STELLANTIS: A PROPOSITO DEGLI INCENTIVI PER LICENZIARSI

A chi vogliono prendere in giro, tutti giurano di difendere l’occupazione, in realtà Stellantis paga gli operai per licenziarsi e i sindacalisti firmano accordi sugli incentivi mentre quelli in disaccordo fanno solo parole. E se gli operai spinti ad accettarli si unissero ed aprissero una trattativa per   farli aumentare chi potrebbe avere qualcosa da dire?
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A chi vogliono prendere in giro, tutti giurano di difendere l’occupazione, in realtà Stellantis paga gli operai per licenziarsi e i sindacalisti firmano accordi sugli incentivi mentre quelli in disaccordo fanno solo parole. E se gli operai spinti ad accettarli si unissero ed aprissero una trattativa per farli aumentare chi potrebbe avere qualcosa da dire?

L’ultimo accordo firmato dai sindacalisti filo aziendali in Stellantis prevede altre migliaia di uscite incentivate ponendo seriamente il problema della chiusura di diversi stabilimenti in Italia.
L’accordo riguarda solo i lavoratori direttamente impiegati in Stellantis, mentre non c’è niente per i dipendenti dell’indotto che, per ora, sono quelli ancora più colpiti dalla perdita di posti di lavoro.
Molti dei lavoratori coinvolti sono principalmente rcl, o anziani, che non riescono più a sostenere i ritmi olimpionici imposti dall’azienda sulle linee che puntano a raggiungere i più alti profitti anche con una produzione ridotta. Ritmi insostenibili anche per i lavoratori ancora nel pieno delle forze.
L'”invito” ad andarsene si prevede questa volta che sia fatto dall’azienda, e non richiesto dai lavoratori. I sindacalisti al servizio dell’azienda sottolineano che sarà comunque solo su base volontaria. Questo nella forma. Nella sostanza, l’azienda ha già sciolto i suoi capi e capetti per fare pressione sugli operai da mandare a casa. La strategia è chiara: prima si posizionano su postazioni produttive particolarmente faticose operai che già si sa in partenza, non potranno sostenerle, poi inizia il lavoro dei capi. Quando un operaio non ce la fa e va in infermeria, i capi, il cui unico “lavoro” è quello di controllare quelli che lavorano realmente, cominciano con le pressioni sugli “sfaticati”, arrivando spesso a vere e proprie minacce. I medici aziendali, per indicazione dei capi, limitano sempre le sospensioni dal lavoro a massimo 30 minuti, poi bisogna tornare a zappare. Per gli operai coinvolti inizia un percorso infernale. Le limitazioni fisiche, o l’età, non permettono loro di sostenere quella fatica, ma non hanno alternative e allora cominciano a rallentare il ritmo. Producono meno e arrivano i provvedimenti disciplinari per “mancata produzione”. Gli stessi sindacalisti, firmatutto e non, invece di difenderli, cominciano a consigliare loro di prendersi i quattro soldi di incentivo e andarsene. E a quanto ammonta questo “incentivo”? Per un operaio che ha tra i 45 e i 49 anni di età, i soldi netti non arrivano a sessantamila euro. In pratica, pochi anni di sopravvivenza e poi la miseria. La fabbrica moderna ti distrugge fisicamente in breve tempo, ma non ti dà nessun mestiere. Passi una vita intera ad avvitare bulloni, e alla fine quello sai fare. Una volta fuori, con la salute minata, anziano e senza nessuna “professionalità”, cosa vai a fare?
Le stesse pressioni e gli stessi ricatti vengono fatti su tutti gli operai che l’azienda ha deciso di “smaltire”.
Quando sono stati assunti questi operai hanno firmato un contratto a tempo “indeterminato”, fino alla pensione. Il lavoro ripetitivo, alienante e faticoso a cui sono stati costretti, molti di loro li ha messi fuori uso, o li ha resi non più adatti ai ritmi impossibili della fabbrica. Ora, o perché inservibili o perché “superflui” al padrone per produrre profitti, vengono costretti, con la complicità dei sindacalisti venduti, e il silenzio di quelli che a chiacchiere dicono di non esserlo, ad andarsene. Con le buone accettando i quattro soldi dell’incentivo, e se non accettano, rischiando il licenziamento per cumulo di provvedimenti disciplinari.
Come reagire? Prima di tutto organizzandosi collettivamente uscendo dalla logica perdente di difendersi individualmente. 100 uniti hanno più forza di uno solo. Secondo, farla finita con i sindacalisti dell’azienda e quelli che si oppongono solo a chiacchiere. Non servono quelli che contrattano miserabili incentivi per farci buttare fuori, e neanche quelli che ci dicono “che c’è poco da fare”. Chi sta con gli operai deve organizzare la lotta, deve stare al loro fianco contro il padrone, altrimenti si può togliere dai piedi.
Come operai bisogna dire: Noi vogliamo continuare a stare in fabbrica, non perché ci piaccia, ma perché ci servono i soldi per sopravvivere. Ci venga affidato un lavoro sostenibile, senza ricatti, e salvaguardando la salute, anche per quelli ancora sani.
Visto che nessuno chiama agli scioperi contro i licenziamenti mascherati.
Visto che mentre si riempiono la bocca di nuovi modelli, nuove produzioni si accordano per spingere all’uscita che chiamano volontaria migliaia di operai.
Vogliamo dire la nostra: se l’incentivo deve esserci sia almeno all’altezza del disagio che ci procura licenziandoci. Se proprio volete licenziarci allora l’incentivo deve essere adeguato al danno che subiamo, non i quattro spiccioli sottoscritti dai firmatutto e non contrastato dalla Fiom, che dopo aver firmato i primi accordi sugli incentivi ora, sull’ultimo, non sottoscrive, ma nello stesso tempo non organizza nessuna reazione.
Se proprio il padrone ci vuole fuori, ci deve assicurare i soldi per campare. Le elemosine se le può tenere.
F. R.

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