’ultimo giorno, perché “era (troppo) impegnato” nel matrimonio della nipotina. Nei mesi precedenti si era talmente alzata la tensione tra le due potenze imperialiste che anche il velo dell’ipocrita etichetta di “cooperazione” tra i paesi nell’area del Pacifico si era squarciato, per lasciare spazio alla nuda verità: l’affermazione imperialista dei propri grandi capitali nazionali sugli altri, quello cinese in straordinaria crescita e alla ricerca di sempre nuovi mercati e quello finora dominante degli Usa, con alleati di contorno.
Una misura del livello dello scontro si ebbe di lì a poco, nel febbraio 2023, in cui un pallone meteorologico cinese, che per Pechino era del tutto pacifico pur essendo finito fuori controllo, guarda caso, proprio sui cieli americani, veniva abbattuto senza troppi riguardi dai caccia americani in quanto considerato un pallone spia nemico. Tutto il 2023 continuava riempiendosi di episodi al limite dello scontro militare diretto tra le due potenze. Un susseguirsi di esercitazioni militari cinesi volte a dimostrare, come azione concreta, la possibile presa con le armi dell’isola di Taiwan. Naturalmente ad ognuno di questi movimenti di aerei e navi cinesi, seguivano altrettanti movimenti di portaerei americane nello stretto di mare di soli 180 km che divide Taiwan dalla Cina.

Va ricordato che Taiwan è l’isola su cui si rifugiarono Chiang Kai-shek e i membri del partito nazionalista Kuomintang, dopo essere stati sconfitti nel 1949 dall’esercito popolare cinese guidato da Mao. Attualmente (dal 1992) vige un tacito riconoscimento tra la borghesia cinese continentale e quella taiwanese in cui nessuna delle due deve mettere in discussione il principio di “una sola Cina” che raggruppa la Cina Continentale, Taiwan, Hong Kong, Macao e Tibet. In questo modo i “continentali” riconoscono genericamente quella che chiamano l’ “autorità di Taiwan”; i taiwanesi devono stare attenti a non urtare la sensibilità imperialista cinese con una rivendicazione aperta di indipendenza nazionale. L’indipendenza di Taiwan non deve venire ufficialmente riconosciuta dagli altri stati se non vogliono rischiare la rottura dei rapporti commerciali con la “Grande Cina”; ad oggi solo 22 paesi minori hanno riconosciuto l’indipendenza di Taiwan, anche gli Usa finora se ne sono ben guardati.
Che Taiwan possa essere il pretesto lo dirà la storia, ma che le due potenze siano “destinate alla guerra” è argomento di discussione sia negli Usa che in Cina da almeno una decina d’anni. Il libro di Graham Allison “Destinati alla guerra: possono America e Cina sfuggire alla trappola di Tucidide?” diventò un bestseller nazionale subito dopo la sua pubblicazione nel 2017, ben presto tradotto in più lingue, in Italia fu tradotto nel 2018. Graham Allison in notevoli occasioni prima e dopo il suo libro ha avuto modo di riprendere le sue conclusioni, che in realtà sono una semplice raccolta di esempi storici di conflitti commerciali, in cui una potenza emergente si è scontrata con un’altra dominante per scalzarne il dominio. Dei 16 casi annoverati da Graham per gli ultimi 500 anni, 12 si sono risolti con un conflitto armato (tra cui la Prima e la Seconda guerra mondiale) e solo 4 non hanno dato luogo a una guerra vera e propria.
Da qui la domanda: come finirà il 17esimo caso? Quello che vede come contendenti la Cina da una parte, potenza emergente, e dall’altra gli Stati Uniti, potenza dominante a rischio di declino. Ecco ripresentarsi, secondo la semplicistica raccolta fenomenologica di Graham, la cosiddetta trappola già individuata da Tucidide nel V secolo a.c. in cui la città Stato di Atene, forza economica dinamica ed “emergente”, per poter continuare a crescere e a sviluppare i suoi commerci, entrò in collisione con la potente e “dominante” Sparta, e da qui l’ “ineluttabile” guerra nel Peloponneso per il dominio della Grecia. Graham, come in fin dei conti Tucidide stesso con la sua opera, vorrebbe avvisare gli artefici delle decisioni politico-militari, i presidenti in carica e futuri, dei pericoli che, di fronte al riprodursi di analoghi scenari storici, non curandosi troppo delle loro azioni e delle ripercussioni che possono avere, l’umanità sta correndo nell’essere trascinata in un ennesimo conflitto, che sarebbe enormemente più devastante dei precedenti.
