8 MARZO: FACCIAMO IL PUNTO! RIPARTIAMO DALLA CLASSE.

La questione femminile è una questione di classe e lo è sempre stata. Quale coscienza ne ha il movimento femminista internazionale alla scadenza dello sciopero mondiale delle donne per l’8 marzo?
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La questione femminile è una questione di classe e lo è sempre stata. Quale coscienza ne ha il movimento femminista internazionale alla scadenza dello sciopero mondiale delle donne per l’8 marzo?

La questione femminile è una questione di classe, e lo è sempre stata. All’interno del movimento femminista internazionale, le differenze tra classi sociali non sono tenute più in considerazione, non sono percepite in modo netto.
Che cosa possono avere in comune le donne ricche e borghesi, con le donne povere e proletarie, sesso a parte?
La classe di appartenenza determina il tuo modo di pensare ed agire, i negozi che ti puoi permettere, le scuole che puoi frequentare, il lavoro che farai o non farai per il resto della tua vita. Sembra che la politica incentrata sulla lotta di classe sia stata lentamente rimossa dalla lotta femminista, come se la lotta al patriarcato sia qualcosa di estraneo alla lotta al sistema di oppressione capitalistico. Dal momento che l’8 marzo si indice uno sciopero generale mondiale delle donne e lo sciopero generale è una cosa seria, nella storia ufficiale delle lotte del movimento operaio/e gli scioperi delle sole donne, sono sempre avvolti in una fitta nebbia e se ne è sempre dato poco conto. Quindi viene in mente di” ripartire” da uno sciopero di quelli dimenticati, ma che a modo suo, ha fatto la storia, ma ancora oggi è avvolto nella “fitta nebbia”. Milano 1902, le sarte bambine si allearono ed organizzarono uno sciopero per rivendicare diritti e salario. Fu il primo sciopero femminile di minorenni, le “PISCININE”, bambine e adolescenti sfruttate nel mondo delle modiste, sarte e opifici tessili. Una storia di formazione femminile. Sul Corriere della Sera (24 giugno 1902) la cronaca dello sciopero inizia così:” La notizia che si dava quasi come uno scherzo è la cosa più seria del mondo…” le piccole scioperanti hanno eletto una commissione di 7 compagne, incaricate di trattare con le sarte maestre”. Da quel momento in poi lo sciopero delle Piscinine, occuperà giornalmente le pagine dei giornali, che non poterono fare a meno di elogiare la loro capacità e combattività, davanti alla Camera del Lavoro, riuscendo a farsi ricevere. Quello fu il battesimo del fuoco! Si sentirono finalmente chiamate lavoratrici, e poterono parlare dei loro problemi con i sindacalisti (tutti uomini). Al terzo giorno di sciopero si arriva a varare la PIATTAFORMA, in 7 punti. 1°: minimo di paga giornaliera (50 cent.), 2°:10 ore di lavoro al giorno e un’ora di intervallo per la colazione, 3°: pagamento delle ore fatte in più dell’orario, 4°: abolizione dei servizi domestici, 5°: paga settimanale, 6°: lavoro domenicale retribuito con il 100% di aumento, 7°: riduzione dello scatolame in modo che le bambine fino a 9 anni non portino un peso superiore ai 4KG e fino ai 12 non superiore ai 10KG.
Le scioperanti furono osteggiate da tutti, derise sui giornali e dai sindacalisti (un’antica tradizione), tennero duro venendo spesso alle mani con le crumire e con le sarte. Ma il 28 giugno le sarte cedono davanti alla tenacia delle scioperanti, e furono costrette ad accettare le richieste. Comunque si siano poi evolute le cose, un obiettivo lo avevano raggiunto, essere riconosciute come lavoratrici, e la loro lotta fece da apri pista ad un’altra ribellione di ragazzi (minorenni), quella degli addetti allo stabilimento Bertorelli (arredi e oggetti sacri). La loro lotta si concluse con lo “sciopero generale” di tutti i garzoni appartenenti a tutte le industrie. Si trattò di 5/6mila ragazzi la cui età raggiungeva raramente i 14 anni.

