E’ GIA STATO DETTO!

E’ già stato detto “basta morti sul lavoro?”, oppure “non è possibile andare a lavorare senza la certezza di tornare a casa?”, oppure “non si può morire di lavoro?”. Certo che è stato detto. Milioni di volte. E chissà quante volte ancora saremo costretti a dirlo. E mentre lo diciamo, gli operai continuano a morire sul lavoro.
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E’ già stato detto “basta morti sul lavoro?”, oppure “non è possibile andare a lavorare senza la certezza di tornare a casa?”, oppure “non si può morire di lavoro?”. Certo che è stato detto. Milioni di volte. E chissà quante volte ancora saremo costretti a dirlo. E mentre lo diciamo, gli operai continuano a morire sul lavoro.

E’ già stato detto “basta morti sul lavoro?”, oppure “non è possibile andare a lavorare senza la certezza di tornare a casa?”, oppure “non si può morire di lavoro?”. Certo che è stato detto. Milioni di volte. E chissà quante volte ancora saremo costretti a dirlo. E mentre lo diciamo, gli operai continuano a morire sul lavoro.
Dinanzi a una morte sul lavoro, o, nel caso di specie, a una strage di operai, il rituale è sempre lo stesso: i sindacati proclamano una, due o massimo quattro ore di sciopero e promettono battaglia senza esclusione di colpi, il politico locale di turno dice “basta morti sul lavoro”, la procura apre “un fascicolo di inchiesta” che rimarrà aperto per anni a fare la muffa, poi tempo due giorni e la notizia scompare. E a piangere i morti rimangono i parenti, i familiari, i colleghi e gli amici degli operai morti ammazzati.
Anche le parole di circostanza sono sempre le stesse. Le dichiarazioni di “quelli che dichiarano” sembrano realizzate con il sistema del copia e incolla. E’ sufficiente prendere il comunicato di qualche giorno prima, cambiare la data, cambiare il nome e cognome dell’operaio morto e inviarlo all’Ansa come nuovo. Manco fosse un’automobile prodotta sulla catena di montaggio: cambi il numero di matricola, ma le automobili sono tutte uguali, identiche e … funzionanti: una sorta di catena di montaggio dei comunicati di circostanza sulle morti sul lavoro.
Poi, alla fine della fiera, i fatti restano immutati, ovvero gli operai continuano a schiattare e i padroni continuano ad abbuffarsi la panza di profitti. In fondo, fintanto che le ragioni del profitto e le esigenze dell’impresa saranno ritenute superiori a quelle della vita di un operaio, si continuerà a considerare le morti sul lavoro come effetti collaterali dell’economia. Anzi, come inevitabili eventi della catena di produzione.
Hai voglia a scrivere “basta morti sul lavoro”! La verità? La verità è che ci abbiamo fatto il callo, siamo abituati al quotidiano bollettino di guerra dei morti sul lavoro, ci siamo assuefatti anche noi alla quotidianità di questa guerra dichiarata contro gli operai. Ecco, fanno scalpore le tragedie con cinque, sei e sette operai morti, ma la quotidianità, quella dei quattro morti sul lavoro al giorno, è diventata “normale”.
Anche oggi sabato 13 aprile moriranno quattro operai sul lavoro e anche oggi i riti di biasimo, condanna o mera commiserazione cristiana si alterneranno ai post sul risultato della partita di pallone, al divorzio di Fedez e Ferragni o alla polemica sul nuovo outfit di Santanchè, in uno straordinario tritacarne di input e informazioni dove una strage operaia non merita alcun approfondimento giornalistico.
Anche oggi sabato 13 aprile, dinanzi alla morte di altri quattro operai, assisteremo alle finte diatribe tra finta sinistra e vera destra che fingeranno di rimpallarsi le responsabilità, solo per dare un senso alla loro iniziativa politica, anch’essa copia e incolla, ormai senza senso.
E anche oggi nessun padrone sarà condannato per omicidio sul lavoro, perchè la magistratura borghese è totalmente asservita alle cosiddette ragioni di Stato, dove le stesse ragioni coincidono con quelle dell’impresa e del profitto.
Alla fine nessun dirigente d’impresa della strage dovuta all’esplosione della centrale idroelettrica del lago di Suviana, sull’Appennino bolognese, dove hanno perso la vita sette operai, pagherà per le responsabilità penali delle morti sul lavoro. Così come nessun dirigente della Tyssen Krupp ha pagato per la strage di lavoratori del 2005 avvenuta a Torino, anche lì con sette morti ammazzati, nonostante le indagini giudiziarie abbiano accertato la responsabilità del datore di lavoro che non ha provveduto alla verifica periodica degli estintori, risultati scarichi. Così come nessun padrone è attualmente in carcere per omicidio sul lavoro, nonostante i numeri siano esorbitanti.
Certo, il carcere per il padrone che omette le misure di sicurezza sul lavoro non restituirà la vita degli operai, ma prevedere il carcere per il reato di omicidio sul lavoro serve da deterrente per “invogliare” i padroni a rispettare le leggi. Del resto, perchè il padrone dovrebbe rispettare le leggi sulla sicurezza, quando queste non prevedono alcune sanzioni penali? Perchè rispettare le leggi, quando le sanzioni amministrative sono inferiori ai costi della sicurezza?
Le morti sul lavoro si combattono esclusivamente sovvertendo il sistema, perchè i ritmi, i carichi di lavoro, lo sfruttamento spinto e i risparmi delle spese per la sicurezza sul lavoro attengono proprio alle ragioni del capitalismo e sono insite nella logica del profitto. E il sistema potranno sovvertirlo solo coloro che ne sono vittime, non altri. Noi operai, non altri. Tutto il resto è finta indignazione della politica, dei sindacati confederali e delle istituzioni, che più degli altri sono i diretti responsabili di questa quotidiana mattanza.

Dinanzi ai sette operai morti ammazzati tre giorni fa avremmo dovuto scioperare per almeno un mese, bloccare l’Italia, riempire le piazze, occupare le fabbriche ed espropriare le imprese. E invece, ancora una volta, siamo qui a scrivere che dobbiamo scioperare almeno per un mese, bloccare l’Italia, riempire le piazze, occupare le fabbriche ed espropriare le imprese. In un continuo rimando che sembra non finire mai.

Delio Fantasia, operaio Stellantis Cassino in attesa di reintegro

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