Ma la cosa straordinaria è che le stesse cose le hanno ben presenti, le dicono e ripetono Xi Jinping all’indirizzo dell’America e Joe Biden all’indirizzo della Cina. A San Francisco Biden ad esempio ha dichiarato: “Dobbiamo assicurare che la competizione non degeneri in conflitto”. Xi ha ribattuto che “voltare la schiena gli uni agli altri non è una opzione, non risolve i problemi”. Insomma sembrerebbe di assistere a una presa di coscienza da leaders illuminati che hanno imparato gli insegnamenti di Tucidide (Graham). Peccato che sullo stesso tenore possiamo ritrovare numerose dichiarazioni di Xi negli anni passati, ma poi abbiamo assistito a confronti durissimi e dimostrazioni (militari) volte a far capire all’avversario la propria nuova potenza. E peccato che analogamente, dall’altra parte, potremmo ritrovare dichiarazioni di non “belligeranza” nei confronti della Cina, a cui sono però seguite azioni concrete dei vari presidenti che si sono avvicendati nel governo degli Stati Uniti di tutt’altra natura, con enormi stanziamenti statali in favore sia del Pentagono e della connessa industria militare, ma anche e soprattutto di quel capitale industriale americano che si impegnasse a sviluppare la produzione dentro i confini nazionali e a contrastare quella dell’avversario asiatico. E non stiamo solo parlando di un Trump con i suoi slogan nazionalisti sull’America prima, ma di un Biden e la sua “Bidenconomics” che ha stanziato complessivamente negli anni del suo mandato presidenziale, in tre successivi passi (i cosiddetti tre pilastri della sua politica economica), ben 3.800 miliardi di dollari. Prima, in favore del rilancio di consumi americani dopo il covid, poi in infrastrutture, e infine in innovazione tecnologica, nuovi e più potenti microchip, auto elettriche, ecc., tutto rigorosamente Made in USA.
Si dirà, che c’è di male a favorire la competitività americana? Basta che “non degeneri in conflitto”, come dice a parole Biden al nemico Xi nel recente incontro di S. Francisco. E allora va a proposito ricordato come l’ultimo dei suoi tre pilastri (il chips act) sia stato proprio indirizzato contro la potenza emergente cinese. Si tratta del “bando” – varato nell’ottobre del 2022 e pienamente operativo nel 2023 – alla vendita di microchip di ultima generazione, nonché dei macchinari necessari alla loro produzione. Bando che ha fatto impallidire quello precedente di Trump che colpiva Huawei e poche altre industrie cinesi delle telecomunicazioni, sia perché esteso a una lista di ben 500 industrie, quasi tutte localizzate nella “grande Cina”, sia per il coinvolgimento attivo, oltre che dei produttori americani, di quelli di paesi alleati come Giappone, Corea del Sud, Olanda e naturalmente Taiwan.
Il 19 ottobre 2022 il Financial Times titolò “Contenere la Cina è l’esplicito obbiettivo di Biden” e paragonò le disposizioni dell’amministrazione Biden ad una dichiarazione di guerra. Scrisse: “Immaginate che una superpotenza abbia dichiarato guerra a una grande potenza e nessuno ci abbia fatto caso. Joe Biden questo mese ha lanciato una vera e propria guerra economica contro la Cina – impegnando gli Stati Uniti a fermarne l’ascesa – e la maggior parte degli americani non ha reagito”. La tesi del FT dell’inizio di una guerra (solo economica?) non è per niente fuori luogo se si considera che la Cina, già per le statistiche prima potenza manifatturiera mondiale, ha estremo bisogno per la produzione delle sue merci con cui poi conquista i mercati di tutto il mondo, ancor più che di petrolio (250 mld di dollari), di importare grandi quantità di microchip (450 mld di dollari, dati del 2021). Si provi solo ad immaginare l’effetto mediatico che avrebbe una legge americana che imponesse ai produttori il divieto di vendita di petrolio alla Cina.
Il risultato è che per tutta la prima metà del 2023 si è avuta una corsa agli acquisti di microchip da parte dei trasformatori cinesi nel tentativo di fare scorte per il futuro e non rimanere fermi nella produzione, l’immediato stanziamento di fondi governativi alle aziende cinesi per rendere la Cina autonoma nella produzione degli stessi microchip, con un boom di acquisti da Giappone e Olanda dei macchinari necessari conclusasi in luglio e agosto, ultimi due mesi prima del blocco imposto da Biden e dal Congresso. Nel frattempo anche la Cina rispondeva con leggi volte a limitare la vendita all’estero di terre rare di cui la Cina è leader nella estrazione. Insomma la guerra commerciale tra Cina e Usa subiva una ulteriore recrudescenza e la trappola di Tucidide si faceva sempre più concreta. Per dirla chiaramente alle parole di circostanza seguivano azioni concrete di protezionismo (americano), tentativi autarchici (cinesi) e risposte in rappresaglia.
Nel marzo 2023, il nuovo ministro degli esteri cinese Qin Gang, in precedenza ambasciatore cinese a Washington, lanciava un avvertimento perentorio: “Se gli Stati Uniti non freneranno ma continueranno ad accelerare nella direzione sbagliata, nessun sistema di sicurezza potrà scongiurare un deragliamento, e avremo sicuramente uno scontro”.
Il tutto mentre le relative marine militari si fronteggiavano ripetutamente nelle acque del mare cinese, con i rappresentanti della borghesia della “Grande Cina” che per tutto l’anno si saranno chiesti se la tecnologia elettronica, così sviluppata sull’isola di Taiwan a soli 180 km dal continentale, possono ancora semplicemente comprarla o si troveranno a doverla andare a prendere con il proprio esercito. Probabilmente lo stesso dilemma che gli ateniesi si posero nei confronti di Sparta e delle città con essa in sodalizio.
R.P.

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