LE DONNE SI STANNO ALLENANDO ALLA RIVOLTA DA UN SECOLO E MEZZO!
Nelle lotte operaie di fine ottocento e inizio novecento, quattro categorie di lavoratrici si sono particolarmente distinte: ”Operaie tessili, Trecciaiole toscane, tabacchine e le mondine vercellesi. Si battono per il salario e si ribellano ai ritmi di lavoro a cui sono costrette. Al prezzo di enormi sacrifici, ottengono notevoli avanzamenti, che però spesso vengono offuscati, se non addirittura occultati. Eppure, l’azione rivendicativa femminile, gli scioperi di quell’epoca, rappresentano pietre miliari, nelle lotte per il riconoscimento dei diritti dei lavoratori italiani. Le trecciaiole toscane, pur essendo lavoratrici a domicilio, riescono ad organizzarsi al punto tale da estendere gli scioperi a tutta la categoria, fino ad ottenere per la prima volta in Italia, un contratto nazionale. Come nel caso delle Piscinine, le lotte delle donne e le loro vittorie, sono contagiose. A seguire anche le operaie delle Manifatture Statali di tabacco, a fine ottocento grazie alle loro lotte, ottengono le otto ore di lavoro, con una pausa di mezz’ora e 50 giorni pagati di malattia. La contestazione operaia femminile si fa sentire efficacemente, anche nel settore agricolo capitalistico (risaia Piemontese), ottenendo anche loro le otto ore di monda (1907). Anonime proletarie che non si sono fatte mancare “niente”, partecipando attivamente e numerose, anche ai moti insurrezionali che hanno caratterizzato la seconda metà dell’ottocento: Moti del Macinato(1869) primo moto contadino unitario, contro le tasse sul macinato, 1820 i Moti rivoluzionari “Boje”, che portarono alla “Primavera dei Popoli “1848, chiamati i Fasci Siciliani(movimento di massa rivoluzionario di ispirazione socialista). Nell’ottocento le donne precedono gli uomini, nell’accesso al lavoro salariato (Michela Sacco Morel), quindi è logico che la ribellione femminile preceda ed apra la strada a quella maschile.” …gli scioperi femminili contribuiscono a spezzare la catena delle sotto concorrenze operaie, facendo lievitare tutti i salari…”
Le statistiche riguardanti gli scioperi del 1897 (Angelo Bertolini economista) svelano una netta maggioranza femminile nelle contestazioni, donne che appaiono più dure e resistenti degli uomini, nonostante la loro condizione svantaggiata. La contestazione operaia femminile non è mossa solo dalla disperazione indotta dall’estrema povertà, ma bensì è un atto politico cosciente, compiuto da donne che hanno scelto di occupare la scena pubblica, per opporsi alle scelte politiche governative.

8 MARZO 2024 BISOGNA SAPERE DA CHE PARTE STARE.
Le questioni teoriche che hanno caratterizzato e condizionato, l’organizzazione dello sciopero dell’8 marzo, negli anni recenti, hanno focalizzato l’interesse su motivazioni, che hanno “disinnescato” l’enorme potenziale rappresentato dallo sciopero generale mondiale delle donne. Lo sciopero generale è una cosa seria, e affinché riesca è necessario un lavoro capillare, costante, fatto di trecentosessanta giorni di militanza. Ma soprattutto dovrebbe vedere protagoniste quelle donne occupate nella “produzione” che come un secolo e mezzo fa, vivono le stesse condizioni di sfruttamento. Quelle proletarie capaci di infliggere al padrone un duro colpo, fermando la produzione, colpendolo dove fa più male, “il portafoglio”.
Gli odierni movimenti interclassisti invece fanno riferimento alla necessità di coinvolgere il lavoro-produttivo e il lavoro- riproduttivo, (con il risultato di subordinare il primo al secondo), e di unire le molteplici figure del mondo del lavoro e del “non lavoro”. Partendo dal presupposto che in questa società il lavoro non libera nessuno, la rilettura della storia della contestazione operaia femminile, ci mostra la capacità delle donne di trasformare il “lavoro salariato” che le incatena, in una occasione di affermazione di sé e di liberazione. Mentre il riconoscimento del salario alle casalinghe (proposto sin dagli anni 70 Dalla Costa, Federici) “incatena” le donne al loro ruolo domestico, allontanando per sempre la possibilità per le donne di liberarsi dal dominio maschile, dalla famiglia, dalla società.
Il lavoro domestico assegnato alle donne, usando la discriminante di genere, va Abolito! E Basta!
La questione su cui ragionare, nei dibattiti in preparazione dello sciopero generale del’8 marzo è, se è possibile risolvere il problema dell’oppressione della donna all’interno del capitalismo. Le recenti manifestazioni di piazza, contro la violenza sulle donne, ha visto una nutrita partecipazione di giovani donne “rabbiose” ed “incazzate”, che probabilmente la domanda se l’è posta, e quando gridano “Basta con il Patriarcato”, hanno chiaro, che il Patriarcato (che qualcuno vuole superare con la cultura), è frutto di una Kultura che non nasce da sola, né si sviluppa in maniera spontanea. Hanno chiaro che è il capitalismo che promuove i modelli sociali, le discriminazioni di genere, di razza, usandole come armi per impedire l’unità di classe. Uscire dal Patriarcato, significa uscire dal modello sociale su cui si regge: il Capitalismo.
Quindi scegliamo da che parte stare! Ripartiamo dalla classe!

S.O.

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